Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

CONFRONTI ancora possibili. Né forse serviva dire che alcune categoriche affermazioni negative, sicuramente adeguate al clima mentale e sociale degli anni Ottanta, stridono con l'accelerazione della storia che Jla segnato proprio la fine dello scorso decennio. E risultata più esatta e mirata l'obiezione di chi ha detto che d'accordo, forse sono tempi di anoressia. Ma allora bisognerebbe scrivere libri sull'anoressia (profondi, possibilmente, e belli, come ha fftttO,da giovane, Peter Handke). E impossibile approfondire ora questo discorso perché purtroppo, per difetto di tutti, approfondimenti ad Ancona non ce ne sono stati. Però tornando a Roma, alla presentazione del libro di un giovane scrittore (neoquarantenne, in verità) mi è sembrata curiosamente adeguata la domanda critica di una giovanissima che, dopo aver ascoltato un'abbacchiata lamentela sulla fine dell 'esperienza, ha candidamente chiesto: "Ma a parte l'esperienza politica, che non mi interessa, quali esperienze esattamente ti mancano?" Lo so, non è questo il modo giusto di porre la questione. Ma a me che sapevo che l'amico scrittore, tra le altre cose, è per la prima volta candidato alle elezioni e sta per avere il suo primo figlio, l'obiezione è sembrata di una certa involontaria acutezza. Sono ragionamenti un po' grossolani, è evidente. Ma così, un po' grossolana perfino, è risultata la contrapposizione manifestatasi ad Ancona. Utile, però. Perché se le parole giudicate più "minacciose" sono apparse a molti scrittori "mercato" e "realtà" qualche cosa se ne può dedurre. Se non altro, per restare a una considerazione più superficiale, una certa tardogiovanile e ambigua aspirazione alla purezza, una "voglia di innocenza" su cui sarebbe ingeneroso infierire. Ma è irritante il narcisismo, la scarsa volontà di confrontarsi (i critici meno giovani sono stati liquidati con male parole), la suscettibilità, appunto. Tanto che alle critiche e ai dissensi è accaduto di essere scambiati per mancanza di passione, accusa questa davvero sciocca e infondata verso i pochi - critici, riviste, scrittori -che fin dall'inizio hanno favorito gli esordi, forzato il mercato, aiutato i giovani scrittori. No,con la maggior parte dei giovani scrittori degli anni Ottanta non è stato un problema di passione ... Detto questo, bene ha fatto la casa editrice Transeuropa a organizzare un incontro del genere. "Se non altro quello che hai detto mi aiuta a definirmi, per contrasto", mi ha comunicato il più cortese dei miei contraddittori. In tempi come questi, scoprire ed esprimere chiaramente le differenze fa perfino piacere, e magari questo piccolo piacere prende la mano e porta a enfatizzare unilateralmente le posizioni. Ma le differenze ci sono, e ad Ancona si sono viste. E dietro una certa unanimità sullo stato desolante della nostra letteratura contemporanea, le sensibilità e i timori sono apparsi diversi, perfino contrapposti. C'è chi ha sinceramente confessato: "Quando sento un richiamo alla realtà mi spavento perché sento un richiamo all'ordine". Quale ordine non è dato sapere. E in questo così brutalmente rivendicato "rifiuto della realtà" ci sono i segni di una "poetica forte" a parole da molti negata e che invece riaffiora ogni volta che dietro la diffidenza , verso le "ragioni forti" e dietro la rivendicazione degli sguardi laterali, opachi e variamente frammentati, non si vedono (non si vedono più) i segni di un salutare ripensamento, di una demolizione delle ideologie - anche letterarie - in nome del dubbio, del pluralismo, della molteplicità delle esperienze e delle scritture. E si scorgono, inveçe, forti e minacciose nuove certezze - esattamente come accade all'ideologia nata dalla/ sulla morte delle ideologie.L'esito è stata la scrittura svuotata, sfibrata, compiaciuta e autosufficiente che in buona parte ha dominato gli anni Ottanta. Così, presentato da un cronista molto generoso come "gli Stati Generali della nuova letteratura", l'incontro ha ricordato piuttosto un piccolo e incruento Termidoro. Non perché una qualche "reazione" ha vinto (varrebbe altrimenti la vecchia battuta di Altan sul riflusso moderato: "Mi devo essere perso il flusso progressista" ...). Più semplicemente, ognuno va per la propria strada. Chi continuando a raccontare storie che evocano ancora il percorso di una generazione, anche nel suo disfarsi e disgregarsi. Chi puntando alla letteratura come assoluto, sublime menzogna o sublime verità (con ciò entrando in concorrenza con gli insuperabili rivali che secoli di storia letteraria hanno infallibilmente distillato). Chi giocando con la scrittura fino a ridurla a un videogame o a un floppy disk. Chi lavorando sulle "riserve" più consuete come quella inesaur.ibile della memoria e quella un po' più esausta del mito. Chi qua e chi là, come è giusto, ovviamente. E non è nemmeno scandaloso che, su tutte queste scelte e opzioni, gli editori, il mercato e la minacciosa industria culturale facciano più o meno cinicamente i loro calcoli e si servano anche del piccolo marchio della giovane letteratura per smuovere le acque stagnanti della lettura in Italia- i cui dati, proprio nei giorni del convegno, segnalavano, dopo anni di illusioni, la tendenziale caduta del numero dei cosiddetti "lettori forti" e la evanescente inafferrabilità dei "lettori deboli", come era del tutto ovvio' e prevedibile, dopo un decennio di totale televisizzazione. Rimane il fatto che per molti degli scrittori presenti ad Ancona, a prescindere dalle loro differenti poetiche e qualità, il problema è a questo punto proprio quello di una fuoriuscita da una condizione, una sensibilità e una tematica giovanili o postgiovanili, Come in parte è avvenuto con due libri dell'incipiente maturità come sono stati Camere separate di Tondelli e L' anwre degli adulti di Piersanti. · Del resto ad Ancona è stato esplicito il generale rifiuto della definizione di "giovani scrittori". Giovani lì, nel P.alazzo deg i Anziani, ce n'erano davvero pochissimi. E anche la definizione di "scrittori" è sembrata sgradevole (troppo "forte", forse?) a qualcuno che vi preferiva quella apparentemente più umile e pragmatica di "autori" (ignorando evidentemente la pesante ironia di Giorgio Manganelli su questo ambiguo termine). Ma anche qui, nella evidenza di una condizione di scrittori ormai riconosciuta e nel rifiuto ad ammetterla per viverla seriamente (onestamente, avrebbe detto Saba), sta un'altra espressione di quella "ambivalenza emotiva" ormai leggermente psicopatologica che segna il rapporto di questi scrittori (pardon, autori) con il proprio ruolo e i propri tempi. ia • 25

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==