Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

LUGLIO/AGOSTO 1990 - NUMERO51 LIREl 0.000 I mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo _ SJMONWE EILV:IAGGIIONITALIA • • AMALDSI:CIEN2AT,ECNOLOGEICAORSAGLAI RMAMENTI • UTIS _ ,- ~ , . NDAATJ • _., , r . SPED.IN ABB. POSTALEGR. 111-70%V.IA GAFFURIO4 - 20124 MILANO

PIERO RATTALINO PIANISTIEFORTISTI VIAGGIO PELLEGRINO T AGLIINTERPRETI ALLASTIERA: , DABUNIN APLANTE GUIDEALLAMUSK:A PIERORATTALINO PIANISTIE FORTISTI VIAGGIO PELLEGRINO TRAGLI INTERPRETIALLA TASTIERA DA BUNIN A PLANTÉ RICXlRDI/GIUNTI L'OPERALIRICA Dalleoriginial Novecento Lit. 28.000 LADANZAE IL BALLETTO Guidastoricadalleorigini a Béjart Lit. 25.000 DACLEMENTIA POLLINI Duecentoannicon i grandipianisti Lit. 28.000 LADIREZIONE D'ORCHESTRA Grandidirettori di ierie di oggi Lit. 25.000 BEETHOVEN Lit. 25.000 LASECONDASCUOLA DI VIENNA Schonberg,Berg,Webem Lit. 25.000 HANDEL Lit. 25.000 MOZART Lit. 25.000 IL CONCERTO PERPIANOFORTE E ORCHESTRA DaHaydna Gershwin Lit. 28.000 CHOPIN,SCHUMANN, LISZT Maestridelprimo romanticismo Lit. 28.000 WEBERN,BERLIOZ, MENDELSSOHN Maestridelprimo romanticismo Lit. 28.000 REPERTORIODI MUSICASINFONICA Gliautori,le composizioni dalSeicentoa oggi Lit. 85.000 I RICORDI

Leggere Einaudi «Supercoralli » SebastianoVassalli Lachimera In un villaggiopadano del Seicento, cancellato dalla storia, la tragica vita di Antonia, strega di Zardino. L'attualità di un'epoca dimenticata, in un romanzo dagli innumerevoli intrecci. PI?· 308, L. 26 ooo DentonWelch Viaggioinaugurale Dall'Inghilterra verso la Cina piu segreta: l'avventuroso viaggio di un adolescente negli anni Trenta. Traduzione di Maria Luisa Giartosio de Courten. pp. 3 16, L. 28 ooo EdmundWhite Ungiovaneamericano Il racconto straordinario di una difficile educazione sentimentale nell'America conformista degli anni '50. Traduzione di Sandro Melani. pp. 217, L. 26 000 lcr·nMcEwan Lettera Berlino • ,. Un terribile omicidio, all'origine di una storia di spionaggio e di passione. Traduzione di Susanna Basso. pp. 259, L. 28 000 FrièdrichDurrenmatt LaValledelCaos Angeli e demoni, teologi s~nsualied assassini, falsari, gangster e stupratori, miliardari e obese divoratrici di cioccolatini ... Traduzione di Giovanna Agabio. pp. l 16, L. 22 000 CamiloJoséCela L'alveare La fame, la paura, l'invidia, nellaMadrid sopravvissuta alla guerra civile. Traduzione di Sergio Ponzanelli. pp. XIII-243, L. 28 000 «Nuovi Coralli» JuanRulfo Lapianurainfiamme Un Messico che mette a nudo le sue radici piu profonde. A cura di Francisca Perujo. pp. 177, L. 18 ooo AlvaroMutis LaNevedell'Ammiraglio «Mu tis è uno dei piu grandi scrittori della nostra epoca» (Gabriel Garda ~arquez). A cura di Ernesto Franco. Traduzione di Fulvia Bardelli e Ernesto Franco. pp. v-161, L. 18 ooo «Gli struzzi» NandodallaChiesa Storie dibossministritribunaligiornali intellettualicittadini Un viaggio nell'Italia del sopruso. pp. x-264, L. 20 ooo NataliaGinzburg SerenaCruz olaveragiustizia «Scrivo questo libro per testimoniare solidarietà alle persone a cui sono stati strappati i bambini che esse avevano fino a quel giorno amato e accudito». pp. vu-96, L. ro ooo « Saggi» JeanCocteau Il richiamoaU'ordine La «giovane» musica, Picasso, Barrès: e soprattutto Cocteau che parla, ininterrottamente, di sé. Un affascinante manifesto. A cura di Paola Dècina Lombardi. pp. XII-216 con 16 illustrazioni fuori testo, L. 36 ooo NikeWagner Spiritoesesso Ladonnae l'erotismo nellaViennafindesiècle La «femme fatale», la «femme fragile», la donna bambina, la donna emancipata: fantasie e angosce maschili nel dibattito filosofico e letterario della Vienna fin de siècle. Traduzione di Mirella Torre. pp. x-251 con 36 illustrazioni fuori testo, L. 40 ooo « Saggi brevi» PaulValéry Tredialoghi Partiture delicatissime, articolate, racconti piu che testi di pensiero: il ·moderno ha i suoi miti e sa narrare le sue favole. Traduzione di Vittorio Sereni. Con uno scritto di Giuseppe Conte. pp. xrn-137, L. 18 ooo

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Direttore: Goffredo Fofi Direzione editoriale: Lia Sacerdote Collabora/ori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Giorgo Bert, Paolo Bertinetti, Gianfranco Benin, Francesco Binni, La.nfrancoBinni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Isabella Camera d'Afflitto, Gianni Canova, Marisa Caramella, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Del Conte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Bruno ·Falcetto, Maria Ferretti, Marcello Flores, Ernesto Franco, Guido Franzinetù, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Fabio Gambaro, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Piergiorgio Giacchè, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, · Filippo La Porta, Gad Lemer, Stefano Levi della Torre, Marcello Lorrai, Maria Madema, Luigi Manconi, Danilo Mancra, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghetli, Santina Mobiglia, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Cesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Marco Revelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Maria Schiavo, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Joaquin Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi, Egi Volterrani. Progello grafico:· Andrea Rauch/Graphiti Ricerche iconografiche: Barbara Galla Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Regina Hayon Cohen Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Rina Disanza Hanno contribuilo alla preparazione di questo numero: Marcella Bassi, Margherita Belardetti, Franco Cavallone, Natalia Del Conte, Giorgio Ferrari, Tess Gallagher, Carla Giannetta, Giovanni Giovannetti, Daniele Melani, Grazia Neri, Francesca Zannese, le case editrici Adelphi e Garanti, la libreria Popolare di Via Tadino a Milano. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 ~ 20124 Milano Te!. 02/6691132-669093i. Fax: 6691299 Dislrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Te!. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Te!. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (MI) - Te!. 02/4473146 LINEA D'OMBRA Mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo III/70% Numero 51- Lire 10.000 Abbonamenti Annuale: ITALIA: L. 75.000 da versare a mezzo assegno bancario o e/e postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L. 90.000 I manoscrilli non vengono restituiti Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei tesi i di cui non siamo slali ingrado di rintracciare gli aventi diritto, ci dichiariamo proni i a ottemperare agli obblighi relativi. Questa rivista è stampata su carta riciclata. llNEA D'OMBRA anno VIII luglio! agosto 1990 numero 51 4 7 9 11 13 Laura Balbo Betti Guetta, Luigi Manconi Gianfranco Bettin Guido Franzineui Marcello Flores Un'Europa possibile Gli studenti e gli immigrati Venezia Expò? Crash! La Polonia nel post-comunismo La "dittatura culturale" negli anni '50 RUBRICHE: Banda a parte (G.Fofi a p. 8), In margine (G.Cherchi a p. 10). 