Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

diritto all'amore ... il desiderio di guidare a velocità proibita un diritto a guidare a velocità proibita, il desiderio di felicità un diritto alla felicità, il desiderio di pubblicare un libro un diritto a pubblicare un libro ..."). Dall'altra improvvisi cedimenti di gusto: la definizione di un personaggio come "tossicomane dell'ambiguità" o la constatazione che "il razzo dell'amore rallentava il suo volo", o anche locuzioni compiaciute da vitellone di provincia che si crede sottile (tipo "un sedere espressivo"); il tutto accanto a battute degne di Woody Allen: Duerusse al Grinzane. CONFRONTI "Penso dunque sono è la frase dell'intellettuale che sottovaluta il mal di denti". Oscillazioni e incongruenze forse inevitabili in un romani.o ineguale, privo di un centro riconoscibile, e che dissimula meravigliosamente una fatale pesantezza dentro una leggerezza inaspettata, indecifrabile, come le chiome degli alberi appena mosse dal vento. Ed è proprio contemplando le chiome degli alberi che Goethe, vecchio e stanco, capì secondo Kundera che l'immortalità è "una ridicola illusione". I raccontidi TatianaTolstaia e le memoriedi CeciliaKin GoffredoFofi Il Grinzane Cavour ha ormai una storia alle spalle, ed è uno di quei premi che sembrano coltivare meglio il rapporto con il libro. Come "prodotto", come "oggetto" assai diverso dagli altri: attraverso convegni che ne toccano gli aspetti commerciali, di produzione e diffusione, e poi il rapporto con la stampa e gli altri media, il rapporto con la critica, il rapporto con la scuola. Come ricezione: attraverso la formula stessa del premio, che segue i criteri di quella "democratizzazione" dell'istituto della premiazione molto conclamata presso altri premi ma forse qui attuata con più rigore, privilegiando non i lettori eccellenti, e le eccellenze che si fanno lettori semel in anno, bensì i futuri (auspicabili) lettori, gli studenti. La formula è solida: gli "esperti" propongono una rosa di tre libri stranieri e tre italiani, e una più ampia giuria di studenti li legge e fa la scelta finale. Inoltre, ai due premi maggiori altri se ne affiancano: alla traduzione (intitolato a Carmen d'Andrea, un splendida persona che ho avuto il piacere di conoscere prima della sua brutale e prematura scomparsa), assegnato quest'anno a un "decano" degli studiosi e traduttori della letteratura russa, Eridano Bazzarelli; un premio "speciale" della giuria assegnato aun'altra degna persona, Virginia Galante· Garrone (ma qui vediamo anche un segno della "piemontesità" del premio); e infine un premio ali' esordiente (il Carrobbio einaudiano). I limiti di ogni premio stanno nelle giurie (e, quando ci sono, nei condizionamenti che a esse vengono posti da chi finanza). Le giurie si fanno scegliendo "addetti" della stampa, dell'università, dell'editoria, - che non sempre, diciamolo, sono delle cime. E il difficile amalgama, la maionese che ne deriva, non sempre riesce; ogni giuria, alla fine (mi pare un assioma) risolve ricorrendo alla non-nobile arte del compromesso: io voto per il tuo candidato nel tal premio, se poi tu voti per il mio nel tal altro. Mi spiego solo così, per esempio, la presenza tra i selezionati italiani di quest'anno del V angelo di Giuda dell'attivissimo Pazzi. Ma va anche detto che la selezione italiana risente, in ogni premio e per pletora di premi, di una produzione mediamente più bassa e conformista. . Fra i tre italiani figura quest'anno bizzarramente un libro di memorie scritto da una russa in italiano: Cecilia Kin, Autoritratto in rosso, (Lucarini, pp. 233, L 25.000) che presenta vari 38 motivi di interesse. Nella selezione straniera ci sono il tedescoBecker(L' ostaggio, Serra eRiva) elo spagnolo Conde (I/ Grifone, Editori Riuniti), bei libri, non eccelsi ma solidi. E un•altra russa, Tatiana Tolstaja. Mi ha incuriosito questa abbinata sovietica così diversificata, e provo quindi a ricavarne qualche riflessione comparata. La Kin è nata nel '6 e ha fatto in tempo·a vederne di cotte e di crude. 