Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

Nell'ultimo numero della rivista inglese "Granta" e poi nel primo numero della neonata rivista francese "Gulliver" è stato possibile leggere un breve e significativo testo di Salman Rushdie dal titolo None' è più niente di sacro? che compendia le posizioni dello scrittore su un problema aperto e discusso quale l'attualità e il destino del romanzo. Si è trattato in realtà di una conferenza, una conferenza molto sui generis poiché Rushdie, per i ben noti motivi, non poteva essere presente e il suo testo è stato letto da Harold Pinter. L'occasione era una "lettura" per onorare la memoria di Herbert Read, storico dell'arte, grande umanista e altre cose. Da essa stralciamo alcuni passi che ci sembrano particolarmente significativi, in attesa di poter leggere il testo di Rushdie per intero (è stato comprato da un editore italiano, ma ignoriamo quale). Rushdie ha esordito con un ricordo d'infanzia: "Sono cresciuto baciando pane e libri. A casa nostra se qualcuno lasciavacadere un libro o un chapaJi o una fetta di pane imburrata l'oggetto in questione non solo doveva essere raccolto ma anche baciato, come scusa per il gesto maldestro e irrispettoso. Come tutti i bambini io. ero sbadato e avevo le mani di · pastafrolla, di conseguenza nella mia infanzia ho baciato un gran numero di fette imburrate e la mia buona parte di libri. In India, nelle famiglie devote, c'era, e c'è ancora, l'abitudine di baciare i libri sacri. Noi però baciavamo di tutto. Baciavamo dizionari e atlanti. Baciavamo i romanzi di Enid Blyton e i fumetti di Superman. Se mi fosse capitato di far cadere un elenco del telefono probabilmente avrei baciato anche quello. (...) Pane e libri: nutrimento del corpo e dello spirito. Che cosa al mondo poteva maggiormente meritare il nostro rispetto, anzi il nostro amore? Per me è sempre stato uno choc incontrare delle persone che consiçleranoi libri qualcosa dipoco importante, che disprezzano la lettura, per non parlare poi della scrittura. Certo stupisce sempre accorgersi che l'oggetto del proprio amore non esercita fascino altrettanto irresistibile anche sugli altri." Dopo aver riflettuto sul paradosso di un laico come lui che si trova a dover "sacralizzare" qualcosa, proprio mentre si accanisce su di lui una condanna integralista e fideista, Rushdie ha allargato il CONFRONTI Non e' è più niente di sacro? Il futurodel romanzo nelle opinionidi SalmanRushdie Saverio EspositCJ discorso, per indicare quali possono essere i compiti dell'arte, e in particolare della letteratura. "Più di vent'anni fa me ne stavo in piedi, in fondo a questa stessa sala, tra la folla, ad ascoltare Arthur Koestler. Durante la conferenza Koestler avanzò la tesi secondo cui la causa primadell' aggressività non sarebbe stato il territorio, ma il linguaggio. Una volta raggiunto un livello di raffinatezza tale da poter esprimere dei concetti astratti, il linguaggio sarebbe infatti stato in grado di creare dei totem, e le popolazioni una volta eretti i totem eranòpronte ad andare in guerra per difenderli.( ...) Per illustrare la propria teoria Koestler riferì di due tribù di scimmie insediate, mi pare, su una delle isole a nord del Giappone. Le due tribù vivevano molto vicino, in un bosco non lontano da un corso d'acqua, e si nutrivano principalmente di banane. Una delle due tribù, a un certo punto, prese la strana abitudine di lavare le banane nel ruscello prima di mangiar-· le, mentre l'altra tribù continuava anon lavarle. Ciò nonostante, disse Koestler, le due tribù continuarono tranquillamente a vivere da buoni vicini, senza mai litigare. Perché questo? Perché il loro linguaggio era troppo primitivo per permettere loro di totemizzare sia l'atto di lavare le banane, sia quello di mangiare le banane non lavate. Se le scimmie avessero avuto a disposizione un linguaggio più sofisticato, banane asciutte e banane bagnate sarebbero entrambe diventate oggetti sacri al centro di una religione, e poi, ecco una guerra santa. Un giovane seduto tra il pubblico si alzò per fare una domanda a Koestler. Forse, disse, il vero motivo per cui le due trìbù non erano entrate in conflitto era che c'erano abbastanza banane per tutti. Koestler montò su tutte le furie. Disse che si rifiutava di rispondere a un tale sproloquio marxista. In un certo senso aveva anche ragione. Koestler e il suo interlocutore parlavano due lingue diverse. E i loro linguaggi erano in conflitto. Il loro disaccordo poteva addirittura essere considerato una prova a sostegno della tesi di Koestler. Se Koestler fosse stato un lavatore di banane e il suo interlocutore un fautore della banana asciutta il loro dominio di un linguaggio più evoluto di quello delle scimmie giapponesi li avrebbe portati a innalzare dei totem. Ciascuno avrebbe avuto il proprio totem da -difendere: la supremazia del linguaggio contro quella dell'economia, e il dialogo sarebbe così diventato impossibile. Era la guerra. Tra religione e letteratura, come tra politica e letteratura, la disputa è di origine linguistica. Ma in questa disputa gli schieramenti non sono opposti nettamente. Perché se la religione pretende di dare il primato a un linguaggio su tutti gli altri, a un sistema di valori, a un testo su tutti gli altri, il romanzo ha sempre avuto come oggetto il contrasto tra i differenti linguaggi, le differenti morali e i differenti sistemi narrativi, e tra le mutevoli relazioni che intercorrono tra di loro, che sono relazioni di potere. Il romanzo non pretende di affermare la supremazia di un linguaggio, al contrario rivendica la libertà di ritrarre e analizzare la lotta tra i vari contendenti che si disputano questa supremazia." Rushdie cita Fuentes: "Il .romanzo è nato proprio dal fatto che non ci capiamo gli uni gli altri, perché il linguaggio unitaro, ortodosso, ha cessato di esistere. Don Chisciotte e Sancho, i fratelli Shandy, i coniugi Karenin: i loro romanzi sono le commedie (o i drammi) dei loro malintesi. Imponete un linguaggio unitario, e ucciderete il romanzo, ma ucciderete anche la società". Per Rushdie èquestaladomandachenederiva, che egli si è continuamente posto come scrittore: "Può lo spirito religioso sopravvivere al di fuori dei dogmi e della gerarchia ecclesiastica? Che sarebbe come dire: può l'arte rappresentare una mediazione tra mondo materiale e mondo spirituale? Può, 'annettendo' a sé sia1'uno sia l'altro, offrirciqualcosadicompletamentenuovo, qualcosa che si potrebbe addirittura chiamare una definizione laica della trascendenza? Io penso di sì. Credo che lo debba fare. E che, nei migliori dei casi, lo faccia."Allargando il discorso, "quello che appare chiaro è che passerà molto tempo prima che i popoli europei accettino una qualsiasi ideologia che proclami di fornire una spiegazione esauriente e totalizzante del mondo. La fede religiosa, per profonda che sia, 33

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