IL VICINO DI POSTO Wolfgang Biichler traduzione di Chiara Allegra Un giorno lo zio Albert mi portò con sé ai colloqui conviviali di Hitler. In anni di fame come quelli, io mi ripromettevo di ricavarne soprattutto una grande mangiata, ma lo zio Albert disse che si trattava soprattutto di un grande onore. E inoltre il fatto che io avessi il permesso di sedere nientemeno che tra lui e il Fiihrer sarebbe s~to l'onore più grande per me, un giorno che non avrei mai dimenticato. Non l'ho mai dimenticato. Rimasi però subito deluso, perché servivano solo strudel di mele e non c'era traccia di carne. O forse -con Hitler tutto era possibile - qui il dessert faceva le funzioni del primo, lui preferiva cominciare con il dolce? Ma portavano in tavola montagne di strudel di mele. La mia speranza di carne svanì e non osai chiedere. Nessuno chiedeva qualcosa neanche a me. Durante i saluti e le presentazioni, il Fiihrer mi accarezzò distrattamente i capelli e disse che erano di un bel biondo e, benché io abbassassi gli occhi vergognoso, stabilì che erano di un bell'azzurro e, benché io mi stringessi nelle spalle e avessi un portamento più ingobbito che energico, aggiunse anche che ero bello alto per la mia età. Erano tutte cose che sapevo già da un pezzo, le dicevano tutti. Trasalii quando mi passò ancor~ una volta la mano sui capelli, prima di dedicarsi nuovamente agli adulti e di iniziare un altro monologo. I suoi colloqui conviviali a me sembravano consistere soprattutto nei suoi monologhi, che oltrepassavano rumoreggiando le mie orecchie come una musica da tavola piuttosto dissonante. Più tardi si interruppe una volta, mi sogguardò di lato con gelida durezza, e disse che ero un bambino irrequieto, sbadato e maleducato, non perché non ascoltassi i suoi discorsi - non se ne accorgeva neppure - ma perché continuavo a tossire, sputare, soffiare fuori dalla bocca o lasciar cadere dalla forchetta sulla sua uniforme pezzetti di mela, briciole di strudel, bocconi di strudel. E proprio nel momento in cui mi sgridava, mi cadde di mano la forchetta con tutto il boccone, cadde perun pelo, se non altro, sulla tavola, così che perlomeno non poté accusarmi di attentato, di attentato premeditato a mezzo di forchetta. Però il boccone di strudel, staccatosi dalla forchetta, rotolò giù dalla tovaglia sulla coscia del Fiihrer inferocito, coscia èhe tra l'altro, vista così da vicino, mi sembrava, come tutto quanto il personaggio, assai più grassa che nelle belle foto dei suoi fotografi di corte. lo pensai che se avesse mangiato meno dolci e più carne non avrebbe avuto bisogno di trascegliere tanto accuratamente le foto per il popolo e di farle ritoccare. Oltre tutto trovavo ingiusto il suo rimprovero: infatti anche i suoi bocconi cadevano sulle sue cosce e a volte sulle mie, cadevano descrivendo ampi cerchi sulla tovaglia, sul tappeto, in grembo al suo vicino di destra a seconda del gesticolare che accompagnava i suoi discorsi. Gli tremava la mano non meno che a me. Solo che gli'tremava di più in avanti e verso destra. Non mi è mai più capitato di vedere un potente che tremasse altrettanto davanti a me, accanto a me. Portava tremando la forchetta alla bocca, parlava e parlava e la teneva per un pezzo tremando davanti allo spazzolino dei baffi, descriveva impugnandola un cerchio nell'aria, per sottolineare un passaggio particolarmente enfatico, e poi la riabbassava tremando sul piatto. Se ogni tanto si 74 metteva un boccone in bocca, non per questo interrompeva il suo monologo. Allora sputava e tossiva e soffiava non meno di me, e tutta quella rabbia e quella saggezza e quelle croste di strudel che sbriciolavano fuori dalla sua bocca dovevano essere uno spettacolo affascinante per gli ospiti di fronte a lui, dato che i loro occhi non si staccavano mai dalle sue labbra. lo pensai: ecco un tipico. adulto, che rimprovera i bambini per quello che fa lui stesso. Invece lo zio Albert, il mio vicino di sinistra, non tremava affatto, non perdeva una parola né una briciola, sedeva molto educatamente, mangiava molto educatamente, si puliva a volte con discrezione la bocca con il tovagliolo, per rimetterselo poi molto educatamente nella fibbia della cintura. Tutti sedevano educatamente, mangiavano più con le orecchie che con la forchetta, più parole del Fiihrer che strudel di mele. Il loro cucchiaio auricolare afferrava bocconi di parole, brani di frasi, battutine, sciocchezze, espressioni forti, e dopo pause inquietanti erano assalite da zampilli, minacce, cumuli, cascate, vortici, scoppi temporaleschi, come se il Fiihrer rovesciasse sulle loro teste arrossate una batteria di scodelle da minestra a mo' di seconda portata. Sorbivano con fare pensieroso anche le sue pause. Ripensandoci non posso credere che digerissero l'indigeribile. Continuavano a masticarlo e rimasticarlo. Solo raramente aprivano la bocca per un pezzo di mela, una crosta di strudel, più spesso per la meraviglia o lo spavento o la gioia, per una breve risata o un lungo applauso. A volte qualche coraggioso ardiva un' interiezione, del tipo: "giusto!", "per l'appunto!" o "molto.bene" o anche "che porci", "uomini inferiori". Di "uomini superiori" aveva già parlato il Fiihrer, solo di uomini a quanto mi ricordi non si parlò mai. Semmai di m~teriale umano. lo prestai attenzione solo ad alcune di queste parole chiave, parole d'ordine, leitmotiv. Per il resto non sentivo nient'altro che la voce - il piano, il crescendo, un sussurro, un rombo, grida di trionfo, latrati, un gonfiarsi, sgonfiarsi, rimbombare, tuonare. Più diventava forte e più violentemente, profondamente io mi morde- . vo il labbro inferiore, leccavo il mio sangue, pescavo dell'altro strudel da mettermi nel piatto, mi impegnavo con la forchetta a spezzettare, spappolare, sbriciolare, sbocconcellare, ingoiare e inghiottire, continuando a sorbirmi anche il disprezzo del Fiihrer, che si era nuovamente manifestato con sbieche occhiate colme di rimprovero. Ce l'aveva con me quindi solo per i pezzetti di mela, le briciole di crosta, i bruscolini di pasta sui suoi calzoni. lo pensai che un uomo così potente, che poteva permettersi tutti i calzoni e il personale di servizio e tutto quello che voleva, doveva essere molto.meschino per avercela così tanto con un bambino ariano puro per via di un po' di scadente strudel di mele sui calzoni. Il peggio erano quei punti in cui le mie briciole si mischiavano con le sue e i pezzetti di mela lasciavano delle macchie quando lui, dandosi una pacca sulla coscia nel fervore del discorso, li spiaccicava. E se nell'enfasi del gesticolare il tovagliolo non gli fosse scivolato in mezzo alle gambe, con cui continuava a schiacciarlo appallottolandolo come un salame, non si sarebbe affatto sporcato così tanto i calzoni. E se ci fosse stata della carne come dio comanda, non avrei sbriciolato né sporcato, non mi sarebbe
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