sorridendo appena: - Sei pronto? - Pronto e tranquillo. - Bene. Continuò a carezzare la penna con calma. Anche la sua mimetica sembrava nuova di zecca, pulitissima e tirata sotto il cinturone. Pino non era molto robusto ma, rispetto ali' altezza, ben proporzionato; la mimetica gli si adattava come un guanto. Io ero più alto di lui ma troppo magro e la giacca mi faceva strani rigonfi sul petto e sulle maniche. Non sembravo mai del tutto in ordine. "Schemi scazzati" pensai, "nient'altro che schemi scazzati". Gli altri aspettavano in silenzio, le facce cupe. Un paio li conoscevo bene: erano del sesto e se ne sarebbero andati un mese dopo di me. Pino era il più anziano, gli mancavano solo cinquantasette giorni. Il guaio era che non aveva gradi o incarichi speciali, così continuavano a incastrarlo con le guardie e le pattuglie. Aveva sviluppato quella strana calma di chi sa fare bene il proprio lavoro. Scherzava poco e non parlava molto. Sempre il gesto giusto al momento giusto, mai uno sforzo di troppo e mai un errore. Sembrava covare una stanchezza infinita ma al momento decisivo era sempre lì, dove te lo aspettavi, pronto e preciso. Arrivò Radler, l'armiere, con il mazzo di chiavi dell'armeria. Dietro di lui il capitano e dietro il capitanò Valentini che, quella notte, avrebbe fatto il capoposto. Radler aprì il cancelletto, entrò nell'armeria e cominciò a togliere i fucili dalle rastrelliere. Il capitano si fermò accanto alla porta e firmò la tabella di controllo con il nome e l'ora. - Allora signori, facciamo un po' d'attenzione. Le pattuglie stanotte sono nostre. Piove e non smetterà tanto presto. Il maggiore Mezzolago è l'ufficiale d'ispezione. Non occorre che vi dica quanto sia necessario fare un buon lavoro. Non voglio sentire nessun casino, non una lamentela o un'osservazione! Avete dormito sugli allori anche troppo negli ultimi tempi. Un po' d'esercizio non vi farà male. Il nostro professore, qui, potrebbe confermarvi che l'esercizio è una necessità essenziale, dico bene? - Esatto signore - risposi guardandolo negli occhi. Il capitano Scorza non era una carogna, era solo un capitano di cavalleria sbattuto a comandare un plotone di declassati in un deposito di seconda classe. Ci soffriva e ogni tanto si sfogava mordendo il freno: il freno eravamo noi. E come sempre, quando pensava di aver fatto una battuta di spirito, cercava la mia approvazione. Era un modo di sfottermi e di vendicarsi perché avevo studiato. Io gli davo tutta la condiscendenza di cui aveva bisogno e cercavo di non far vedere che Io compativo. -· Prendete i fucili e firmate il registro di consegna. Ci vediamo domani. Buona notte. Se ne andò lungo il corridoio con il solito passo legnoso e la schiena dritta come un palo. - Grandissimo figlio di puttana - mormorò uno dei nuovi. - Vedi di tapparti la bocca, piccolo troiame! - gli disse secco Valentini.- Non abbiamo bisogno dei tuoi commenti, chiaro? Ecco qual era il guaio con i topi nuovi, sempre al solito: parlavano a sproposito e non conoscevano niente e nessuno. Valentini non era una merda ma sapeva che Radler faceva la spia per tutti i graduati, capitano in testa e non aspettava altro che i nostri commenti: abitava a poca distanza dalla caserma e a ogni spiata ci guadagnava un permessino per dormire a casa. Ma forse stavolta non aveva sentito nulla; stava togliendo i fucili dalle rastrelliere e montando gli otturatori. Mi avvicinai a Valentini e con le spalle alla porta dell'armeria gli sussurrai: - Avrà sentito? - Non lo so, Prof, non penso. Ma non ci scommetterei. Gran brutto bastardo di un crucco. - Be', tiriamo avanti. STORII/BAGAffl Foto di Nozario Dal Poz !do ''L'illustrazione italiano" n.20, dicembre 19821. Cominciammo a ritirare i fucili. Presi il mio e firmai il registro. Mi allontanai dalla porta dell'armeria, aprii l'otturatore e guardai dentro la canna. Era abbastanza lucida anche per uno come Mezzolago. Lasciai scorrere l'otturatore, tirai il grilletto per il colpo a vuoto, misi la sicura e mi aggiustai il fucile sulla spalla con la cinghia ben stretta .. La canna era rivolta a terra e il calcio di legno levigato mi premeva sulla scapola. Pensai che era importante non far riempire d'acqua la canna. Non scazzare. Valentini si aggiustò il basco nero sulla testa e ci arringò tutti con la sua aria ironica. Era un mago Valentini: avrebbe potuto sfottere anche un generale senza che quello se ne accorgesse. - Forza ragazzi, usciamo di qui e avviamoci. Manca poco ormai. Facciamo questo buon lavoro. Aveva strascicato le ultime parole restando serissimo. Sembrava di sentire il capitano, ma con la voce da ubriaco. E poteva stare tranquillo: Radler queste sfumature dell'italiano non le capiva. Era un mago Valentini, niente da dire. Mentre scendevamo le scale che portavano al piazzale del Reparto, Valentini ci fermò e stavolta era davvero serio. - Allora mentre marciamo fino alla Porta Centrale non darò mai il passo, altrimc,nti arriviamo inzaccherati come merde a forza di pestare nelle pozze. State bene in·lineae tenete il ritmo. Se ci guardano da lontano 69
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