Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

Copyright Ouipos. espressa,/ dovrebbe ora esprimere/ anche il nostro furore?/ Non ci ha forse·recato sollievo?/ Di morbidaconsistenza/ e particolarmente non violenta/ fra tutte le opere umane/ ella è forse la più pacificaJ Ma che male ci ha fatto?". Chi scrive, legga Che l'era dei comizi sia definitivamente tramontata mi sembra fuor di discussione. E se la si facesse finita anche con le presentazioni oei libri? Quelle rare volte in cui mi capita di andarci, due volte su tre vado via infastidita anzitempo. Perché? Come si sa, dietro il tavolo- ci sono l'autore del libro neonato con un paio di amici che discettano della creatura. La gente gira tra i banconi, ciondola un momento nei pressi, riprende a peregrinare, mentre la cassa continua a fare il suo lavoro con squilli intermittenti. Tra unaparolael'altradei presentatori si sentono chiaramente scambi di saluti, risate, scalpiccii e ogni tanto il tonfo di uno o più libri su cui qualcuno si era incautamente appoggiato o spostandosi aveva urtato. Le poche sedie disponibili (sono rare le librerie con apposita saletta) sono per lo più occupate da persone che vi si stanno riposando e che chiedono ai vicini: "Qual è l'autore?". In genere è quello con l'aria mesta, se va bene con un sorriso agrodolce, mentre i presentatori, sempre più difficili da reperire, sono quelli con l'aria seccata, tipica di chi sta perdendo tempo e denaro (le presentazioni, chissà·perché, sono rigorosamente gratuite). A chi giova tutto questo? Al libro fresco di stampà? Non credo, anzi so per certo che in queste occasioni se ne vendono poche copie, che non giustificano certo il lavoro degli uffici stampa per organizzare il simposietto. Ciò nonostante le presentazioni mi par proprio che siano in aumento: chi volesse, avrebbe tutti i pomeriggi, dalle sei alle otto, impegnati dal lunedì al venerdì. Infatti: una volta presentato il libro di Tizio, come non presentare quello di Caio? E intanto è già in agguato Sempronio, e stanno per vagire innumerevoli tizietti ·e caietti: col ritmo di uscita dei libri in Italia, il flusso è ininterrotto, inarrestabile. Che fare? Cosa inventare di diverso? Chissà, forse si potrebbe seguire l'esempio di altri paesi in cui, mi dicono, gli autori fanno delle vere e proprie letture in una sala vera e propria, anziché, come da noi, ascoltare delle conferenze bonsai o delle recensioni al-· lungate. E da noi non scarseggiano gli scrittori che sanno leggere e molto meglio della maggior parte dei nostri attori, cosiddetti. Se si sono sentiti Giudici o Fortini o Zanzotto leggere i versi loro o altrui si sarà stati ben più illuminati sulla poesia che a sentirne discettare da qualche critico. Lo stesso vale per i narratori: ho ad esempio sentito a Reggio Emilia Vincenzo Consolo leggere un capitolo del suo Retablo_, e quella lettura, accompagnata da una breve premessa, valeva ben più di tutte le chiacchiere cosiddette critiche che si erano fatte prima. Mentre sto così fantasticando, ecco che mi sovvengo, come unà. doccia gelata, di Leopardi, più precisamente di uno dei suoi Pensieri. Quello (XX) riguardante il "vizio di leggere o di recitare ad altri i componimenti propri: il quale, essendo antichissimo, pure nei secoli addietro fu una miseria · tollerabile perché rara; ma oggi, che il comporre è di tutti, e che la cosa più difficile è trovare uno che non sia autore, è diventato un flagello, unacalamitàpubblica, e una nuova tribolazione della vita umana. E non è scherzo ma verità il dire che per lui le conoscenze sono sospette e le amicizie pericolose; e che non v'è ora né luogo dove qualunque innocente non abbia a temere di essere assaltato, e sottoposto quivi medesimo, o strascinato altrove al supplizio di· udire prose senza fine o versi a migliaia". Come rimediare? Aprendo "una scuola o accademia ovvero ateneo di ascoltazione; dove, a qualunque ora del giorno e della notte essi, o persone stipendiate da loro, ascolteranno chi vorrà leggere a prezzi determinati: che saranno per la prosa, la prima ora uno scudo, la seconda due, I a terza quattro, la quarta otto, e così crescendo con progressione aritmetica. Per