Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

STORII/BAGAffl nessllllo si accorgerà di niente. All'occhio belli, all'occhio! Uscimmo sul piazzale. Pioveva sempre più forte e l'asfalto era lucido come ima lavagna bagnata.Nell'angolo delle rimesse i furgoni e i camion grondavano come fontane. Ci mettemmo in linea e cominciammo a camminare. I 1muro di cinta tracciava attorno alla caserma un perimetro irregolare. I vecchi edifici delle stalle erano stati ingranditi e trasformati in magazzini deposito per le armi. Le nuove costruzioni degli alloggiamenti per i soldati avevano ora un contorno di piccole strade e piazzali circondati da siepi di bosso. Con lentezza la càserma aveva assunto l'aspetto di un piccolo paese con i-suoiisolati, il viale principale, i segnali stradali agli incroci e perfino una buffa chiesetta col tetto spiovente fino a terra. Il vecchio muro quadrato di cinta si era deformato con gobbe, sporgenze, bastioni e nuovi lati che spezzavano ogni precedente simmetria. Col passare del tempo era diventato impossibile controllare a vista il perimetro dalle torrette poste ai quattro angoli. Quelle vecch_iealtane erano state rimosse e ora il muro veniva sorvegliato dalle pattuglie che, di notte, ne percorrevano in continuazione il tracciato irregolare. Una pattuglia a nord e una a sud: ognuna impiegava,due ore esatte per .compiere il proprio giro a passo lento. Il piccolo paese era cresciuto ancora: una grande baracca per la mensa, basse casette che ospitavano i laboratori dei falegnami, dei muratori e degli idraulici, ampie t~ttoieper riparare gli automezzi pesanti dalla pioggia e dalla neve. Tre piccole villette a due piani servivano da alloggio alle famiglie dei sottufficiali che vivevano nella caserma. Le strade che separavano i vari edifici convergevano in una grande piazza alberata dove si trovava il pennone con la bandiera e davanti un vecchio cannoncino da montagna residuato dalla guerra. Nella piazza scorrevano i camion e i furgoni. Durante il giorno i soldati uscivano in continuazione dai grandi edifici a quattro piani che ospitavano il Comando, il Deposito e la Compagnia. Attraversatò il piazzale andavano verso la mensa o lo spaccio, portavano gli ordini agli uffici del Distretto, trasportavano i materiali e gli attrezzi per il lavoro di tutti i giorni. Era come una piccola città con la sua vita scorrevole e convulsa, ritmata dai passi di corsa sull'asfalto, dai comandi ai plotoni in riga per l'addestramento. Ma di notte tutte le attività si spegnevano e nessun rumore attraversava i vialetti con le siepi ben curate. Le finestre erano buie eccetto quelle delle latrine e delle armerie ma la luce delle lampade al neon era fredda e distante. Nell'ombra, attorno agli edifici e ai piazzali, si sentiva solo il passo prudente delle pattuglie di sentinella lungo il muro. La caserma era cresciuta e invecchiata per anni ai margini della città, schiacciata contro il fianco di una montagna che la dominava con i suoi castagni e i ghiaioni, ripidi. Si era aliargata senza ordine finché la città non l'aveva raggiunta e superata. Fra la cima e il muro di cinta avevano costruito dei palazzi di otto piani. Otto file di terrazzini con la biancheria stesa ad asciugare e nella notte le luci stanche delle cucine. Ma i rumori della vita normale non super.avano il filo spinato del muro di cinta: restavano a galleggiare fra i palazzi e la montagna, deboli e intimoriti. Ora, nella pioggia, le case avevano un'aria calda e tenera appena fuori dal muro e dalla-fredda pulizia dei vialetti e dei piazzali. La fila delle guardie si muoveva con calma. Valentini apriva la marcia, lll1 po' spostato sulla ~stra; dietro di lui c'era Pino che stava in testa perché era il più basso di tutti. lo ero verso la fme e cercavo di non prendere schizzi dagli scarponi di quello dietro, uno nuovo che conoscevo appena. Pioveva forte e si erano accese le luci dei magazzini deposito. D'inverno il sole spariva presto dietro la montagna e la caserma