Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

CINEMA omosessuali. Una notte al nostro eroe della vecchia Russia capita di portare sul suo tassì Liosa, stranito e alcolizzato suonatore jazz di sassofono, con tutta la sua banda. All'alba, beffato e ingannato, il tassista si.ritrova da solo e senza la corsa pagata. Si mette dunque alla ricerca di Liosa nei luoghi più sordidi e marginali di Mosca e quando lo trova-in una scena terribile all'interno dei cessi di qualche ricovero collettivo -gli sottrae il sassofono in attesa di essere pagato. Quando capisce che non riavrà mai i suoi soldi, il tassista finisce per trascinare in casa sua, da.schiavo, il povero musicista. Ne segue un rapporto di dominio, in cui Slikov, oltre a sfruttare il lavoro forzato di Liosa, cerca di attuare anche una violenta forma di rieducazione alla russa. Marginale e avvilito, ma anche egoista e insensibile, Liosa non vince, comunque, la gara umana con il tassista orfano del vecchio regime. Anche se il sassofonista finisce per avere successo in America, nessuno dei due viene riscattato dal regista, maciullati entrambi da 60 anni di regime, rifiuti lasciati nello scarico immondizie della Storia. umiliatadinonavercapito. E Liosa, a sua volta, lo schiaccia. Il tassista tenta dunque l'estrema carta, l'omicidio: investe il musicista con il suo tassì. Ma, ancora una volta, sbaglia: nella macchina investita Liosa non c'è. Il cadavere è di un altro, un ignaro giapponese vittima inconsapevole del conflitto fra l'anima popolare e quella intellettuale della Russia. Un conflitto che fiammeggia nel filmdi Lounguine, lasciando ustionati. Perché, come ha dichiarato il regista, "nel mio film si dovrebbe anche leggere la grande diversità tra il fascismo tedesco e quello russo: il fascismo tedesco cerca.l'ordine, mentre il russo è anfore bruciato, anima bruciata, non è alla ricerca dell'ordine, è alla ricerca della giustificazione. È vendetta. Per questo credo che il fascismo russo sia più pericoloso di quello tedesco, perché ha in più una grande emozione, una grande passione". La grande forza di Lounguine - oltre alla ricerca visiva che alterna il sordido della decadenza allo squillante gioco coloristico di interni, vicoli e notturni - è quella di mettere in scena con freddezza la non riconci] iabilità della patria Russia, l'imminenza di quella guerra civile che il regista "non vede proprio come si possa evitare". Come avveniva nei campi di sterminio, Slikov vuole rieducare il dissipato artista Liosa, ebreo e diverso. Lo umilia e lo disprezza, ma quando intuisce che, altrove, è diventato famoso, la sua anima si dispera, vuole capire, è LENOSTRE STORIE INCONTRO CON IDRISSAOUEDRAOGO a cura di Annamaria Gallone Un uorrwcoperto di polvere e stanchezza soffia in un corno da caccia sull'alto di una collina: ai suoi piedi un villaggio atemporale di fango e paglia sperduto nella luce di una pianura riarsa. Così inizia Tilai (La legge), terzo lungometraggio del burkinabé Idrissa Ouedraogo. Già alle prime battute di dialogo (scarne ed essenziali, nelle quali anche i vocativi assurrwno carattere pregnante) si pensa alle tragedie della Grecia antica, alle passioni e alle trasgressioni che fanno parte di noi dalla nascita del rrwndo. Saga ritorna dopo anni al suo villaggio e scopre che Nogma, la sua promessa sposa, è diventata la seconda rrwglie di suo padre, uomo autoritario e bizzoso. La legge sancita dalla tradizione nonpuò difendere l'innamorato, che si sente tradito e si auto-esilia in una capanna fuori dal/' abitato ( il luogo degli emarginali così caro a O uedraogo, sempre presente nei suoi film), e lì si inconlra segretamente con Nogma. Mal' esistenza corale del villaggio non lascia spazio a una storia segreta: i due amanti vengono scoperti e condannati, ilpadre della ragazza, disonorato, si impicca, e Kougri, il fratello di Saga, riceve l'ordine di uccidere Saga. Ancora una volta i sentimenti hanno la meglio sulla legge e Kougri finge soltanto di uccidere il fratello, ma lo lascia fuggire ingiungendogli di non farsi mai più vivo, pena la rovina di entrambi. Saga percorre un lungo cammino e si rifugiapresso una vecchia zia compiacente, dove lo raggiungeNogma, inutilmente perseguita da due cavalieri apocalittici. La