Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

POESIA/IKIL6F Pallidula Nudula Le mie membra vagano sono sparsi i miei pensieri senza te Non ci sei tu che li tenevi insieme Bruciami, sì, brucia fa' sferzare il fuoco lascia che la sferza si avvinghi alle membra al posto della volontà. Sono sdraiato a un angolo di strada abbandonato, dimenticato come un peso inutile lascio i pensieri e le merobra vagare alla cieca tentar di aggrapparsi a qualcosa per restare in piedi nel fango, nella melma senza disperazione né speranza. E tu, tu dove sei? Lei dice: Estraneo, tanto estraneo - su un cammino incerto o un tortuoso raggio qui fra montagne ben visibili di nullità e di entità E tu, tu dove sei tu dimenticato, tu derelitto? Bruciami, bruciami! Voglio provare a raggiungerti in alto nel fumo più alto dalla legna fangosa e scoppiettante del rogo. DON GIOVANNI IN PURGATORIO Una notte di novembre di un anno sprecato, in cui Don Giovanni, scoraggiato dai vani esercizi di redenzione, si trattenne più del solito al tavolo con le candele di cera, le scartoffie e il teschio, fu improvvisamente scosso dalla sua solitaria meditazione da un gelido soffio di vento proveniente dalla finestra. La fiamma delle candele si piegò e prese a vacillare, delle ombre si mossero sulle pareti della camera e i pesanti drappeggi nel vano della finestra ondeggiarono, gonfiandosi come vele. Era sul punto di alzarsi a chiudere la finestra, che doveva essersi aperta, quando intravide qualcosa di bianco dietro la tenda e fu gelato dal terrore. "Il chiaro di luna!", pensò per tranquilliz~ zarsi, "Ma certo, il chiaro di luna!". E allungò la mano per socchiuderla. Per metà nascosta dietro la tenda, nell'alto vano della finestra, stava una donna nuda. In testa portava un alto cappello trapunto 66 di perle da cui pendeva un sottile velo bianco, più o meno come quello che le nobili dame indossavano alle corti francesi nel medioevo. Ai piedi portava invece pantofole di seta da tacco alto, con grandi nastri intrecciati, che sembravano venire dalla camera da letto di una cortigiana. Per il resto, era completamente nuda. I riflessi dei vetri e la luce azzurra, attraverso la metà della finestra aperta, le giocavano sulle spalle, sul collo e sui seni, rendendole la carnagione splendente come se brillasse di luce propria. Egli osservava tutto questo come in un sogno. "Ebbene", pensò ostinatamente e come rifiutandosi di saperne di più, "è solo qualcuno che si è mascherato con un costume carnevalesco ... Anche se non si può dire che ciò che ha ai piedi ben si accompagni con quel che porta in testa ... E nessuna delle due parti si accorda con il restante negligé!" Si pizzicò forte un braccio, ma lei restava, immobile e con gli occhi vuoti, a fissare lontano. Intorno alla bocca indugiava un sorriso irrigidito che risvegliò in lui un ricordo della vita. Per il resto quel volto non gli diceva niente: lei gli era totalmente sconosciuta. Solo quel sorriso si ricordava: pieno di speranza e tuttavia distaccato, come se ella avesse visto qualcosa di bellissimo, molto, molto lontano, che lui non riusciva a vedere e che perciò lo tentava. Si alzò dalla sedia così energicamente che questa si rovesciò dietro di lui e cadde con un rumore vuoto, vuoto come se fosse caduta molto lontano, in un salone di un altro secolo. Tirò i drappeggi completamente da un lato. Allora lei scivolò nella stanza, e dietro a lei altre seguirono, in fila, scivolando, come se vi si muovessero senza camminare, tutte nello stesso abbigliamento. La candela di cera si era spenta alla corrente d'aria, ma la camera sembrava inondata dal chiaro di luna. Era un brulichìo di corpi spettralmente contorti, prosperosi e magri che si alternavano; bianchi splendenti e bruni con il colore singolarmente pallido che il chiaro di luna conferisce; ce n'erano persino di neri che si perdevano nell'oscurità. Il solo particolare visibile in coloro cui appartenevano era lo strano bianco sorriso e il bianco degli occhi. Mano nella ·mano, in spesse levantine, giungevano gracili figure femminili dalle trecce bionde o brune che ricadevano sulle magre scapole. Su alcuni volti sembrava indugiare il ricordo di un'allegra serata, altre mostravano soltanto un timido ardore nello sguardo, ma tutte avevano qUalcosa di quel sorriso assente e rigido. E ognuna appariva impacciata perché nessuna sapeva portare le frivole scarpelle di seta e, al tempo stesso, il puntuto cappello da fata: a quelle che ben portavano le une non si addiceva l'altro e viceversa. La finestra era aperta e la stanza diventava sempre più gelida, tanto da farlo rabbrividire, ma, in fila uniforme, continuavano a eseguire il loro spettrale balletto da varietà. Nessuna lo guardava, tutte tenevano il loro vuoto sguardq fisso in avanti. Tutte facevano gli stessi identici gesti come in una sala di specchi. Quell'apparizione era macabra ma, contemporaneamente, così folle e meccanica che stava per farlo scoppiare a ridere. Si sentiva già salire il riso dentro e immaginò una risata vibrante e teatrale che avrebbe disperso l'intera schiera. Ma della risata non si udì alcun suono. Era come se il silenzio l'avesse inghiottita, mentre l'esercito femminile eseguiva sempre la stessa sgambet-

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