restava in ombra, grigia e malata, fmché non venivano accesi i fari llli1goil muro di cinta. Il buio non dava fastidio però: "Al buio non vedi nessuno ma nessllllo ti vede" diceva sempre Valentini durante le lezioni teoriche sulle 70 tecniche di combattimento. Poi ci guardava con il suo sorrisetto e tutti sapevamo cosa voleva dire veramente. Forse i nuovi non capivano ma tanto non avevano ancora imparato i nascondigli sicuri per imboscarsi durante le guardie. Quello che dava fastidio era la pioggia. Dopo cento metri eravamo già zuppi d'acqua. Pensai che il fucile si sarebbe inceppato per la ruggine un giorno o l'altro; poi pensai ai materassi del corpo di guardia e alla coperta del Rosso. Valentini dava la cadenza con voce calma e chiara: da lontano poteva davvero sembrare che si stesse marciando seriamente. Passò il viale del Reparto Deposito, il piazzale dei camion in riparazione, il viale delle casermette dei carburanti e la curva del Magazzino Materiali. - All'occhio ora. Ci siamo. -disse Valentini a bassa voce. Fece sfilare il plotone, aspettò di essere all'altezza del centro riga, dette un "Passo!" bello gridato ed entrammo nel piazzale della Porta Centrale. La guardia smontante era già schierata sul riposo e davanti alla fila c'era il maresciallo Bonazza che aspettava. Guardai in giro per scoprire l'impermeabile gialliccio di Mezzolago ma non vidi nulla. "Purché ci spicciamo ..." pensai. Arrivammo all'altezza della bandiera, Valentini dette il destra-marche poi l'alt davanti alla smontante che ci aspettava sul presentat~arm. Alt. Fronte a destra. Riposo. Attenti. Baionetta. Presentatarm. Pensai che l'acqua avrebbe riempito le canne dei fucili in un minuto. Il caporale della smontante fece un passo avanti, salutò, passò le consegne e rimise i suoi sul riposo. Poi ancora attenti; fianco-destr e avanti-march. La smontante scattò via in gran fretta attraversando il piazzale a passi veloci. Tenevano tutti il fucile con la destra, orizzontale al terreno. Dietro il primo angolo si sarebbero messi a correre, c'era da scommetterci. Valentini ordinò di mettere via le baionette. Bonazza si avvicinò e controllò che fossimo tutti in ordine. Era un buon uomo e fece alla svelta. Finalmente venne il rompete-le-righe e ci infilammo sotto l'androne che portava alla porta della caserma e al corridoio per il corpo di guardia. - È andata liscia per fortuna. - Non c'è male Prof, ma neanche troppo bene. Avrei preferito sopportare Mezzolago piuttosto di questa pioggia. Tempo fetente. - Non ci scherzare Valentini, non ci scherzare. Quello è capace di schierarci all'acqua anche fra un'ora. - Fra un'ora può schierare sua madre quel bastardo! Fra un'ora io me ne vado a mangiare e non mi smuove neanche il colonnello in persona. Mentre parlavamo Valentini aveva aperto l'armeria del corpo di guardia e tutti stavano mettendo i fucili nella rastrelliera. Poi prese i caricatori per il piantone della porta centrale e per i primi quattro di pattuglia. - Ragazzi andiamo a caricare! -disse cori l'erre moscia e la voce da donna. Era così. Valerttini. Non lo smontava nessllllo. I quattro di pattuglia avevano l'aria depressa ma risero lo stesso; si avviarono al cavalletto di sicurezza per caricare i fucili. Pino era già andato in una delle due camerate qel corpo di guardia per scegliere una branda un po' decente. lo entrai nella stanza del centralino e salutai Flavio. - Ciao vecio, stai vivendo bene? Era uno scherzo che ripetevamo sempre. Una volta il colonnello era piombato nel centralino per una specie di ispezione e aveva trovato Flavio che sistemava la brandina per la polte, il fornelletto per il caffè e la radiolina. La scena doveva essergli sembrata strana e aveva domandato tutto inviperito: - Lei cosa ci fa qui? E Flavio: - Veramente io qui ci vivo, signore. Aveva fatto una faccia così addolorata e sincera che il colonnello richiuse subito la porta senza dire niente. Da allora tutti chiedevano

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