15 18 20 29 31 Nanni Salio Alfonso Berardinelli Francesco Binni Amina Di Munno Giuseppe Pomremoli Violenza e nonviolenza: Capitini e Andcrs I sorprendenti saggi di Cesare Garboli Auden; oltre l'ombra del tempo I racconti brasiliani di Machado de Assis Bambini in vetrina, libri di adulti e F. La Porta su Passioni e interessi di A. Hirschman (a p. 17), P. Bertinetti sull'ultimo McEwan (ap. 23),B. Falcetto sulla fantascienza diWilliamGibson (ap. 25),L.Bienati suNatsumeSoscki (a p. 26), G.P. Piretto su Daniil Charms (a p. 27),R. Menin su Erich Fried (a p. 28), Promemoria (a p. 33), Gli autori di questo numero (a p. 110). I:l:lliiili f:,nr ::::r 89 77 87 93 95 34 39 45 49 65 53 60 74 99 108 M. De Angelis, G. Sicari Michele Sòvenle Riccardo Held Andrea Bini Sandro Vesce Alvaro Mutis Raymond Carver Guido Accascina Fabrizio Bagatti Cesare Case.i· Simone Weil Simone Pétremen1 Paolo Giovannetti Chinua Achebe Edoardo Ama/di Alfred Sohn-Rethel Michael Ondaatje Woody Allen ldrissa Ouedraogo Lettera Cabaletta Appunti Tre poesie L'amico Cric L'ultimo volto a cura di Ernesto Franco seguito da Io e Mutis di F. Rodriguez Amaya Racconti "perduti" Cinque pezzi facili La guardia (seconda e ullima parte) Che cosa sia e a qual fine si studi la letteratura tèdesca Lettere dall'Italia Il viaggio in Italia di Simone Weil Simone Weil in Germania La verità della finzione. Due scritti a cura di Annalisa Oboe Scienza, tecnologia e corsa agli armamenti. Prospettive europee Denaro e filosofia, a cura di Helmut Hoge con una noia di Francesco Cappellotti Da ùn paese di immigrati a cura di Riccar(io Duranti Una visione un po' sinistra delle cose incon1ro con Raffaello Siniscalco Le nostre storie incomro con Annamaria Gallone . e, dal Festival di Cannes: G. Volpi su Sogni di À. Kurosawa (a p. 105), P. Mereghetti su Wild at heart di D. Lynch (a p. 106), P. Detassis su Taxi Blues di P. Lounguine (a p. 107). La copertina di questo numero è di Elfo (distr. Storiestrisce).

IL CONTESTO Scenari futuri: un'Europa possibile Laura Balbo Ecco come si delineano alcuni possibili scenarifuturi per l'Europa: quel che li caratterizza è che sono costruiti con attenzione particolare a dati della vita quotidiana. Nella misura in cui fare politica è scegliere tra futuri possibili, e da queste scelte essere orientati nel presente, ragionareper scenari mi sembra molto importante. Naturalmente qui si tratta di un primo tentativo che va approfondito e reso più sistematico. Biade Runner Sb continueranno i pro- Folo di Uliano lucas. cessi attuali, di divaricazione fortissima e irreversibile tra le regioni del nord e del sud del mondo, per accesso a risorse economiche e tecnologiche, per peso del debito, per tassi di crescita della popolazione; e se si accentueranno anche (non solo) in rapporto a queste condizioni, fenomeni di mobilità mondiale senza la possibilità, o la volontà, di gover- ~arli, si consoliderà, a scala planetaria, un sistema sociale duale, che si esprimerà in molte forme, dando origine in ogni caso a uno scenario di radicale stratificazione o polarizzazione: tra élites estremamente privilegiate, e tutti gli altri; tra bianchi (non solo, e non tutti i bianchi) e la grandissima maggioranza di appartenenti ad altre razze ed etnie; tra uomini e donne (anche qui, non tutte - ma certo la maggioranza delle donne); tra regioni ricche ed ecologicamente "pulite" e quelle ridotte a discariche di rifiuti tossici e nocivi; tra stili di vita caratterizzati da agio e lusso e opzioni pressoché illimitate, e quelli segnati da disagio e profondo malessere. L'immagine che cerco di evocare riflette ciò che conosciamo delle tirannidi del passato, costruite sulla schiavitù e l 'oppressione, qualcosa di quel che Orwell ha anticipato, e soprattutto,Blade Runner: una società urbana estremamente degradata, estremamente tecnologizzata, un ambiente invivibile di imbarbarimento e di oppressione poliziesca, di violenza e conflitti, in cui una minoranza ha un totale controllo, e gli altri, masse di uomini e di donne di diverse razze e funzioni sociali e collocazioni, sono frammentati, anomici, degradati, sottomessi. I dati del rapporto dell'Onu presentato nel maggio scorso prevedono che la popolazione si concentrerà in grandissime città (venticinque avranno tra i 7 e i 24 milioni di abitanti; di queste, una soltanto, Parigi, sarà in Europa). Già oggi il 40% della popolazione urbana delle città del terzo mondo non usufruisce di alcuna fonte di rifornimento idrico. 1.750 milioni non hanno accesso a strutture sanitarie minimamente adeguate, 890 milioni sono 4 analfabeti, un miliardo vivono in condizioni di estrema povertà (1). Claude Julien ha descritto su "Le monde diplomatique" di maggio (2) la struttura attuale dei paesi occidentali come un sistema a "gironi": attorno ai privilegiati, una cerchia di classe media; poi la classe operaia dei paesi ricchi, poi ancora le "avanguardie del terzo mondo", coloro che sono giunti nel corso di alcuni decenni, esclusi e poveri ma ben insediati nel1'occidente: quaranta milioni di persone in Europa occidentale, trentacinque milioni negli Stati Uniti. Restano fuori, altrove, quattro miliardi di esseri umani, che tra cinquanta o sessant'anni saranno otto e mezzo." ... La popolazione europea, che pure è quadruplicata in due secoli, non è che una minuscola isola (anche se ci si aggiunge quella dell'America del nord, del Giappone, dell'Australia), nell'oceano della popolazione mondiale, che dal 1950 a oggi è raddoppiata e che raddoppierà ancora entro il 2050 ..." Non è forzato ipotizzare l'acuirsi di espressioni di violenza e, in parallelo, lo sviluppo di forme molteplici di controllo sociale: narcoguerre internazionali, politiche anti-Aids coordinate tra stati, polizie mondiali a tutela degli interessi delle minoranze privilegiate; ma anche una cultura quotidiana segnata da valori punitivi e repressivi, dal pregiudizio e dalla demonizzazione del diverso: la cultura della pena di morte ha già oggi molto maggiore legittimazione di quanto pensassimo possibile anche pochi anni fa. Si diffonderà l'indifferenza nei confronti di aggressività e di arbitrii, pubblici e privati, si svilupperanno meccanismi di rimozione e presa di distanza di fronte a catastrofi di dimensioni drammaliche, di tragedie senza soluzione. E pene dure e deterrenti per prevenire comportamenti trasgressivi o ritenuti tali, e articolate e capillari misure di controllo: sulle abitudini dei giovani (il sabato notte); sulle scelte delle donne (aborto); sui costumi sessuali; sull'uso di "droghe", comunque definite. L'Europa, che farebbe certo parte dell 'areariccae privilegiata del mondo, sarebbe al suo interno attraversata da fattori e istituzioni che determinano e riproducono processi di dualizzazione. In essa convivrebbero punte estreme sia di benessere e di potere, sia di abiezione e impotenza. Irriconoscibili, cancellati, sarebbero principi e codici di comportamento delle forme passate di civiltà e di organizzazione sociale: fine del "patto sociale" sul quale i nostri sistemi sono stati, per secoli, costruiti. Non è uno scenario del tutto implausibile.

