Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

CINEMA sinistra statunitense, Moore era arrivato nel 1986 alla direzione di "Mother J ones" che, diversamente da quanto suggerisce il nome, che è quello di una grande agitatrice operaia famosa tra i minatori cent'anni fa, è una rivista del liberalism intellettuale di sinistra perbene pubblicata a San Francisco. Licenziato anche lui, per essersi rifiutato di pubblicare un articolo antisandinista, Moore se ne tornò nel 1987 a Flint e investì i soldi della liquidazione nel film: esattamente a cinquant'anni dalle lotte per l'occupazione del '37, la depressione si abbatteva di nuovo su Flinte in entrambi i casi l'antagonista continuava a essere la GM. Ora gli operai non hanno la stessa forza e determinazione di allora; Moore.non lo dice, Io fa vedere. Tanti, che erano venuti su dal Sud, caricano i furgoni U-Haul e se ne vanno. I furgoni vengono noleggiati per la sola andata e i nuovi sfrattati non ne trovano più per caricarci la loro roba. Ma non è soltanto che gli operai del '37 avevano più fame di adesso. Anche il sindacato che PARADOSSI CÈCHI UN Fll.MDEL'68 SUL'48, CHEEPOSSIBILVEEDERESOLONEL'90 GianniVolpi stavano formando allora era ancora uno strumento nelle• loro mani. E poi, allora, non avevano ancora subito decenni di martellamento teso a convincerli che la classe operaia non esiste più, che anche loro sono classe media. All'inizio del film, Moore dice: "Da bambino credevo che per la GM lavorassero soltanto in tre: Pat Boone, Dinah Shore e mio padre". Potenza della pubblicità televisiva. In realtà, l'universale delle divisioni di classe che Michael Moore riscopre a Flint non aveva mai smesso di esistere; era stato sottratto alla vista, spesso, paradossalmente, degli stessi operai. Negli anni di Reagan, i ficenziamenti di Flint e Detroit, delle acciaierie di Youngstown e Pittsburgh, dei cotonifici del Sud, delle fabbriche di pneumatici di Akron hanno ridato agli operai i loro connotati di classe. Come, più o meno negli stessi anni, a Torino, a Billancourt, nelle miniere inglesi, statunitensi e sovietiche. Uno zoo dove si portano le scuole in visita d'istruzione. E il grottesco serpeggia in sottofondo, dietro sprazzi di epos burocratico, dietro il mutar d'abito del sindacalista d'ispezione ai lavoratori, dietro le riprese di documentari sui sentimenti antiimperialisti del popolo, e raggiunge il suo culmine nella visita di uno svampito Presidente dello Stato che parla di "musica" della storia a chi chiede giustizia. C'è una componente paradossale nel caso di Allodole sul filo, Orso d'oro a Berlino appena liberato dopo vent'anni di sequestro, che aggiunge interesse alla sua agile grazia di commedia sociale. Come se esso stesso fosse stato protagonista di quei paradossi della storia, in cui è maestro lo sceneggiatore Bohumil Hrabal. Allodole sul filo è un film del '68 (è stato finito nel '69, giusto alla vigilia della definitiva liquidazione della Primavera e di Dubcek a settembre) che parla del '48 e risulta attuale oggi, dopo l'inverno '89- '90. Come se i suoi protagonisti, che nella scena finale vediamo scendere nel buio di una miniera dove lavorano da forzati, si fossero illusi di essere riemersi alla luce nella breve primavera del '68 e soltanto oggi potessero davvero esprimersi e dire la propria ragione. leit-motiv, di tanto in tanto compare un'auto della polizia a portare via chi discute, chi critica, chi chiede ragione degli "scomparsi". Ma Menzel è un maestro più di grazia che di cattiveria. E Hrabal mostra quasi sempre una malinconica ironia di fronte ali' assurdo quotidiano (lui la chiama "malinconica trascendenza"). Anche la discesa agli inferi della miniera (vertiginoso carrello verso il buio finale) è un•esperienza cui gull!dare con sarcasmo, utile al professore per "approfondire" la propria filosofia. Anche la nuova separazione tra i due giovani sposi per procura, ora lui condannato e lei in libertà, non distrugge il loro incontaminato idillio. "I dolori e i colpi del destino li considero un gioco". Ciò che conta per il Hrabal e il Menzel che da più di vent'anni collaborano in pro fonda sintonia, sembra essere la rieMa chi sono questi protagonisti? Sono gente comune, un po' bizzarra, secondo una certa maniera di Hrabal e una sua vena a mezzo tra surreale e neo-picaresca; sono i componenti di un'eterogenea brigata di lavoro in un deposito di rottami a Kladno, tutti con qualche residuo "borghese": un piccolo cuoco ebreo che non vuole lavorare di sabato, un suonatore di sassofono, dunque un "irregolare", il direttore della biblioteca nazionale, un giudice, un caposquadra comunista che "pretende" di discutere con il Sindacato ufficiale i carichi di lavoro, qualche ex-bottegaio. Siamo nel '48, il Putsch comunista è appena avvenuto. Al di là della rete, sorvegliate da un giovane poliziotto, lavora un gruppo di donne condannate per avere tentato di fuggire in occidente. None 'è dramma, com'è di Hrabal e com 'è di chi pensa di parlare di cose passate. Giovanni Giudici una volta ha definito Hrabal un "Kafka che ride". Ecco: qui si ride, ci si commuove, si gioca sul sentimento, sul bozzetto, sull'idillio come espediente per non morire. Ma Kafka è pur sempre in agguato. Come un Il film racconta soltanto esistenze "basse", buffe nella loro debolezza umana e sociale, esistenze nelle cui carni sono incise schegge di storia, ma di una storia svelenita dal sereno stoicismo di Hraba(e dal!' arte della commedia di Menzel. Oltre che dal "clima" politico del tempo. In effetti, il quadro èpreciso, duro senza acrimonia. Quello di Kladno (Hrabal stesso vi ha lavorato in quegli anni) è una sorta di "zoo umano dove si addomesticano gli istinti di intelligenza, di individualismo e di critica". Una scena di Allodolesulfilo.

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