Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

IL CONTESTO Stando così le cose non sembra esserci alcuna ragione perché la spaccatura tra Nord e Sud non aumenti e non si consolidi. Le leghe non sono, come è stato detto in modo rassicurante, un movimento di protesta qualsiasi. Esse hanno portato alla luce, in forma egoistica, populista e - come dice uri mio amico - "bavarese", una linea di frattura reale che il sistema dei partiti, con la sua vocazione "nazionale", aveva fatto di tutto per occultare. Ossia quella tra un Nord che si reputa emancipato e capace di fare da sé e un Sud in preda a un potere capillare di stampo politicomafioso, che sta darido con successo il proprio assalto allo stato. Quella delle leghe è del resto una prospettiva "moderna" nell'Europa del post~comunis'mo, dove le fratture territoriali balzano ovunque al primo posto. Non fanno lo stesso gli sloveni, ì lituanT e molti altri? Il segno è di destra. Il problema no. Il voto chè fugge e la vittoria dei corrotti Marino Sinibaldi Avevamo provato, qualche mese fa, a spiegare le elezioni romane- la vittoria degli "immorali" democristiani di Sbardella contro la campagna "moralista" del Pci - ricorrendo a qualche categoria forse grossolana ma legata alle poche indicazioni concrète che ricerca sociale e analisi politica sono in grado di fornire sulla vita nelle metropoli. Una miscela di totale rassegnazione e di fede in una miracolosa sopravvivenza di fronte ai problemi sempre più gravi, inaffrontabili, oppressivi- il traffico, la salute, l'inquinamento, la micro e macro criminalità - pareva il possibile retroterra mentale, la radice psicologica e materiale, di quelle scelte politiche. E una rinnovata discriminante ideologica - l'impopolarità del comunismo, ormai visibile via satellite - doveva sembrare, agli elettori romani, la conferma migliore della giustezza e perfino, per così dire, della nobiltà del proprio voto. In questi mesi una ricerca dell 'Ispes - se n'è trovata notizia nei giornali .del 29 aprile, proprio alla vigilia delle elezioni di maggio - ha confermato in termini clamorosi quelle intuizioni. L'adattamento progressivo e indifferenziato a una "società della raccomandazione", il ricorso di fronte alla catastrofe del sistema sanitario, "ali' amico che conosce un amico che conosce un medico", l'indifferenza verso la truffa dei concorsi pubblici "perché in qualche occasione anche noi ne siamo gratificati" sono solo alcune delle reazioni e dei comportamenti di cui abbiamo larga esperienza nel quotidiano e che nella ricerca dell'Ispes disegnano i tratti della "condizione umana" nelle nostre città. Forse queste modeste considerazioni sembrano di scarsa suggestione di fronte ai voli pindarici di una certa sinistra che pare elaborare le sconfitte lasciandosi sedurre dalla celebrazione dei nuovi sentimenti, le nuove opportunità, le nuove libertà, la --- 6 leggerezza dell'individuo moderno e postmoderno. Ma credo che questa attenzione da passerotti sia oggi più utile di tanti sguardi da aquile, per usare la distinzione amata da Gaetano Salvemini. Tanto più se si ragiona, come capita per queste righe, a proposito e a ridosso di un'occasione ormai prosaica quanto poche altre cose come sono le elezioni. Dietro l'apparente deflagrazione del "voto di protesta" (astensionismi, localismi e Leghe varie), il voto di maggio non ha espresso sorprendenti novità. Il suo esito.sembra, almeno all'immediato, confermare attese, tendenze, previsioni. Eppure, con l'evidenza cinica e dura dei numeri, qualcosa può dirci, qualcosa di vero-e non più, non solo di artificialmente politico - sul volto di questo paese e sulla sua cultura. Qualcosa di vero, sa non di sorprendente, appunto. Non sorprende il successo delle Leghe, anche se può e deve scandalizzare. È il frutto di.una disgregazione di quello che era il terreno della politica, di una dilapidazione di attese, fiducie e ansie di trasformazione, di una mobilitazione dei sentimenti più meschini e triviali: vale à dire di ciò che ha contrassegnato in modo trionfante la vita italiana dell'ultimo decennio. Ed è anche l'ennesima incarnazione di un'anima molto più antica del carattere degli italiani, quella per comodità definita qualunquista, ché trova nella brutale semplicità del messaggio delle Leghe un suo provvisorio approdo. Semmai è interessante che questo qualunquismo non abbia più nulla di straccione e non evochi nessun assalto lazzarone allo stato, ma piuttosto la volontà di una feroce difesa del proprio ruolo, delle proprie posizioni, dei propri interessi e privilegi, dagli "altri". Un qualunquismo ricco, alla svizzera, da "la barca è piena". Che come il qualunquismo storico è ambiguo: contiene richieste d'ordine e impulsi sovversivi. Ma è fatto di gente che ha molta forza e molto "potere"; e molto da perdere, ormai. Per questo può spaventare e disgustare; ma non ' sorprendere. E non sorprende la sconfitta del Pci - né stupisce, per liquidare la questione, che non se ne avvantaggino né i socialisti né i verdi, salvo i pochi luoghi dove questi ultimi non sono il rissoso rifugio di carrieristi più o meno "di sinistra". Dopo le considerazioni pessimistiche sulla società enunciate più sopra, è impossibile qui ripetere la giaculatoria sul "ritorno al sociale" improvvisamente popolare tra i sempre più miopi, immobili e ora anche torvi oppositori di Occhetto. Il Pci perde ovunque, in qualunque ruolo si trovi, qualunque linea, cosa e lista abbia proposto. Ma un limite c'è sicuramente stato nella campagna elettorale e nell'ultimissimo Pci. Un eccesso di "politicismo", come forma piµ ancora che come contenuto. Ossia preoccupante non perché tenda alla "omologazione", dato che i segnali in questa direzione sembrano obiettivamente inferiori a quelli che vanno in una direzione diversa e più feconda. (E poi, bisogna dirlo che Ja politica è fatta di alleanze - che imbarazzo dovere, da antitogliattiani, ripetere questo a tanti più o meno fedeli epigoni del Migliore! - di processi e di spostamenti anche politici). Ma ·.,#;-:-.,:. \. , . / .

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