Europa - come - fortezza Cresce, nell'Europa di fine millennio - una parte ricca del mondo, con consplidate tradizioni e aspirazioni, culturali e politiche, di democrazia e di benessere - la percezione di essere assediata. Processi a scala planetaria (demografici, economici, ecologici, sociali), ne minacciano l'integrità e il livello di privilegio. La popolazione europea invecchia, e viceversa sono giovani, e con tassi di natalità due o tre volte superiori a quelli europei, i paesi che stanno intorno a noi, in particolare dal lato del Mediterraneo e dalla costa africana. Ci sono divaricazioni estreme tra indicatori di benessere come quelli relativi alla salute, al reddito, alla stessa possibilità di accedere alla vita e di viverla fino in fondo. Il salario minimo è 5.40 dollari in Francia, 3.80 negli Usa, e invece 41 cents in Tailandia, 45 in Messico, 11 in Kenia, 10 nello Zambia. La mortalità infantile nei paesi più sensibili ai problemi della salute è del due-quattro per mille (virtualmente zero), in Romania, nell'età intorno alla nascita, muoiono 22 bambini su mille. In Danimarca la durata media della vita è 75 anni, nel Chad 39. Una situazione di squilibri e di disuguaglianze conosciute, confrontabili, sottolineate, in particolare per la diffusione delle comunicazioni, in modi inimmaginabili in.un passato anche recente. Nella sindrome dell'Europa assediata il problema è come preservare in qualche modo i "diritti di cittadinanza", a base universalistica, affermati e acquisiti: un obbiettivo legittimo, attorno al quale c'è consenso, riferimento cruciale per i nostri sistemi democratici e di welfare. Prerequisito sembra debba essere una politica, che verrebbe motivata e giustificata con diversi toni e sfumature, e attuata in modi da definire, che isoli e protegga l'Europa cittadella o fortezza. Molti paesi europei hanno elaborato e attuato da diversi anni politiche in questo senso; recentissime sono le scelte in questa direzione in Francia, anche da parte di esponenti del partito socialista, che in passato sostenevano ben diverse posizioni. Questa è anche la linea del governo italiano, pur tra vistose contrapposizioni e litigiosità (3). Dall'ipotesi "fortezza" conseguirebbero una serie di elementi di organizzazione sociale e politica; 1)Come conseguenza della decisione (che sarebbe congiunta, a livello europeo) di chiudere o comunque controllare le frontiere, bisogna tener fuori, o ricacciare indietro, i potenziali immigrati; questo significa difendersi e armarsi, con modalità più o meno esplicite e dichiarate: ricorso all'esercito, potenziamento delle polizie di frontiera, doganieri e guardie di finanza e sul territorio nazionale, poliziotti e funzionari pubblici delle diverse categorie vanno indottrinati e addestrati a questo fine. Schedari computerizzati, "banche-dati" che contengono tutte le informazioni utili, funzionano a scala europea. I cittadini sono portati a dare consenso, o forse è in risposta a pressioni da parte dei cittadini-autoctoni che si attua questa politica, e a questo non può non accompagnarsi una ideologia della superiorità e del diritto al privilegio della "razza" o "etnia" alla quale si appartiene, della regione del mondo in cui si è nati e si vive. 2) Di fronte alla crescente pressione di immigrati e rifugiati politici da tutto il mondo, si fissano criteri rigidi ed estremamente selettivi di ammissione (per esempio, si accolgono soltanto coloro che provengono da paesi europei e da altri paesi occidentali; quelli che, da qualunque parte del mondo provengano, dimostrano di essere in grado di investire capitali e dunque di "comprarsi" il diritto di accesso; forse studenti, a numero chiuso e con criteri meritocratici; forse "quote" rispetto ad alcune categorie di cui si ha bisogno, in particolare donne, per svolgere il lavoro di servizio di cui una società avanzata e ricca ha crescente bisogno: domestiIL CONTESTO che, infermiere, assistenti domiciliari; forse, in circostanze particolari, ondate di rifugiati, ammessi peraltro con criteri di assoluta discrezionalità politica, e come concessione a carattere eccezionale. 3) Vengono stabiliti criteri di appartenenza e quindi di riconoscimento dei diritti di cittadinanza, secondo una gerarchia, differenziando, come già avviene in molte società (4), tra cittadinanza piena, cittadinanza parziale per coloro che sono solo residenti o comunque provvisori o "dipendenti" rispetto a immigrati "ufficiali" (mogli e figli); o gli incerti cittadini di seconda generazione (l'esempio più immediato sono i giovani maghrebini di seconda generazione in Francia). "Naturalmente" ci sarebbero comunque dei clandestini, perseguitati o tollerati di fatto, sempre soggetti a arbitrii, minacce, ricatti (5). Possiamo anche elaborare possibili varianti di questo scenario. Le previsioni di sviluppo economico per l'Europa del 1992 apparivano, prima dei cambiamenti nell'Est, molto promettenti, con ipotesi di aumento del prodotto interno lordo, nell'arco di 57 anni, tra il 2,6 e il 6,5% (queste sono cifre di una recente stima di un gruppo di ricerca della CEE). La disponibilità di forza lavoro qualificata e l'espansione del mercato che i cambiamenti nei paesi dell'Est comportano, e anche l'eventuale attuazione di un "piano Marshall", possono determinare condizioni complessive di sviluppo dell'economia ancora più favorevoli. Forse l'eredità comune di valori di cittadinanza (le elaborazioni legislative e politiche dei paesi di "socialismo reale" erano, inizialmente, segnate da obbiettivi di uguaglianza, di emancipazione femminile, di un forte stato assistenziale; e prima della guerra in Cecoslovacchia l'ideale dell'equità sociale era un valore radicato tanto quanto lo è stato, per fare un esempio a noi immediatamente comprensibile, nei paesi scandinavi), insieme a valutazioni economiche e di convenienza politica, potrebbero portare a realizzare un sistema di cittadinanza esteso all'intera Europa. I confini restano in ogni caso un problema aperto: sarà ammessa la Turchia che preme per entrare nella Cee; quali dei paesi dell'Europa dell'est; e che prevedere rispetto all'Urss, in particolare ai confini verso le repubbliche baltiche e la repubblica russa? ' Nell'ambitodiunsistemaeuropeocomplessivamenteprivilegiato, è possibile anche una diversa ipotesi, il "modello America Latina": pure all'interno di un sistema di scambi e di regole in parte comuni, la nuova Germania, o forse l'Europa dei 12, avrebbero verso i I resto dell'Europa centrale e dell'est il ruolo che 5