la poesia il doppio". IL CONTESTO Edopo? la Polonia nel postcomunismo Guido Franzinetti "La più grande scoperta era probabilmente che non accadeva nulla di straordinario e che non c'era molto che si potesse fare. La Polonia è esplosa? I sogni dei poeti e dei non-poeti si sono realizzati? Ebbene, la Polonia è li ed è tutto. Einstein, Skamander, il futurismo, l 'emancipazione della donna, il surrealismo, la democrazia, la Società delle Nazioni? Sì, c'è questo, e dopo?" (1). Il disorienwnento descritto da Gombrowicz (riferendosi alla generazione maturata in Polonia con la riconquista dell'indipendenza nel 1918) presenta forti analogie con quello che sta attualmente attraversando l'Europa centro-orientale. (Dopotutto, la rinascita della Polonia, resa possibile dal crollo simultaneo di ben tre imperi, non era stata certo più prevedibile degli avvenimenti del 1989.) Il disorientamento riguarda tutta l'area esteuropea, ma la Polonia rimane comunque il paese che anticipa processi che si verificheranno in seguito negli altri paesi. 1. Che cosa è successo I risultati delle elezioni provinciali polacche rappresentano qualcosa di diverso rispetto agli altri risultati elettorali esteuropei. Sono ormai le seconde elezioni postcomuniste, e rappresentano già la bassa marea (rispetto a una alta marea che si è verificata nel 1981, più ancora che nel 1989). Non sorprende quindi che ci sia stato un tasso di astensionìsmo elevato (57% ), fenomeno destinato probabilmente a verificarsi negli altri paesi esteuropei nella prossima tornata elettorale (2). Anzi, è bene tenere presente che il tasso di astensionismo nelle elezioni sovietiche è già adesso molto elevato (relativamente più basso nelle repubbliche baltiche, molto più alto in quelle del Caucaso). Solidarnosc ha ottenuto 1'85% dei seggi nei grandi centri (con sistema proporzionale) e il 41 % nei piccoli (laddove gli indipendenti hanno ottenuto il 38% dei seggi). Il successo è significativo perché si trattava delle prime elezioni in cui gli elettori avevano la possibilità.di non votare Solidarnosc senza essere costretti a favorire il partito comunista. Mazowiecki gode tuttora.di una popolarità personale incredibilmente elevata. È evidente che esiste unarelativ a disaffezione tra i giovani (e soprattutto i giovani operai) nei confronti di Solidarnosc, che attualmente si esprime in forma esclusivamente negativa con l'astensione, data l'assenza di alternative accettabili. Non si tratta però di un fenomeno imprevisto. La disaffezione delle giovani generazioni (e in particolare dei giovani operai) nei confronti di Solidarnosc era evidente non solo nelle indagini sul voto polacco del 1989 ma anche in diverse indagini sociologiche effettuate in Polonia nel corso degli anni Ottanta. I giovani sentono un forte distacco generazionale nei confronti di coloro che hanno vissuto in prima persona l'esperienza del 1980-81 (3). Sul piano degli effettivi mutamenti, il quadro si rivela più statico. In Polonia il gruppo dirigente di Solidarnosc (inteso come gruppo parlamentare, distinto dal sindacato) si attiene allo spirito del compromesso della primavera del 1979, e non c'è stata una epurazione radicale dello Stato. Questo fatto non sorprenderà chi ricorda la discussione del 1943- .45 sulla continuità dello Stato italiano _tra fascismo e postfascismo e soprattutto la storia dell'epurazione mancata. Sul piano delle scelte, ancora una volta il·caso polacco costituisce un'eccezione nel contesto esteuropeo. La riforma Balcerowicz (il "big bang" della liberalizzazione economica) è riuscita nello spazio dei primi quattro mesi del 1990 a far scendere un tasso d'inflazione che nell' autunno del 1989 era proiettato sul li vello annuo del 4.000% al livello del 5% mensile nell'aprile 1990. Indubbiamente il grosso delle riforme sono ancora da fare, ma finora i polacchi sono gli unici che hanno cominciato ad agire anziché limitarsi a parlare. Rimane il fatto che i costi sociali della ristrutturazione polacca esistono, e cadono soprattutto sui giovani, che hanno minori possibilità di inserimento in quella che è stata sinora la seconda economia. 11

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