piccola famiglia comincia una vita serena allietata dall'attesa di un bambino, ma la loro fragile felicità è presto infrania dalla notizia che li raggiunge: la madre di Saga sta rrwrendo. Ancora una volta l' uorrw obbedisce al suo istinto, senza valutarne le conseguenze. Una corsa disperata lo riconduce al suo villaggio, troppo tardiper rivedere sua madre, della quale incontra solo ilmisero funerale. Il fratello, scoprendosi tradito difronte a tutti, lo uccide con un colpo di fucile alle spalle, prima di fuggire verso un esilio senza scampo. Così l'individuo che cerca di costruirsi il proprio destino è sconfitto dalle leggi arbitrarie e inflessibili che regolano la comunità in nome di un ordine rigido e cieco e di una falsa solidarietà. In contrapposizione quindi alle società primitive descritte da quasi tutti i grandi registi occidentali (vedi Ioseliani) come paradisi perduti o in via di estinzione, si pongono quelle raccontate dagli autori africani dove con grande chiarezza emergono dal profondo le conlraddizioni di questi sistemi di solidarietà e i loro a volte assurdi e biechi meccanismi. Ouedraogo ha narrato la sua storia con uno stile sobrio ed essenziale e con un rigore che esclude ogni cedimento folkloristico. Splendida la fotografia di Jean Monsigny che, nelle riprese notturne, ha·saputo dare alla pelle nera caldi riflessi di rame, e felice la scelta della musica del jazzista sudafricano Abdul/ah Ibrahim (piano voce e flauto) con Billy Higgins alla batteria e David Williams al contrabbasso. Convincenti gli 108 altori _chepraticamente interpretano sé stessi nella vita di ogni giorno. Oltre a Rasmane Ouedraogo, che ormai ha raggiunto una notevole bravura professionale, da segnalare la piccola Roukietou Barry, la Nopoko di Yaaba, che in questo film ritroviamo nei panni di un' Arianna nel labirinto delle relazioni degli adulti. Messaggera dei due innarrwrati, piena difreschezza e coraggio, sembra simboleggiare la speranza di una generazione più libera e sponlanea, non più oppressa dalle regole sancite dalla tradizione. Esattamente un anno fa, qui a Cannes, dopo il successo di Yaaba alla "Quinzaine", mi hai detto che il tuo prossirrw traguardo sarebbe stalo il tappeto rosso e i flash del Grand Palais ... Ti è bastato un anno per arrivarci e non solo il tuo film è stato ammesso alla competizione, ma si è aggiudicato il Gran Premio speciale della Giura. Cosa provi a questo punto? Con questo mio film vedo realizzato un desiderio che è di tutti i registi. Io ho avuto la fortuna di vederlo esaudito molto presto. Questa fortuna bisogna saperla apprezzare e consolidare. Io spero di continuare a imparare a fare cinema e spero di poter migliorare rispetto a Ti/ai. Il tuo nuovo film ha ancora una volta il fascino delle fiabe della tradizione orale della tua terra, ma tu sei/orse l' unjco regista africano che parla di sentimenti. I tuoi personaggi ripetono "Ti arrw" e alcune scene d'amore sono molto intense ... Io volevo parlare d'amore, e l'ho fatto cercando di rispettare il pudore, che è una delle componenti importanti della mia cultura. E poi c'è il mio rapporto con gli attori, che non sono professionisti e confondono il loro ruolo cinematografico con la vita di tutti i giorni e quindi si vergognano a interpretare situazioni osées per paura di venire bollati dall'opinione pubblica. Ma sono riuscito lo stesso a parlare d'amore, spesso più suggerendo che mostrando, spero in modo non convenzionale, perché il mio sogno è di poter filmare per comunicare emozioni che mi appartengono. A proposito di attori, anche questa volta si tratta di gente del villaggio che interpreta se stessa e rrwltisono m.émbri della tua famiglia "allargata" ... Pensi anche infuturo di rimanere fedele a questa scelta? Finché farò storie africane, sì. In Africa esistono pochissimi attori professionisti, e io scelgo per questo storie che siano accessibili agli attori che le recitano. Se esiste un décalage tra la storia ideata e quella realizzata, non va, perché non arriveranno a materializzare le loro emozioni: per questo le mie storie rientrano nella cultura degli uomini e delle donne che incarnano i miei eroi. E rappresentano, naturalmente, ciò che al momento

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