IL CONTESTO Da Stranieri a Milano di Laila Golderer e Vito Scifo (Mazzotta). hanno gli Usa verso i paesi dell'America Latina: una posizione di egemonia, rapporti selettivi e privilegiati, volta a volta con o contro l'uno o l'altro, e controllo di fatto su tutte le scelte economiche e politiche nei paesi "sudditi". E in ogni caso: assumiamo che si consolidi una identità europea "bianca" (e cristiana); una leadership culturale e politica capace di elaborare proposte e messaggi significativi per la popolazione "autoctona" privilegiata, e che si sente minacciata; adesione a tradizioni comuni (riscoperte, eventualmente enfatizzate): come evitare che tutto questo ci porti a essere un sistemafortezza? Una società-con-cura; una società-amica-di-chi-ci-vive I du; scenari prima tracciati riflettono crisi dei valori tradizionali di fronte a emergenze impreviste, non flessibilità delle risposte in presenza di vincoli inaspettati, non capacità di governare i processi di cambiamento in atto. Obbiettivi morali e politici che erano stati dati per acquisiti - la "cittadinanza" - si modificano sotto la pressione di condizioni nuove, considerate incompatibili con gli obbiettivi e insieme incontrollabili. Immaginiamo viceversa uno scenario nel quale si tengano fermi gli obbiettivi ultimi, i valori fondamentali, e di fronte ai .vincoli si operi attivando risposte organizzative e riferimenti culturali capaci di generare risorse aggiuntive. . Traggo due espressioni, una società-con-cura (5), una societàamica-delle-donne (6), dal dibattito scandinavo più segnato dai . temi della cultura dei servizi e della·cultura delle donne; o anche, dico una società-amica-di-chi-ci-vive e delineo un terzo ipotetico scenario. Sono espressioni che si riferiscono a società privilegiate, per condizioni di benessere e per tradizioni culturali e politiche. Problematico è pensare di estendere queste ipotesi di organizzazione sociale a situazioni con caratteristiche non comparabili: e tuttavia, almeno nei contesti dei paesi che sono stati segnati da esperienze e da dibattiti di welfare state (e dunque molti dei paesi europei, i paesi extraeuropei di tradizione anglosassone come Canada e Australia e Nuova Zelanda, e anche, in qualche 6 misura, gli USA) questi riferimenti possono orientare ipotesi e processi per il futuro. Una società-con-cura è unmodello in cui è centrale l' attenzione a valorizzare e utilizzare risorse "invisibili" (il lavoro di cura, le strategie individuali per i progetti di vita, le" risorse del "terz~ settore", il tempo), a rendere più compatibili con i fondamentali bisogni umani i meccanismi di produzione e redistribuzione di risorse, a riequilibrare doveri e diritti (anche tra i sessi, le generazioni, le etnie). · Questo intervento di riorganizzazione del sistema sociale crea, potenzialmente almeno, risorse alternative e aggiuntive: per esempio, operando sul rapporto risorse-bisogni vicino alla "base", intervenendo su sprechi ed effetti di distorsione e inquinamento sociale, riducendo la burocratizzazione, decentrando e flessibilizzando le prestazioni. Qui si può richiamare il dibattito italiano su lavori e tempi (7), e anche la tematica aperta con la proposta di legge sui "tempi" (8). Un secondo elemento è il seguente. Al , progetto di vita del singolo (vincolato, però, da un disegno collettivo fondato su valori di cura in un contestò di equità) viene riconosciuta autonomia e legittimazione, come mai era stato in altri modelli di società. In altre parole: si tratta di operare per realizzare i diritti quotidiani o per "democratizzare la vita quotidiana", assumendo questo come obbiettivo, o passaggio cruciale, per una nuova fase dei processi di attuazione del modello di democrazia nelle nostre società. Ancora: i singoli sono soggetti strategici, soggetti "intelligenti'.'nella società complessa, soggetti con elevato grado di libertà, nella misura in cui viene riconosciuto il diritto di ciascuno a esprimere le proprie opzioni strategiche e a contribuire con le proprie risorse al progetto collettivo. L'accesso alla formazione e al lavoro intellettuale è, per tutti, esperienza ricorrente in tutto l'arco della vita, e non privilegio di ristrette categorie di "intellettuali". Differenti stili di vita e pratiche (e dunque: di singoli; dei molteplici gruppi etnici e religiosi che saranno presenti nella società; di donne e uomini; differenti per aspetti fondamentali, di ruoli, di culture, e di scelte di vita), trovano legittimazione e riconoscimento in diritti non necessariamente·e sempre uguali, ma equivalenti. Si tratta qui del nodo concettuale e politico forse più innovativo, e complicato (a cui alludono espressioni come differenza complessa; comparable worth), del passaggio al di là del modello delle società democratiche e di welfare (così come si sono realizzate storicamente). User-friendly è un termine appena allusivo, "leggero", per delineare uno scenario assai lontano, forse utopico. Peraltro, possiamo fare a meno di uno scenario come questo. Note 1) Paul R. Ehrlich e Arme H. Ehrlich, The Population Explosion, New York, Simon and Schuster, i990 2)"Le Monde diplomatique", n. 434, maggio 1990. 3) Conferenza Nazionale sull'Immigrazione, giugno 1990: un altro riferimento è la pubblicazione della Fondazione Giovanni Agnelli, Politiche immigratorie per l'Italia e per l'Europa, "XXI secolo", n. 1, maggio 1990. 4) W. Rogers Brubaker, Immigration and the Politics of Citizenship in Europe and North America. 5) Swedish Secretariat far Futures. Studies, Time To Care, Oxford, Pergamon Press, 1984. - 6) Helga Maria Hemes, Welfare State and Woman Power. Essays in State Feminism, Oslo, Norwegian University Press, 1987. 7) L. Balbo.L'uso del tempo come progetto sociale, "Politica ed Economia", n. 5, maggio 1988. 8) Le donne cambiano i tempi, Sezione Femminile, Partito Comunista Italiano 1990.

