Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

SAGGI/TADINI comico che il fato si rivela come un apparato che ha a che fare con la meccanica più che con qualche trascendenza. Caduto l'ultimo agonizzante, recitata l'ultima parola dell'ultima battuta, finita insomma la tragedia, il fato si solleva sulle ginocchia i pesanti paramenti e va di corsa a recitare la sua parte sul palcoscenico della commedia. E il suo ruolo non è poi così diverso. Il comico smaschera il fato. Di quella che nel tragico appare come una oscura volontà infinitamente superiore e spietata, ma pur sempre inventata a immagine e somiglianza della nostra mente e dei nostri sentimenti, il comico osa mostrare il funzionamento effettivo, da meccanismo impassibile e indifferente, da pura e semplice legge fisica. E qui si dà il sublime che appartiene al comico. (L'uso che il comico fa dell'osceno è probabilmente anche una delle forme in cui si manifesta la sua irresistibile tendenza a rappresentare il fato come meccanismo). In ogni risata agiscono insieme, per un attimo, due cose che hanno l'aria di essere addirittura contrastanti fra loro: una piccola presa di coscienza, e una specie di abbandono ... la risata è, nei confronti del comico, come una lezione imparata. 11fato è proprio come un'invenzione da comica del cinema muto. È una forza che costringe le persone a trasformarsi in cose. E, come nelle comiche del muto, il fato si serve soprattutto di due effetti: quello della accumulazione e quello, fondamentale, della accelerazione. (Lo fa anche nella tragedia, quanto a questo. Quando disastri sufficienti per un anno e per un'intera città si precipitano, in un attimo, giù sulla testa di un solo individuo). Il che vuol dire che le comiche del muto· mettevano in scena qualcosa che assomigliava molto da vicino al fato. ~a si può anche dir~: quelle comiche ci hanno mostrato che la velocità in se stessa potrebbe essere la sola metafora che ci è rimasta per alludere a quella cosa che un tempo si chiamava faio, e per avere, con quella cosa, qualche rapporto - per metaforico che sia. (Questo spiegherebbe in parte il vero e proprio culto che noi tributiamo alla velocità in tutte le sue forme. E anche tutti i sacrifici umani che le offriamo). C'è un terzo effetto di cui si servono "allo stesso modo" il fato e le comiche del muto: È l'effetto rovina. Quando tutto quanto crolla in un colpo, e va in pezzi, quando la distruzione si attua tumultuosamente e a grande velocità. Le comiche del muto mettevano in scena ibridi - ibridi fatti metà di carne e ossa (e un minuto di sentimento - come una specie di alibi) e metà di elementi meccanici. Quella del centauro, in confronto, era una figura affabile, tranquillizzante, addirittura ecologica. La natura animale come immagine estrema della diversità - figuriamoci! Pensate alla mostruosità che siamo riusciti a mettere insieme noi: ibridi metà uomo e metà cosa ... E non solo nei film! 11tragico si dà un gran da fare a sforzarsi di lottare con il niente. 78 A pagina 79, Inalto BenTurpine Harry Langdon; sotto:StanLaureie Oliver Hardy. · Il comico, nel niente, è come se ci fosse nato e cresciuto. (Per questo il brutto e lo sbagliato che sono nel comico non ci disturbano). Il tragico è il dibattimento. Il comico è la sentenza. Arriva la citazione. La prima e l'ultima. Ma ci vuole. È nella Estetica di Hegel. Nel tragico, "l'eterna giustizia si afferma sugli scopi e sugli individui particolari, in modo che la sos~~a. mor~e e la sua unità si ristabiliscono con il tramonto delle md1v1dual1tà che disturbavano il suo riposo". E: "Comica è la soggettività che porta in contraddizione e dissolve da se stessa il suo agire, ma rimane ugualmente in quiete e certa di sé". Mi sembra che Hegel dica che il soggetto, che nel tragico è posseduto, si possiede nel comico. Il niente, il negativo ... Quella cosa lì, che le parole sembrano rifiutare nell'atto stesso di nominarla (un po' come un servo vigliacco da commedia - che nega e ammette nello stesso tempo) ... È solo di fronte al tragico, e poi, definitivamente, di fronte al comico, che il negativo, il niente, può prodursi nel suo numero più spettacolare, da grande illusionista: trasformarsi.per qualche momento, nel suo opposto. Che sia quella, la figura del famoso essere? Una figura, forse. Certo il risultato di un processo. Questo, coinunque, è quanto passa il convento. L'effetto comico (da comica del muto: accumulazione, accelerazione e tutto) nella scrittura di Céline. Che poi, a proposito, sarà in sostanza tragica, o comica? Tutt'e due le cose insieme, naturalmente. Che sia stato il teatro a mostrarci il tragico e ilcomico allo stato quasi puro dipende forse dal fatto che nel teatro si mostrano e si muovono non solo parole e figure, come in letteratura e in pittura - ma corpi. (E il cinema? Sono corpi, o figure - quelli che si mostrano in un film? Li vediamo, voglio dire, come corpi o come figure? O li vediamo in una specie di ambiguità - in una "terza forma"? Che proprio questa sia la domanda buona per arrivare a capire ancora qualcosa a propositç>del cinema- e della fotografia?) Comico, in qualche modo, è, nella tragedia greca, il coro - sempre pronto a spettegolare su quella dismisura che il tragico continua a mettere clamorosamente in scena. (Comico è l'effetto della presenza del coro, voglio dire, non le parole che il coro pronuncia. È forse l'effetto di quella presenza a preannunciare l'arrivo immancabile della commedia finale). Nel fenomeno del riso isterico che ci prende davanti a qualche terrore, in quel puro e semplice tendersi di nervi, è come se il corpo, dandosi a quelle risate da meccanismo, mostrasse in un suo modo oscuro, di "saper dove andare". Il corpo è ciò che soprattutto sembra ostacolare l'impulso che, dal di dentro, sospinge con grande violenza il tragico a mostrarsi. Per il comico, il corpo è un magazzino di valori "disperati" (ma non nel senso melodrammatico della parola "disperati"). Il tragico sembra usareparossisticamente dell'agire. Sembra

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