Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

STORIE/BAGAffl viscido emaligno. Io lo avevo soprannominato "tasso" ma Pino disse che non aveva mai visto animali di quel tipo e non sapeva se era un soprannome azzeccato. Comunque lo chiamava "tasso" anche lui e così tutti gli altri. Pino rimase a parlare col sergente e io mi misi in fila con gli altri per prendere i vassoi e scegliere qualcosa di decente da mangiare per tutti e due. Pino e il tasso parlavano in dialetto stretto e ridevano. Avevo riempito i vassoi con un po' di pasta al sugo, formaggio e patate bollite. Presi due bottiglie di birra e portai tutto verso un tavolo libero. Non c'era molta gente: la sera era sempre così. Pino venne a sedersi portando due panini e una tavoletta di cioccolato. - Che dice il tasso? - Si annoia. Aspetta per domani una nuova mandata di carne. Un camion. Le solite minchia~. - Potremmo venire domattina a cercare di rimediare una bistecca. - Non mi fido di lui. - Però ti ha dato la cioccolata. - Mezza elemosina: ne aveva altre quattro in tasca e forse una cassa in caserma. - Risparmierà per la pensione. - Che si fotta. Questa pasta fa schifo. - Come sempre, Pino, come sempre. "Devo mangiarla tutta" pensai "Con una notte così devo mangiare tutto e riempirmi di calorie. Non scazzare". - Il tasso fa una vita schifosa. Davvero. - dissi. - Più di altri ma meno di noi. - Ancora per poco. - Molto poco, per me. Sempre poco per te. - Speriamo che smetta di piovere, Pino. - Non'ti preoccupare troppo. Sai della chiave, no? - Sì, me l'ha detto Bomber. - Allora non c'è problema. Terminammo di mangiare e restammo seduti per finire la birra, la cioccolata e fumare una sigaretta. Pino aveva messo il cappello sul ginocchio e ricominciò a lisciare la penna, assorto. Teneva la sigaretta in bocca e gli occhi socchiusi contro il fumo. C'era ancora un po' di tempo prima di montare per il turno e lo spaccio era già aperto. - Vuoi telefonare? - Non Io so ancora. - Intanto prendiamoci un caffe e poi decidi. - Andiamo. Uscimmo dalla mensa. Il tasso non c'era più. "Ora starà inmagazzino - pensai-:- guarderà le scorte e forse calcolerà i tagli di carne. Forse. Tasso maledetto". Per arrivare allo spaccio dovevamo attraversare di nuovo tutto il piazzale. Pino teneva la testa bassa sotto la pioggia. Aveva buttato via la sigaretta in una pozzanghera. La penna sul suo cappello era dritta e bella lucida. Il feltro del mio basco era impregnato d'acqua ma la fodera mi teneva i capelli ancora abbastanza asciutti. Le nostre mimetiche erano sempre più scure sulle spalle e sulle maniche. Il piazzale era deserto e silenzioso. L o spaccio era formato da due stanzoni con alte finestre dalle sbarre molto sottili. Da una parte c'er.a il bancone del bar e cinque tavoli di legno scuro, chiazzati dalle bruciature delle sigarette e dalle patacche di caffè. In un angolo stava il televisore a colori sempre acceso. Ncll' altra stanza avevano messo due cabine con i telefoni a gettone, un tavolo da ping-pong, un calcetto e un vecchio biliardo col panno scolorito. Non c'era molta gente e poche facce conosciute. Dietro al bancone, con la giacchettina verde chiaro, vidi Mirko. Gli feci un cenno di saluto dalla porta. Mi tolsi il basco e lo scossi sulla coscia per far cadere le gocce di pioggia. Davanti al televisore sedevano tre alpini del Comando che giocavano a morra. I due che si stavano affrontando urlavano i numeri in dialetto, con scoppi di voce, sbattendo la destra con le dita tese sul tavolo. La televisione faceva un gran rumore ma loro non sembravano preoccu72 parsene. Sul tavolo avevano