IL CONTESTO Gli studenti e gli immigrati Dati di un'inchiesta Betti Guetta, Luigi Manconi A Milano, dopo gli aspri conflitti tra abitanti di alcune zone e immigrati extracomunitari (marzo 1990), è stato distribuito agli· studenti, a cura della Fgci, un questionario strutturato. Le domande rivolte ai giovani (di età tra i 14 e i 19 anni) di dieci scuoledue classici e due tecnici, cinque scientifici, un linguistico - tendevano a individuare gli atteggiamenti nei confronti degli stranieri: aspettative e ansie, curiosità e diffidenza. I dati relativi à un campione di 1770 studenti sono stati analizzati da Betti Guetta e Luigi Manconi, con la collaborazione di Anna Paola Cova. (Stralci di questo testo sono apparsi su "La Stampa") Le prime due domande riguardavano il giudizio sulle tensioni registratesi a Milano intorno alla questione della casa. Il 27.3% del campione definisce molto nettamente come "razziste" quelle manifestazioni di ostilità; 1'8% indica come causa di tali reazioni la tendenza a difendere i propri interessi; il 20% ipotizza che vi sia, all'origine, un sentimento di insicurezza e di paura; infine, una percentuale molto elevata attribuisce la responsabilità del1 'intolleranza alle carenze della classe politica nel prevedere gli effetti dei flussi migratori. Questa responsabilità direttamente politica viene, nelle risposte successive, meglio individuata: fa un balzo in avanti (dal 44% al 64%) la percentuale di quanti attribuiscono alla giunta impreparazione e mancata programmazione; un'altra quota (complessivamente il 18.9%) dà una interpretazione diciamo così "di destra" - fortemente intollerante - di tale responsabilità pubblica, rimproverando alla giunta di non aver "difeso" dagli immigrati i cittadini italiani. Si delinea, così, un gruppo notevolmente elevato - riconoscibile in tutte le batterie di risposte e oscillante tra il 17 e il 20% - che possiamo definire "a forte rischio di razzismo". Si tratta, beninteso, di un "razzismo possibile", ma le premesse ci sono: e sono premesse significative dal momento che' parliamo di una fascia di età tra i 14 e i 19 anni e di giovani "privilegiati" (abitano in una grande città, sono studenti, non appartengono a strati sociali deboli). Raggiunge, infatti, il 18.3% del campione il gruppo che identifica straniero e deviante. Di quella quota, quasi il 16% ritiene che "la maggior parte degli spacciatori sono stranieri" e gli altri vedono la criminalità come - addirittura- manifestazione coerente delle culture di altri paesi e popoli. Per quanto riguarda la questione dei diritti da riconoscere agli immigrati, una maggioranza relativa di risposte esprime posizioni di incondizionata accettazione, mentre un altro segmento (percentualmente appena inferiore) condivide la seguente affermazione: "è giusto considerare gli stranieri che vivono a Milano cittadini come gli altri purché sappiano adeguarsi alle regole della nostra società". Qqesta risposta esprime, per un verso, un radicato (e comprensibile) luogo comune: ovvero è chi ospita a decidere le regole dell'ospitalità (o anche, più brutalmente, ciascuno è padrone a casapropria). Per altro verso, si tratta di una manifestazione davvero esemplare di etnocentrisrrw: ovvero forte enfasi sulla propria identità e richiesta, altrettanto forte, di accettazione di essa da parte degli stranieri. Per quanto riguarda il diritto al Manifestazione milanese (foto Brogioni, do "L'illustrazione italiano"). lavoro, una quota che sfiora la metà del campione ritiene giusto garantire un lavoro legale e una paga regolare. All'opposto, un . 15 % circa delcam pione si oppone perché teme la concorrenza nei confronti dei disoccupati italiani. Il restante 37% circa ha un atteggiamento strumentai~. Ovvero è favorevole a riconoscere quel diritto per ragioni utilitaristiche: per non danneggiare - attraverso la diffusione ulteriore del "lavoro nero" - i cittadini italiani; o per sostituire questi ultimi - attraverso l'occupazione regolare degli immigrati - in attività faticose o nocive. Le risposte rivelano, d'altra parte, una fortissima correlazione tra la resistenza a concedere diritti e lo stereotipo stranieri=spacciatori. Gli stessi che condividono tale equiparazione considerano sbagliato offrire il lavoro agli stranieri (perché lo sottrarrebbero agli italiani) e ritengono opportuno chiudere le frontiere. A questo proposito, emerge un 15% circa di studenti "terzomondialisti" (sottolineano le radici sociali ed economiche del sottosviluppo e rifiutano il "numero chiuso") e una quota significativa- quasi 1'11 % -di cosmopoliti (ritengono superati i confini nazionali). I cosmopoliti sono più numerosi di quanti (8.5%) reclamano, all'opposto, la chiusura delle frontiere. La grande maggioranza rivela un atteggiamento prudente ("programmare gli ingressi a seconda della disponibilità di posti di lavoro e di servizi"), di difficile interpretazione: si tratta di una strategia accorta - e, come dire?, "martelliana" - che auspica la programmazione degli ingressi per evitare l'esplosione di conflitti con i locali; o si tratta, invece, di una scelta "egoistica": sottoporre i flussi migratori ai nostri interessi piuttosto che alle esigenze di chi è costretto a emigrare (come proponeva un'altra risposta)? A proposito della relazione "nella stessa città" tra "etnie ~ culture diverse", quella quota di prossimi al razzisrrw (che qm supera il 20%) si scinde in due sottogruppi: uno, il più numero~, esprime un atteggiamento paternalistico o, a voler essere_seven, "colonialistico": l'incontro con il bianco è-per l'uomo di colore - un'opportunità (unilaterale, s'intende) di evoluzione: infatti: "può aiutare gli stranieri a progredire". L'altro gruppo non_s1 lascia intimidire dall'uso (volutamente "scandaloso" nel quesuo7

