Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

SUL COMICO Emilio Tadini Nel testo per una mia mostra del 1979 (la mostra si intitolava "Angelus novus") avevo annotato qualcosa sul comico: "È dal comico che viene lo sguardo che può fissare il tragico senza restarne abbagliato". Ma è sbagliato. Avrei dovuto scrivere: è dal comico che viene lo sguardo che può fissare senza restarne abbagliato la vista che abbaglia il tragico. Nel testo per quella mostra avevo scritto anche: "Nel comico ridiamo di ciò che è presente come se ci riferissimo nona un essere ~utentico (alla verità)' ma al niente". (Dipingevo figure con le ali e grossi nasi rossi da carnevale e intorno cose in fiamme). Tragico e comico non si contrappongono. È come se fossero due funzioni dello stesso organo. O due facce della stessa testa. Il comico mette a confronto persone, atti, valori, con "qualcosa". Con che cosa? Diciamo che è come se il comico esponesse tutto quanto alla luce accecante del niente. (Questo vorrebbe anche drre che il comico - per come è fatto - può resistere a quella luce, a quelle temperature). La classica situazione comica della caduta è un analogo della dialettica che si pone in atto nel tragico fra ordine e disordine, connessione e sconnessione, integrità e lacerazione. Una specie di piccola morte ... E ridere di uno che cade non vuol dire eludere il problema-o consolarsene. Vuol dire letteralmente vedere per un attimo le cose nel niente. E dal punto di vista del niente: Il comico si dà nello spettacolo di una persona ridotta a cosa in quanto il comico si dà nel vedere le cose dal punto di vista.del niente. In questo senso potremmo dire che nel comico arriva a compimento quel che nel tragico è ancora disperazione intrisa di nostalgia. È proprio vero: la comica è finale. Ogni figura, prima di indicare un significato, mostra se stessa e basta. E così rivela la propria natura di enigma. Ogni figura, in quell'attimo originario, funziona come una macchina per produrre nel visibile la pura potenza irriducibile dell'ignoto in quanto tale. È così, certo, per le figure dei dipinti. Forse è così per le figure del sogno. Enigma ... Diciamo pure indovinello, che va benissimo lo stesso. Ma un indovinello che per un attimo è cieco, impenetrabile. Poi (ma quell'intervallo di silenzio e di buio è cosl breve che non ce ne accorgiamo quasi mai), poi arriva per fortuna il corteo un po' carnevalesco di tutti i significati, con una gran. confusione·di maschere, e sbandamenti, e cadute- e tutto quel fracasso... Ma il comico, mi sembra, era già lì da prima. Proprio nel marchingegno di quell'enigma, di quell'indovinello - in quel fulmineo teatro di ombre. La pittura produce una sostituzione via l'altra. (Ma non lo fa ogni parola, ogni segno?) E noi non sappiamo neanche che cosa diavolo fosse la cosa sostituita. (La cosa "nuda"? La cosa irrappresentabile? La cosa impresentabile? Hai voglia a prendere a martellate il simulacro che ci troviamo davanti: quello non parla). 76 Non è forse qui il modello di tutte le trame, di tutti gli intrecci? È come se il comico mostrasse in qualche modo di saperlo. La Grande Commedia degli Errori! Tutti scambi ed equivoci che, nonostante le apparenze, non si danno fra persone, ma tra significati. Sottrarre alla scrittura e alla pittura- in quanto ogni scrittura e ogni pittura sono congegni allegorici - il "vero" verso cui tendono, il loro fine, il loro scopo. E costringerle a esprimersi in quel punto, sbilanciate su quel vuoto, con tutto il loromacchinario evidentemente inutilizzabile, e vedere che cosa succede. (Con la musica è forse più difficile. Forse dipende da quella specie di sublime ottusità che deriva alla musica dalla fondamentale e imperturbabile determinazione che essa mostra nell'andare da un punto a un altro. Però Webern ... Quella specie di silenzioso incespicare, quel balbetùo, quel continuo fermarsi e ripartire ...) Tragico, comico ... Tutto si basa su una sproporzione. (La dismisura!) È la stessa sproporzione che si fa sentire in ogni parola, in ogni senso? E c'è sproporzione fra lo stupendo eroe di una tragedia e quello che si chiama il suo destino, il suo eccezionale destino, così come c'è sproporzione fra il difettoso protagonista di una commedia e le sue banalissime vicissitudini. L'ironia sa, e mostra di saperlo, che le parole non arrivano a destinazione. (Gli sposta platealmente, alle parole, il punto di arrivo, le fa andare troppo avanti o le ferma prima-e soprattutto le devia su altri binari). L'ironia mostra che le parole non sono destinate. Che sono cose fabbricate. (Artigianato! per qualche branco di turisti!) Si può usare dell'ironia, nella pittura? Ci vorrebbe proprio, con questa valanga di figure - e di idee- dal gelido al viscerale, ma tutte seriosissime, che si vedono in giro. E può darsi una pittura comica? Forse si possono dipingere figure che cerchino di indicarlo, il comico - magari fuori del quadro. Forse si può soltanto mettere in evidenza il fatto che figura e storpiatura sono quasi la stessa cosa rispetto al famoso corpo perduto. (Storia dell'Arte!) La seriosità è una forma di burocratizzazione dei nostri rapporti con il mondo. Ci fa pensare ali' esistenza di una istituzione. Una preda ideale, per il comico. Di che cosa si alimenta, il comico? Il comico si alimenta, tra l'altro, di tutto quanto è prodotto dal Kitsch. E guai se il comico non riuscisse a far fuori almeno una parte di questa sterminata produzione. Il sistema ecologico andrebbe in pezzi. (Quanto a questo, credo che il rischio ci sia, e'che sia alto). Porre le "grandi domande" è come gridare qualcosa in un posto dove c'è un'eco molto forte. (Nella nostra testa, per esempio). Come se la parola che torna - identica e trasformata dall'eco - fingesse in qualche modo di darsi come risposta. Ma anche questa non ha forse l'aria di essere una delle situazioni classiche del comico?

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