'Di lei era stato pubblicatodirecenteSceltaodestino?,equaelà, credo, sono uscite altre cose. È un'italianista, una traduttrice dall'italiano e una divulgatrice della cultura italiana in Urss. Vanta nel nostro mondo politico e letterario molte amicizie, e il perché è chiaro: molti hanno nei suoi confronti dei debiti di riconoscenza, poiché aprire a uno scrittore o a un editore italiano il vasto mercato dei paesi detti sovietici è stato un aiuto. (Anche se uno degli aspetti più detestabili della intellighenzia di sinistra e in particolare di certi tromboni e trombette del Pci è stato, dal dopoguerra in poi, un traffico ideologico ma anche pratico con l 'Urss sul quale, per ovvie omertà, non molto ancora è stato detto.) In queste memorie il suo lunghissimo periodo di detenzione è raccontato molto velocemente, perché raccontato altrove, ed• altronde la Kin non fa che portare acqua a una convinzione che da tempo mi sono fatto leggendo le memorie dei' russi del secolo: per ciascuno di loro è come se la degenerazione del regime fosse cominciata nel momento in cui i loro cari e loro stessi hanno cominciato a venir perseguitati, non prima. È comprensibile, ma è un dato abbastanza agghiacciante sulla forza di quel regime e la sua interna logica. La prima parte riguarda, oltre gli anni di formazione, gli anni Trenta piuttosto dorati vissuti dalla Kin tra Italia e Francia, con molte intrecciate storie di coma tra un ricevimento e l'altro nelle ambasciate. Poteva essere dunque l'ultima la più interessante, quella del ritorno dal lager e della nuova lenta ripresa, della nuova lenta carriera. Ma la Kin va troppo di corsa. Purtroppo il libro è veloce e elencatorio, e mi pare non renda giustizia a un personaggio molto notevole. (Sullo sfondo, tratteggiati con troppa rapidità, sfilano personaggi famosi, quasi tutti finitimale.MalacommozionedellaKinpercerti atroci destini traspare poco, e la nostra è una partecipazione per nostra mentale associazione da Foto di Grazia Ippolito (archivio la Tartaruga). nome a fine, determinata da altre letture e altri libri.) Tatiana Tolstaja è della classe del '51, è nata due anni prima della morte di Stalin. Ha visto poco delle antiche bruttezze, ma ha attraversato gli anni brezneviani. Nipote di un illustre scrittore ottocentesco-poi-zdanoviano, Aleksej Tolstoj, è di ottima famiglia e ha ottime letture. Colpisce, impressiona, la sua ammirevole prosa, anzi la sua poetica prosa, e la costruzione ardita del racconto. Sotto il portico dorato (La Tartaruga,pp. 240,L. 24.000-splendidatraduzione, e non esagero - di Bruno Mozzone e Claudia Sugliano) è appunto una raccolta di raèconti, alcuni dei quali di grande sapienza, di grande imaginifica opulenza verbale. Ecco, c'è forse un eccesso di poesia in tutto questo, che a volte - a volte, e sola a volte - fa sembrare il mondo della Tolstaja un tantino lezioso, a tratti un tantino decadente con le sue associazioni infanzia-morte, vecchiaia-memoria, e la sua quotidianeità sempre elevata dalla musa. I racconti che mi sembrano infine i migliori sono quelli dove la crudeltà è maggiore, e non insistita, non programmatica: quelli dei personaggi banali travolti da una cattiveria banale e senza sfoggio, ma non per questo meno spaventevole. La bravura della Tolstaja finisce in qualche modo per nuocerle: il nome che verrebbe alla mente è certo quello di Cechov, ma lo smontaggio e rimontaggio delle vicende ricorda uno sperimentalismo anni Dieci e quello grato anche, per esempio, ai voli lirici e metaforico-allegorici della cinematografia russa anche molto ufficiale. Sembra manchi, alla Tolstaja, un senso vero di tragedia, una pietas più dura; e credo dovrebbe prosciugaré, ridurre le sue volute per conquistarci davvero. P.S. Ultim'ora. il premio è andato a Conde per gli stranieri, a Pazzi per gli italiani. Confesso di non essere andato, con il Pazzi, oltre le prime cinquanta pagine. Dobbiamo fare autocritica: avevamo segnalato a suo tempo il primo Pazzi tra i libri da leggere. Fu un errore, Pazzi è da non leggere.

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