IL CONTESTO nario) dal termine inquinare e afferma che sì, effettivamente, la presenza di altre etnie è pericolosa perché, appunto, "inquinerebbe" la nostra cultura nazionale. Di fronte a una successiva domanda sull'incontro e lo scambio tra italiani e stranieri, le risposte sono particolarmente eloquenti. Quasi il 28% degli interpellati esprime indifferenza o rifiuto nei confronti degli immigrati. Il 19.4% dichiara imbarazzo: come se la curiosità e la disponibilità fossero trattenute dalla percezione della differenza (e della conseguente distanza). Eppure va notato che, qui, registra una rilevante crescita l'area dei "disponibili" (53%), così come raggiungono il 59% quanti, a una domanda precedente, rispondono di considerare la presenza in città di etnie diverse una "occasione di arricchimento". Si può sospettare che queste risposte rivelino una sorta di moda culturale, un riflesso-Benetton prodotto da una generica attrazione per "il dialogo tra i popoli", a prescindere dai costi psicologici che può comportare. . Tuttavia, di fronte alla personalizzazione del problema e alla sua manifestazione nella concreta figura del venditore ambulante di colore - e, dunque, rispetto ali' impatto reale con lo straniero nella vita quotidiana - la stragrande maggioranza degli studenti non esprime ostilità: ma, al contrario, comprensione. Resta un 7.7% di irriducibili, i quali ritengono, in sostanza, che "gli immigrati sporcano"; e un altro 5.4% che li vede come concorrenti dei disoccupati italiani. Certo, parliamo appena di alcune centinaia di studenti ma è comunque significativo che ottenga più consensi una risposta apertamente razzista ("rovinano l'immagine di una città moderna ed europea come Milano") che una difensiva ("rubano il lavoro agli italiani"). Il dato più interessante che emerge dalla disaggregazione delle risposte riguarda la ripartizione per sesso. Le studentesse rivelano un atteggiamento di disponibilità verso lo straniero che è sempre decisamente superiore a quello degli studenti. In particolare, tale differenza emerge quando si esaminano le risposte particolarmente ostili: in alcuni casi, la quota di maschi "prossimi al razzismo" è oltre due volte quella delle femmine. E se è vero che rispetto ad alcune risposte intensamente "emotive" - tali da suscitare sentimenti di simpatia - il consenso femminile è particolarmente alto, quel consenso premia, in maniera notevole, anche risposte "razionali". Altra variabile presa in considerazione riguarda la residenza degli intervistati. I risultati appaiono inequivocabili: l'indice dell'intolleranza cresce regolarmente e massicciamente dall'hinterland - passando per la periferia - fino al centro. Qui le risposte connotate in senso virtualmente razzista ottengono estesi consensi (18.6% per l'identificazione stranieri=spacciatori contro l' 11.6% dell'hinterland). · Va tenuto presente, d'altra parte, che le zone dove minore è l'intolleranza sono quelle stesse dove ci sono stati nei mesi scorsi conflitti più forti. Ciò potrebbe voler dire che, in tali zone, proprio quei conflitti abbiano prodotto una spaccatura generazionale: l'atteggiamento di rifiuto degli adulti induce tra i giovani un atteggiamento di maggiore apertura. Va notato, ancora, come gli studenti che esprimono molta (o abbastanza) preoccupazione per il proprio futuro professionale siano gli stessi che ritengono sbagliato riconoscere agli stranieri il diritto al lavoro ("perché diventerebbe più difficile per i disoccupati italiani trovare lavoro"); oppure ritengono giusto concedere quel diritto perché il lavoro nero finirebbe col "danneggiare anche i lavoratori italiani". Ne risulta confermata, ancora una volta, l'ipotesi che l'intolleranza razziale abbia un legame strettissimo con stati emotivi di ansia e di insiçurezza. Più che l'odio per l'altro, è la paura per sé che può determinare il razzismo. Non è una consolazione: è una constatazione. a Addioalla "cosa"? Goffredo Fofi Un convegno a Milano Il convegno "Nord Sud Est Ovest" da noi organizzatQ assieme alla Provincia di Milano nei mesi di marzo e maggio (in realtà incontri tra intellettuali di varie parti del mondo su un tema che ci sembrava d'obbligo: "dove si sta andando") ha avuto un notevole successo di pubblico. Le relazioni dei partecipanti compariranno in un numero autunnale della rivista. Un consuntivo? Al positivo, l'aver avuto la possibilità, per noi e per il pubblico, di incontrare alcune persone di altissima levatura umana, oltre che artistica e intellettuale, a sfatare il pregiudizio (tanto spesso però verificato) secondo il quale raramente a bravo intellettuale corrisponde brava persona o simpatica. Un'eccezione devo registrarla, ed è parere personale: mi è sembrato del tutto inadeguato all 'altezzà dei compiti che dice di proporsi l 'uruguayanoGaleano, intellettuale molto "ali' antica terzina", con il suo abisso di retorica e il suo modo di porre i problemi, con forti sospetti di insincerità derivanti appunto dall 'eccesso della retorica; e mi pare che i suoi limiti, diciamo pure il suo "ritardo", siano quelli di molti altri intellettuali in America Latina e altrove, che li rendono, mi pare, impreparati alle novità che si prospettano; anche quando d'accordo sui fini, emagari sulle analisi, I 'liso di modi ben noti (i mezzi! i mez- :z,i!) è tale da provocare estrema diffidenza. E lo dico per l'unico motivo del successo che questa retorica continua ad avere presso una certa sinistra italiana molto innamorata delle rivoluzioni altrui. Ma l'elemento davvero delicato di questo confronto tra persone pulitissime di varia provenienza è un altro. È la constatazione di una difficoltà grandissima a capirsi. Si parlano linguaggi molto diversi, e anche quando si è disposti a cercare in tutti i modi di capirsi, la difficoltà permane. Non è solo questione di essere portatori di interessi contrastanti tra loro, nell'immediato e oltre; è che si è rappresentanti di storie diverse, di culture diverse. E impressiona fortissimamente che, nell'era del villagg"io globale, nell'obbligo a farsi cittadini del mondo e imparare a ragionare in quanto cittadini del mondo, più grandi invece risultano le differenze, e più fortemente vengono affermate. Sarà dura, insomma. E forte è il rischio che il mondo venga_sommerso dai localismi e da scontri di tutti contro tutti, pur dentro il dominio dei grandi (anzi: del capitale, che da questo ha ovviamente da guadagnare). Gli intellettuali molto potrebbero e dovrebbero per contrastare tutto questo: incombe loro l' obbligo di mettersi il più possibile "al di sopra", e insieme quello del dialogo, e insieme quello del "capire". In questo senso, se dovessi dire con chi personalmente mi è accaduto, in questa nostra tornata di incontri, di trovarmi più in sintonia sul piano "intellettuale", è stato con gli inglesi Paul Ginsborg e Ian McEwan. Mi è sembrato che essi fossero ipiù lucidi, nelle analisi e nelle indicazioni dei compiti e delle priorità; ma in questo sono/ siamo la conseguenza di un vantaggio proprio "locale": credo che in Europa occidentale si sia goduto di grandissime possibilità di essere più informati che altrove e più "intelligenti" che altrove, perché meno sul fronte che altrove; ma di questi vantaggi pochissimi, mi pare, hanno saputo fare buon uso. In Italia, meno che altrove (e lasciamo dunque alle loro ciarle i ciarlieri, alle loro consolazioni i consolati, alla loro retorica i retori, alla loro soddisfazione i soddisfatti, alla loro dorata merda i, eccetera). Addio alla "cosa"? Si è perun certo tempo pensato che qualcosa potesse cambiare anche in Italia, si è creduto per esempio che il Pci potesse: a) perdere infine la sua parte gi storica non-opposizione, e lasciar cadere ai suoi margini la sua sedicente "sinistra" (pera! tro con scarsa possibilità di sopravvivenza, in questo caso, e che naturalmente ha tutto un passato da rivendicare di cui farebbe meglio a vergognarsi: per esempio, la

