"costume arcaico". Nonostante tutto, siamo ancora sul terreno di una cultura vissuta. Quel tanto di stilizzato che fa parte della tradizione giapponese, annulla quel sospetto di poeticistico che gli sembra verùre dallo sponsor Spielberg. Ancora al confine tra fascinazione e crudeltà, tra trasfigurazione rituale e fisicità. C'è in questo peculiare atteggiamento, nell'esibì ta ingenuità di artista, nelle sue figure bi-dimensionali che sfilano attraverso lo schermo più che p~netrarlo in profondità, un senso di sfida. Una sfida dalla posizione di sopravvissuto, qual/nei suoi "sogrù". Da autore che non ha CINEMA mai avuto paura dell 'oltranza.Nell'allarmante banalità del suo messaggio "naturale" (in cui, però, l'aspetto "nostalgia" è totalmente sopraffatto dall'interesse per il mistero e la violenza della natura violata) c'è il riflesso di altro, e c'è qualcosa di dostoevskiano, l'amato, citato e a volte trasposto Dostoevskij. Nei gesti disperati del suo alter ego che, nel fall-out nucleare, tenta di spingere via i gas tossici sventolando la ·giacca, si ritrovano i com.portamenti dell"'idiota", si ritrova la sconfitta di un "individuo assolutamente buono". È dei grandi maestri raccontare sempre un 'altra storia. L'APOCALISSE REALIZZATA DAVIDLYNCH,GRANPREMIOA CANNES PaoloMereghetti Più grande del mascherino in cinemascope, l'asfalto della Strada riempie lo schermo e scivola veloce sotto l'obiettivo della macchina da presa. Ma a differenza di tanti altri registi, David Lynch_nonpanoramica verso l'alto l' asse della sua inquadratura, non ci fa vedere il punto di fuga di quei sentieri d'asfalto che hanno attraversato tanto cinema americano. Non c'è prospettiva, non c'è fine, non c'è la speranza di trovare - verso l'orizzonte - una meta. C'è la strada e basta. Perché dopo soli cinque film Lynch ha già perso la bussola che lo aveva guidato tra i deserti del pianeta Arrakis o tra i felici sobborghi di Lumberton. Omeglio: sembra l'abbia volontariamente buttata via. Con Wild at Hea.rt Lynch riduce ai minimi termini le articolaziorù narrative del proprio racconto per concentrarsi sui momenti forti, sui personaggi, sui corpi, sugli incubi che popolano la fuga romantica di Sailor e Lula, ventenni innamorati a dispetto della madre di lei e decisi a cercare uno spazio in cui consumare la loro passione, con un pragmatismo comportamentale che non prende mai in considerazione i problemi e le loro possibili soluzioni ma solo le azioni e le possibili reazioni. La trama gialla scritta da Barry Gifford, organizzata soprattutto sui due inseguitori che la madre di Lula manda sulle tracce dei giovani (il detective e suo aspirante amante Johnnie Ferragute il gangster e suo ex-amante Marcello Santos) oltre che sulla variopinta galleria di killer che Santos attiva, non è sfruttata al meglio da Lynch per costruire un ingranaggio narrativo che mantenga alto il livello della tensione. Anzi, Lynch accentua i difetti strutturali, le incongruenze e i salti logici che già si erano fiatati in Velluto blu, non si preoccupa che la caccia all'uomo finisca improvvisamente dopo il primo tentativo andato a vuoto, che i minacciosi antagorùsti della coppia si dissolvano stranamente nel nulla così come dal nulla erano apparsi, e rispedisce al mittente le domande sul senso e sul messaggio: "Io sono il primo a non sapere quello che voglio dire. Mi vengono delle idee e mi vien voglia di metterle in un filmperché mi eccitano, il thrills me! Tutti dicono che le persone cercano sempre un significato a tutto, ma non è vero. La vita, per 106 LauraDern e Nicolas Cage e, sotto,Willem Daloe in Wild o/ Heorl. esempio: ci sono dentro tutti, ma c'è qualcuno che cerca di spiegarla? Nessuno, ma poi cercano i significati nei miei film. Non capisco perché la gente si aspetti che un'opera d'arte voglia dire qualcosa, quando accetta il fatto che la vita non abbia nessun significato". Al di là del gusto un po' provocatorio che c'è in queste frasi, è fuori dubbio che il cinema di Lynch scavalca il problema centrale di tanto cinema americano (quello della ricerca del senso da dare alla propria identità e alla propria professione) per affrontare e aggredire i modi con cui questo senso ha preso forme e spessori. Dopo il Vietnam, dopo il Watergate, Hollywood si è interrogata a lungo sulla propria immagine, sulla propria faccia: che avesse lo sguardo bolso di Rocky, o quello agghiacciante di Freddie Krueger, o quello martoriato di Ron Kovic, erano sempre corpi che rimandavano a imprima, a un dietro, a un altro. A un'idea di Storia e di Realtà. Con Wild at Heart questa distanza si riduce fino a sparire e quello che appare sullo schermo è un mondo più reale del reale stesso, dove Lynch, assimilando la lezione che gli è venuta da certa arte statunitense del dopoguerra, cancella tutte le ombre possibili, tutte le sfumature e gli spessori, per lasciare lo spettatore psicologicamente indifeso di fronte alla forza delle sue immagini. Baudrillard scriveva che l'America "è un'utopia vissuta fin dall'inizio come realizzata". Né un sogno, né una realtà, ma un'iperrealtà, dove sparisce .Jadistinzione (per altro tipicamente europea) trareale emodello. Quello che scorre sullo schermo non rimanda a niente, non produce nessun tipo di immagine narrativa con cui lo spettatore possa misurarsi: Lynch ha tagliato tutte le radici possibili. Non gli interessa il discorso cinefilo di un De Palma, perché non vuole farsi ingabbiare da nessun tipo di struttura autoreferenziale com'è il cinema di genere; ma non gli interessa nemmeno il discorso più colto di unJonathan Demme, perché nega che l'America abbia una cultura che non sia leggibile nel puro comportamento dei suoi fruitori. Come i suoi personaggi, il regista di Missoula non ha padri: sono morti, bruciati, ricoverati in ospedale, messi nella condizione di non farsi sentire. E per quanto riguarda le madri, sono tali che vien solo voglia di fuggire da loro il più lontano possibile. Le urùche coordinate possibili del suo discorso sono quelle capaci di dare una forma immediata alle cose, proprio come fa la cultura popolare: sono il mondo dei comics, con quei personaggi interessati soprattutto a definire se stessi attraverso le loro azioni (magari attraverso il procedimento di ragionare ad alta voce: "cosa mi sta succedendo?", "sono fregato", per sottolineare cosa si fa più che come lo si fa); sono il mondo della musica, con i suoi sentimenti così bene individuati dai ritmi, ora romantici ora vitalistici; sono il mondo dei simboli che si identificano immediatamente con chi ne ~ il proprietario, come la giacca di pelle di serpente che Sailor ostenta a più riprese come il simbolo del suo ribelle individualismo, ma anche la voce impostata "alla Elvis", unico modo per Sailor. di esternare il suo amore a Lula. Ma queste cose sono viste e filmate - e qui sta la caratteristica di Lynch - con una naturalezza che rasenta l'incoscienza, senza epica e senza ridondanza, in uno stile che registra allo stesso modo violenza e amore, vita e morte, senza che lo spettatore sia mai invitato apensare al difuori dello schermo, come se non
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