Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

del suovolto, si senteche questorapido declinonon è dovutosolo a circostanzeesterne o a fattori tecnici pur sconvolgenti,come la finedel"muto". La veritàèchenonc'èposto, comunque,perquesta rigorosaunitàdi concezionee di stile,nell'America del New Deal, nellasocietàimmediatamenteposterioreallacrisi.Inunaborghesia che si riprendee ricostruisce il mitodel proprioottimismoservendosi del cinemacome amplificatore,l'ottimismo tragicodi Keaton risultaingombrantee irripetibile.MentreChaplineLloydvincono UN SOGNO Carmelo Samonà · Il testo che segue è il primo di cinque sogni fatti da Carmelo Samonà durante la malattia che lo ha condotto alla morte: i primi quattro fatti a Parigi tra l'ottobre e il novembre del 1989, l'ultimo a Roma. Sono stati trascritti pochi giorni prima di morire, e a essi Samonà ha aggiunto due note di introduzione e postfazione, che insieme ai sogni compariranno in un prossimo numero di "Paragone". Dobbiamo a Cesare Garboli, direttore della rivista, la possibilità di proporre qui il primo di questi sogni. Ricordiamo Carmelo Samonà (Palermo 1926 - Roma 1990) ripubblicando inoltre un suo testo poco noto, incursione in un campo, la saggistica cinematografica, che non era per lui abituale nonostante fosse un cinéphile attento e appassionato. A suo modo, e cioè con interessi molto personali e una cultura ad amplissimo raggio, e senza nulla della fastidiosa monomania dei critici. Autore di studi di ispanistica (inse- _gnavaletteraturaspagnola all 'universitàdi Roma), egli si cimentò solo nel 1978 con il romanzo, dando con Fratelli uno dei testi più intensi e misurati della nostra letteratura recente, cui hanno fatto seguito /1 custode (1984, ancora presso Einaudi) e, a compimento di una sorta di ideale trilogia, Casa Landau, tuttora inedito ma di cui si annuncia la SAGGI/SAMONÀ la battagliadel sonoroconautorità,negandolodel tuttoo riuscendo a sfruttarloconastuziae fiutocommerciale,Keaton,sottoicolpidel nuovocinema,sidisgrega,diventafacilepredadiregistidiquart'ordine, di produttori opportunisti. La tremenda coerenza del suo personaggiolocondanna.Otuttoo niente:o il controllodelproprio gestonel gran teatro delmondoo lachinadellatotalepassivitàedel- !' appiattimento, fino alla scomparsa definitiva dai repertoridi successo. pubblicazione presso Garzanti. Di Carmelo Samonà, amico e collaboratore, "Linea d'ombra" ha pubblicato nel n. 20 (ottobre 1987) l'atto unico Ultimo seminario. Il breve saggio su Keaton è apparso nel vofome collettivo Scritti in ricordo di Gabriele Baldini, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1972. Ringraziamo i famigliari di Carmelo Samonà per averci permesso di riproporlo. (G.F.) Scendo infretta le scale della mia casa romana. Qualcuno.forse più di una voce, mi ha chiamato da basso. Awerto, nella discesa, una certafatica alle gambe, come se le ginocchia mi si piegassero ad ogni gradino. /1 constatarlo mi dà_una punta di irritazione verso chi ha chiamato. "Perché non sono saliti loro da me?" penso "Lo sanno in che stato sono". Ma nel pensarlo, non ho in mente nessuna qualifica diquellostato;Arrivodisotto.Esco.Mifermosulmarciapiededavanti al mio portone, che ho cura di lasciare accostato, e li vedo in molti, schierati dalla parte opposta della strada, che in quel punto si allarga vistosamente in un ampio spiazzo. Sono certo di aver individuato almeno due o tre intimi amici, uomini, e in mezzo a loro sicuramente mia moglie e mio figlio. "Beh, dico, venite voi da questa parte e salite a casa. lo non me la sento di uscire." La mia voce è chiara e alta come quando godo di buona salute. Gli amici, e con loro imiei duefamiliari, protestano, prima allegramente poi con una certa impazienza, sollecitando me a raggiungerli. Non ricordo esattamente che cosa dicano, ma ricordo bene quel salto di tono della rich~esta: che si fa più insistente, pressante, e quasi urgente col passare dei minuti. A questo punto è .inme che comincia una lieve angoscia. In quel momento la strada incui abito, solitamente rumorosa e movimentata da un traffico ininterrotto, è del tutto deserta: non vi sono automobili (se non li! poche macchine parcheggiate), non vi sono passanti, e tutto sembra immerso in una grande quiete. Eppure io non riesco a lasciare il marciapiedi; e a grandi gesti, perché ora anche la voce mi si inceppa, cerco di spiegare agli amici la difficoltà che mi impedisce di accontentarli. Quanto dura questo dialogo muto? Non ricordo, né ricordo i tentativi[ alliti di lasciare il mio posto e di attraversare la strada, che forse ho eseguito più volte g~ffamente. Quel che è sicuro è che ad un certo punto mi arrendo e decido di abbandonare amici e sortite e di rientrare a casa. Ma quando mi volto indietro e sto per farlo, mi accorgo che alle mie spalle è il deserto: tutto è scomparso, la casa, gli altri palazzi, i sontuosi alberi retrostanti, ogni cosa. E vedo - ma dovrei direpiuttosto avverto, con una sensazione di orrore mista a una strana rassegnazione (come se l'avessi saputo da tempo), - una pianura brulla e grigia (che, penso, è pur diversa dal nulla, è una cosa della terra), di dimensioni enormi, senza fondo, con una linea incerta che si perde su una parete pure grigia, opaca, assolutamente amorfa, estranea a ogni idea di orizzonte, di tramonto, di fondale o marchingegno teatrale, difinitezza, di limite o confine percepibili dalla mente. Non so se m'incammino in questa caligine polverosa, o se rimango fermo. So che non ho alcuna tentazione di voltarmi ancora verso gli amici, verso i miei cari. E questo è già simile a un incubo. Forse per aggirarlo, a questo punto mi sveglio. 85

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