complicità nei confronti delle politiche a Est, sulla quale si sono lette ben poche "autocritiche" da parte degli integerrimi; per esempio, tutta un'ottusità che li ha sempre aggrappati ai poteri locali e portati alla spartizione di quelli centrali, altro che afareopposizione!); b) potesse diventare altro, perdendo via via anche la sua componente più burocratica, aggrappata alle sue cadreghe, e farsi più movimento, in osmosi col sociale, e radicato nel paese e non nelle sue istituzioni (alquanto marce) e corporaziorù (alquanto corrotte). Tutto questo, sembra di capirlo dalle ultime mosse spaventate del segretario, non accadrà: e si prospetta, mi pare, un lento sfaldarsi del Pci, risucchiato in parte altrove, in parte "nel privato". Ai suoi margirù si prospetta di già un altro sfaldarsi, o ricomporsi, nel gruppo, o ex gruppo-meglio: nel giornale che si comporta da gruppo - "Il marùfesto". E mentre i "vecchi" alternano accorate lezioni di identità comunista a ermetici saggi neo-liberty, i "giovani" non si sa bene cosa, poveri gattini ciechi, riusciranno mai a fare che non sia prevedibile. Lo dico, sia chiaro, con molto reale accoramento anch'io. Ma, d'altra parte, sesiè vissuti fuori del Pci finora si potrà pur sopravvivere anche a questo nonterremoto, a queste basse maree un po' fangose. Contando sulle Disegno di Pietro Zonchi. proprie - miserrime - forze. (Il paese è sempre più orrendo. Alla peggio si può sempre andarsene: siamo cittadirù del mondo, no?) Una lettura istruttiva Nel guazzabuglio di cose disparate che pubblica la Feltrinelli, trovo un libretto che mi pare utile consigliare ai nostri lettori. Si tratta di / limiti interni della natura umana. Pensieri eretici sui valori la cultura e lapolitica (Feltrinelli, pp. 113, · L. 20.000, troppe per permettere al libro la diffusione che merita) di Ervin Laszlo. Laszlo è uno dei fondatori del Club di Roma. Il libro è prefato dal compianto Peccei, altro fondatore. Con linguaggio estremamente piano, semplice, chiaro, immediato, Laszlo riflette sui modi in cui andrebbe rivisto il rapporto tra noi e il pianeta terra, e sui mutamenti che ne devono conseguire nell'umano comportamento anche politico. Non è poco. Laszlo, che mi pare felicemente a-ideologico nelle sue direttrici di pensiero, molto attaccato al concreto, riesce a dire da "persuaso" e non da "retore" alcune fondamentali verità. In un contesto che ci offre chiacchiere paludate o astruse, filosofiche massime e minime, neo-liberty o posttutto, sacrali ed ermetiche, baracconesche e televisive (a scelta), troviamo qui filosofia sul concreto, senso vero delle difficoltà vere e primarie, e perfino prospettive di azione, di cambiamento possibile. Si respira aria non inquinata, non asfitticamente narcisa, non superna. Il libretto non è trascendentale, è discutibile, ma serve, ci serve. IL CONTESTO Venezia Expò?Crash! Gianfranco Bettin La retrospettiva veneziana di Andy Warhol, a Palazzo Grassi, ha ospitato, nell'ultima.sala, leSilver Clouds, le nuvole d'argento, realizzate daWarhol nel '66. Si tratta di alcuni cuscini in poliester metallizzato, in pratica dei fogli d'alluminio saldati insieme eriempiti di elio che Ii fa lievitare e volteggiare _finoal soffitto creando un suggestivo effetto di nubi. Merce Cunningham, ricorda il catalogo, ha usato i cuscini trattenuti a mezz'aria da fili come elemento scenico per una coreografia (Rain Forest, del 1968). Il cielo sopra Venezia ha seriamente corso il rischio di essere percorso, nell'anno 2000, da simili nuvole. E da altre mirabilie: "nuvole artificiali prodotte con acqua fredda nebulizzata sui canali. Sulle nuvole vengono proiettate con raggi laser figure a colori, accompagnate da musica ... giochi di luce subacquei ... contenitori galleggianti illuminati di notte ... una palla di fuoco sospesa sull'acqua ... isole artificiali sparse in laguna". Non è la descrizione di un Piano Futurista per una Nuova Venezia (il seguito di "Uccidiamo il chiaro di luna!"), bensì il contenuto autentico del primo progetto di Esposizione universale da tenersi a Venezia nel 2000. Un progetto che aveva al centro il cosiddetto "Magnete", concepito nientemeno che da Renzo Piano, cioè una collina cava, alta trenta metri e sprofondante in un cratere di 120, capace di ospitare 70 mila persone per volta. Renzo Piano se ne è poi vergognato e ha infine ritirato l'adesione al progetto Expò. I primi deliranti progetti sono stati accantonati. Le ipotesi successive di Expò si sono fatte più morigerate, attente a non urtare la sensibilità di un'opinione pubblica, soprattutto internazionale, che non ha smesso di guardare a Venezia come a una "patria dell'anima" (Proust) e che ne pretende il rispetto. E che infine con una mobilitazione quasi senza precedenti, ha imposto il ritiro della folle idea da parte del governo italiano, il giorno prima che il Bureau International des Expositions si pronunciasse. Scrivo queste note il giorno stesso in cui il Governo ha reso pubblica questa decisione, e scrivo modificando un precedente testo già in composizione. Non è inutile tornare comunque sull'argomento: I'Expò è stata fermata, ma il cervello che ha il prodotto simili idee è ancora fecondo. E Venezia, come sempre, è luogo nevralgico che rivela un più vasto atteggiamento verso storia e natura, che denuncia, nella sua tenace epreziosa fragilità, gli squilibri e i colpi inflitti al tessuto vitale e ai vincoli imprescindibili che danno senso e prospettiva all'habitat umano. Che cosa si trattava di fare con l 'Expò? Si trattava di mobilitare risorse ingentissime per attrezzare un'area di già enorme richiamo a ospitare un gran "baraccone", un immenso luna park della tecnologia e dell'industria di fine secolo. Anche le stime più caute valutavano in alcune decirie di milioni i visitatori che sarebbero giunti a Venezia nei sei mesi dell'Expò (che si sarebbero aggiunti ai già eccessivi turisti "normali" e che.erano stati calcolati senza tener conto della nuova situazione dei paesi dell'Est, oggi e soprattutto allora più aperti alla mobilità, e del fatto ulteriore che il 2000 sarà anche l'Anno Santo del bimillena• rio della Cristianità, con prevedibili interminabili flussi di pellegrini in Italia). Pur con questa cautela, i visitatori giornalieri a Venezia venivano comunque calcolati in molte decine di migliaia con punte frequenti di centinaia di migliaia. Un peso insostenibile per la città lagunare. Non solo in termini fisici, però. Anche in termini economici. La città soffre da tempo di una monocultura 9