già due bottiglie di birra vuote e un'altra a metà. Alla fine di ogni scontro bestemmiavamo con la faccia congestionata e il terzo dava consigli sulle tattiche da seguire. - E allora Mirko, come va? - A parte la noia non c'è male. - Cosa cazzo urlano quelli? - È bergamasco Prof, bergamasco delle valli. Posti incredibili: d'estate hanno appena due ore di sole pieno algiomo. D'inverno restano mezzo bloccati dalla neve. Giocano così, sempre, tutta la vita. Dicono che a volte si prendono a coltellate per una partita persa. Bevono e giocano e giocano e bevono e urlano sempre. - E perché non spengono la televisione? - Non la sentono nemmeno. Senza televisione urlerebbero lo stesso, magari anche di più. Ti faccio un caffe? Doppio Mirko, corretto alla grappa. - Pino? - Lo stesso anche per me. - Com 'è andata oggi? - chiesi. - Al solito. È una noia fottuta. Mirko era stato per tre mesi autista del Reparto Servizi; poi avevano mandato il suo "238" alla revisione e dopo un mese non era ancora pronto. Il capitano aveva pensato che Mirko non potev~ restare se_nzafare "esercizio" e l'aveva aggregato allo spaccio come barista di riserva. Naturalmente Mirko era l'ultimo arrivato e tutti gli altri Io avevano messo in mezzo. Gli appioppavano sempre i turni peggiori. Lui cercava di vendicarsi stornando bottiglie di liquori e pacchi di zucchero o di caffe, ma non riusciva mai a fare una bella scorta perché gli altri avevano già degli accordi segreti col maresciallo dell'approvvigionamento. Facevano la cresta a monte, prima delle consegne e dividevano col maresciallo. Mirko doveva lavorare sodo sui resti di gestione e il guadagno era minimo. - E il "238"? - chiese Pino. - Niente da fare: ora devono cambiare un semiasse incrinato. Hanno fatto la richiesta all'officina del CMf perché qui non se ne sono trovati. Ci vorranno almeno due settimane. Solo per averlo. Poi devono montarlo su e tutto il resto. - Chiedi una licenza al capitano. - Non me la darebbe mai, Prof, lo sai anche tu. Non adesso. E poi che ci faccio a casa? La mia ragazza mi ha piantato due mesi fa. Ora esce con uno che fa il concessionario di macchine, marche di lusso, Volvo, BMW, roba così, un sacco di soldi. Tutte le volte che l'ho cercata al telefono mi ha riso in faccia. Dice che sarò sempre un morto di fame e un fesso: quello lì, capisci?, ha brigato e brigato e non ha fatto la nàja. - Che bella schifezza Mirko. Scusami. - Non ti scusare. Non c'è niente da scusare in questa storia. Per nessuno. Neanche per me, Prof, neanche per me. Bevete il caffè o si fredda. E poi non so neanche se ci sto male. Forse non ho ancora realizzato, che ne dici? Sto scazzando? - Non lo so Mirko, non ci pensare troppo. Qui meno si realizza e meglio è. - L'hai detto. Sono solo stanco e annoiato. Ho sempre sonno. Almeno col "238" mi distraevo, vedevo la gente per le strade ... le macchine ... il traffico. Ora è tutto uguale, ogni giorno, ogni giorno, ogni giorno ... - Versa un• altra grappa Mirko, te la offro io. - Grazie Prof. Un'altra volta. Se bevo ora mi addormento sulle tazze. - Mi dispiace Mirko. Davvero. - È buffo. A te dispiace e io non sento nulla. Voglio dire dentro. Mi sento la carne fredda, dentro. A volte penso che abbiano ragione loro. Ma non lo so, sono tanto stanco. Pino mi chiese i due gettoni e andò a telefonare. Entrò in una cabina e vidi che metteva sul telefono una scatoletta di metallo con altri gettoni. "Ora chiamerà a casa-pensai-e forse l'avrei fatto anch'io adesso. Se avessi lasciato una donna da chiamare". La televisione trasmetteva un

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