SAGGI/TADINI abusarne, in modo furioso. Finché sembra che il tragico lo consumi interamente, quell'agire, che non ne lasci in piedi neanchel'ombra. Ma arriva il comico-e tra la polvere riesce a trovare, di quell'agire, residui, resti, poveri avanzi. Li compone, li ricompone, li moltiplica. Così la sua voce, fra quattro risate e le rovinedella scena tragica,può farrisuonare parolecome''malgrado.tutto" e "comunque". Che umile magia! Perché il comico ha l'aria di potersi reggere per l'eternità? Non solo perché ride anche del tempo. Fo~e perché l'assoluta necessitàdella sua funzioneè così evidente? E come se il comico spostasseun poco più in là quella parola "Fine" che era apparsa, monumentale, gigantesca, sullo schermo del tragico. Come se il comicoaprisse, allo "spettacolo", un altro spazio, supplementare ed essenziale.Nel niente. Ogni tragedia sembra concludersi con definitivoe clamoroso "Allorabasta!". Ma poi il teatrova avanti, continuaregolarmente. Nel comico. (E non solo il teatro, quanto a questo). · Perché ci siamo dentro, e, certo, lo scenario, per noi, è raccapricciante.Ma non è comico che la specie abbia prodotto il suo massimo sforzo materiale e mentale per arrivare a contrapporre al Big Bang cosmico il suo bravo Piccolo Bang planetario - quello della Bomba? Ma andiamo, un'estinzione generale, realizzatacon questo mezzo (e come punto d'arrivo delle magnifiche sorti e progressive e della tecnica e tutto) sarebbe davvero il massimo della comicità. Per chi fosse in grado di guardarsi lo spettacolodall'esterno e da infinitamente lontano, naturalmente. E se fosse tutto una specie di kolossal comico, messo su per divertire qualche immortale pazzoide?) C'è un nesso fra disperazione e comico. Un nesso c'è anche fra disperazione e tragico, lo sappiamo. Ma cambia qualcosa, dall'una all'altra di queste relazioni. Forse perché lo sforzo furioso del tragico è teso proprio a negarsi la conoscenza della disperazione. E come se per il tragico la disperazione fosse ancora,e nonostante tutto,un incidente. Smisurato, tremendo:ma un incidente. Tutto preso com'è con il destino, il tragico, insomma, si impedisce di arrivare a destinazione. Sotto: Harold lloyd nel pericolo. 80 Con quel suo gran darsi da fare, là figura del tragico non si spostadi un centimetro. Se si spostasse, finirebbe per arrivare ad incontrare la figura del comico. Incontrerebbe se stessa integralmente mutata nel comico. Comica finale? La comica è finale. Forse si potrebbe dire che ciò che nel tragico è disperazione diventanel comico qualcosa che potremmo chiamarecon il nome di "disperanza". La parola disperazione nomina un agire. La parola disperanza potrebbe nominare uno stato.Uno si abbandona alla disperazione.Uno sta nella disperanza. (Anche se bisogna ammettere che l'equilibrio, lì, da quelle parti, ha proprio l'aria di essere instabile- e non soltanto a causa del gran ridere). Nello spazio vertiginoso che dopo il tragico continua ad aprirsi nel comico, cose si fondano. (Si fondano!Si fa per dire...). Anche se giù in fondo ha l'aria di esserci il regno degli orfani, piuttosto che quello delle Madri... Dal tragico al comico. Forse, tra scossoni e frastuono, questo è il viaggio, forse questoè ilpercorso. Ma,unviaggio,unpercorso, che si fa nello stesso spazio e nello stesso tempo. Per arrivare dove? Forse proprio a quello che cercavo di nominare con la parola disperanza - a questa specie di dislocazione e ristabilimento tutto in una volta, e una volta via l'altra ... Nel comico si mostra una specie di giustizia. Che senso ha, qui, questa parola, giustizia? Forse ha il senso che le diamo quando usiamo l'aggettivo che ne deriva in espressioni come: "il posto giusto", "il modo giusto", "il giusto atteggiamento", "il puntodi vistagiusto". (Questo,naturalmente, nonvuolecertodire che nel comico agisca qualche specie di innocenza). . Siamo riusciti a determinare la presenza di stelle invisibili servendoci soltanto di una serie di calcoli. Ma che le cose nude e crude sianopresenti, esistano, il nostro linguaggiosembraportarci continuamente e soltanto a smentirlo. Perché il linguaggio - per sua "natura" - deve pretendere di mettere al posto delle cose il proprioartificio. (E così spostate, le cose, dove vanno a finire? Cadrannogiù, da qualcheparte?). Questo è comico. Anzi, è forse qui che il comico si fonda. Dopo il furibondo trepestare del tragico, impigliato in toghe, panneggi e stoffe in subbuglio, è come se il comico, arrivando in scena, volesse farci capire che le nude cose esistono, da qualche parte. Nella parte davvero inesplorata del mondo - insieme ai leonesdi una volta. Sull'altra faccia della terra. Ma il comico non nepar!ain modo esplicito.Non cerca neanchedi indicarle, quelle cose. E questo il suo pudore. Come in quel giuoco, che si ride, in cui chi "è sotto" deve far capire soltanto con i gesti una par9la, un nome... Quante parole, che proprio non ci sono, ci sbracciamo noi, comicamente, a voler fare indovinare a tutti i costi agli altri - e a noi stessi - di continuo? Dunque, il comico viene dopo il tragico. Nel tempo. E da che cosa lo si capisce, che qualcosa è "passato"? La solita storia: aumento del disordine, appiattimento dei livelli di energia, lo .
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