IL CONTESTO FoloArici (da"L'espresso"del 10/6/90). turistica che ne impoverisce e degrada sempre più il tessuto socioeconomico, spingendo alle stelle prezzi e costo della vita (bilanciato sulla spesa turistica e squilibrato, quindi, rispetto alle esigenze di una città di residenti normali). L 'Expò avrebbe esasperato tale meccanismo, già oggi impazzito e che necessita invece di una drastica, rapida limitazione. Altre attività produttive, diverse dal turismo, vanno rilanciate e reinventate in città. Venezia, studiando se stessa e misurandosi con i propri problemi, potrebbe ben altrimenti produrre, creare lavoro, ricerca, ricchezza tratta da nuove fonti. Il restauro, la conservazione e la fruizione intelligente del patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale, le tecnologie del mare, il disinquinamento, la cantieristica, la portualità, la trasformazione ecosostenibile del grande polo industriale di Porto Marghera, sono da tempo le vie di rinnovamento della struttura economica cittadina individuate da enti locali, università, istituti di ricerca, forze sociali e politiche. L'Expò si muoveva nella direzione opposta. In alcuni casi le strutture e le infrastrutture previste risultavano alternative a quelle necessarie (i capannoni dell'Expò che rubavano spazio a sedi universitarie_ o a centri di ricerca o di produzione, così come le vie di collegamento tra le sedi espositive non c'entravano niente con i problemi di comunicazione dell'area veneziana, anzi li complicavano ulteriormente). I fautori dell 'Expò hanno parlato di una fiera dell' immateriale, e qualche anima candida, qualche forsennato cultore della "modernità", si sono bevutila storiella (tra questi, il Gruppo Ario, di cui fa parte Fni.nco Berardi "Bifo" che ha pubblicato sul "Manifesto" un elogio di questa idea di Expò - ovviamente ripreso subito dall'entourage di De Michelis - che sembrava scritto da Benni, per sçherzo - e invece era autentico, ahimè!). Sarebbe, spergiuravano, l'Expò della circolazione immateriale e della telematica. Circolazione immateriale! Nell'epoca della massima mobilità fisica (e motoristica!) mai conosciuta dall'umanità! E come se la teletrasmissione- di dati, notizie, immagini, voci - non si accompagnasse all'aumento degli spostamenti concreti. Bifo e De Michelis scambiano un'Expò per "Giochi senza frontiere" o per la finalissima della Coppa del Mondo di calcio, che durano un paio d'ore con ingresso a biglietti limitati. Ma Venezia sarebbe stata lì, inevitabilmente aperta, per sei mesi, durante l'Expò del 2000. E il meccanismo dell'attesa e il richiamo dell'evento sarebbero stati tali da invitare a "esserci", non solo a tele-vedere. Ed è stato ampiamente dimostrato che una città non si può chiudere, non si può regolarne l'accesso come se fosse uno stadio o un museo o uno zoo, se non a prezzo di sospendere le più 10 elementari garanzie di libertà e di renderla invivibile ai suoi stessi abitanti. Ma forse quest'ultimo problema non ci sarebbe stato, infine. L'accelerazione massima del processo che sta da tempo svuotando e snaturando Venezia, implicita nel progetto dell 'Expò, avrebbe reso deserta la città, popolata solo di mercanti e venditori di bigiotterie simil-veneziane prodotte a Hong Kong. Un degno approdo, volgare e venale, del secolo più sciocco e più superbo. Nessuna città al mondo mostra più di Venezia quali danni il nostro secolo, il tempo della "modernità", ha inflitto all'eredità storica e culturale, non meno che al patrimonio ambientale, dell'intero pianeta. È proprio l'eccezionalità di Venezia, che concentra questi valori in modo inaudito, a rivelare la natura cieca e predatrice del secolo che si concl~de. Non è solo, i~_'900, il secolo terribile dei lager e dell'atomica. E anche, e forse pm durevolmente, più inguaribilmente, il tempo della dissipazione e della conta" minazione. Il tempo che ha sprecato il tempo precedente, il passato stesso; la storia fossile e la storia dell' arte,_lasto~iaumll?~ fiorita nelle architetture come nelle tecniche, negli spazi costru11:J., ·e la storia naturale, dal lichene alla sequoia, in Amazzonie millenarie d'un tratto recise. La memoria, la tecnica, la pazienza che hanno costruito con fatica e genio una città come Veneziaun sistema di equilibri complessi: quasi un "miracolo" - sono storia, sapienza accumulata, che il '900 ha stravolto, dissipato. Sotto nubi d'alluminio e una luna d'acciaio - oppure "immateriale", in diapositiva - con un bel replicante vestito da gondoliere che canta a gettone "Venezia, la luna e tu": ecco un bel quadro, ecco il posto ideale per celebrare degnamente quelle nozze tra ragione e incubo di ·cui parla J .G. Ballard introducendo il suo Crash: "Il matrimonio tra ragione e incubo che ha dominato il XX secolo ha generato un mondo sempre più ambiguo. Il paesaggio delle comunicazioni è attraversato dagli spettri di sinistre tecnologie e dai sogni che il denaro può comprare". Anche se la luna dimiele, prevista a Venezia nell'anno 2000, è per ora sospesa. Chiscrive, legga Grazia Cherchi La rivincita della merda Mi pareva che al trionfo del vocabolo multiuso "cazzo" corrispondesse ilcalo della parola "merda". E invece l'altro giorno sul metrò, due uomini sui quarant'anni, pigiati accanto ame, non hanno smesso per tutto il tragitto di usare a ogni piè sospinto detta parola, anche in certe sue variazioni, tipo "merdoso" e "merdone". Dalla merda insomma non uscivano proprio. Siamo scesi alla stessa fermata e avendoli proprio dietro di rrie anche sulla scala mobile ho continuato a sèntirli concionare a colpi di merda. Siamo infine usciti nell'aria indubbiamente merdosa di Milano e mentre io mi fermavo ad aggiustarmi il solito carico di libri, uno dei due si è appoggiato con una mano al palo lì accanto. Subito si è ritratto inveendo: "Merda! C'era attaccata della merda!", mostrando il palmo maculato al compagno. Chi di merda ferisce ... Mi è subito venuta in mente una poesia di Hans Magnus Enzensberger, che apparve nel 1972 su "Quaderni piacentini", e il cui titolo era, per l'appunto, La merda. Eccola: "Sempre ne sento parlare/ come se avesse colpa di tutto./ Ma guardate come mite e modesta/ -ella si asside tra noi!/ Perché insozziamo/ il suo buon 'nome/ e lo appiccichiamo/ al presidente Usa,/ alla polizia, alla guerra,/ e al capitalismo?/ Com'è peritura,/ e com'è duraturo/ ciò che chiamiamo col suo nome!/ Lei, l'arrendevole,/ ci viene sulla punta della lingua/ per designare gli sfruttatori./ Lei che abbiamo

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