CONFRONTI 11 Giovani ·no, scrittori nemmeno ... '' Un convegno sulla lefferatura giovanile Marino Sinibaldi Leggermente in ritardo rispetto alla naturale scadenza del decennio, i giovani scrittori degli anni Ottanta si sono incontrati a metà aprile in un luogo di Ancona proditoriamente chiamato Palazzo degli Anziani. Aperto da questo profetico ossimoro, il convegno ha in effetti mostrato il precoce invecchiamento di un piccolo fenomeno letterario e la sua normalizzazione. Le due giornate di discussioni, disordinate e sfilacciate ma anche aspre e rivelatorie, hanno indubbiamente avuto un pregio: mostrare i volti, le idee, i tic di quelli che sono stati, comunque, i più interessanti esordi letterari degli ultimi anni. Con qualche eccezione che ha ingenerato il primo equivoco e svelato il primo tic.L'assenza di qualcuno dei nuovi scrittori più noti e affermati (Busi,Dcl Giudice, la Capriolo) ha indotto in molti dei presenti la sensazione di essere in qualche modo, dopotutto, dei "marginali". Quando qualcuno, con sollecitudine quasi materna, ha raccolto questa sensazione, i gruppi di giovani scrittori sparsi per la severa e troppo grande aula marchigiana hanno annuito convinti. È stata una piccola rivelazione, l'epifania di un vezzo, un vizio veniale forse ma significativo. Giacché quella sensazione è ovviamente risibile: buona parte di quei giovani scrittori svolgono solide · attività intellettuali e paraintellettuali - che, tra l'altro, rendono obsoleta la distinzione tra critici e scrittori. Ma la compiaciuta reazione davanti a chi faceva un'osservazione sulla condizione di marginalità dei presenti (che in altre situazioni - poniamo tra dei veri emarginati - avrebbe provocato presumibilmente risposte offese), corrisponde a un canone classico, anzi romantico, che ha avuto una certa influenza nella fase di formazione di questa generazione di scrittori e che evidentemente sopravvive, nonostante le radicalmente mutate condizioni biografiche e di mercato, sotto forma di nostalgia o, come si diceva un tempo, di falsa coscienza. D'altra parte, mi sembra evidente, in quella strana incrostazione mentale, il peso di un elemento nemmeno troppo secondario dell'ideologia italiana di questi anni: quella sorta di "vogliamo tuuo" rovesciato, quell'ingordigia per cui il senso comune dei nuovi ceti emersi e omologati pretende tanto, e il suo contrario: i consumi e l'ecologia, per esempio, i magazine e la stampa indipendente, la potenza rassicurante della quantità e l'inebriante raffina- .tezza della qualità. E lì, ad Ancona, sembrava di capire, il successo - almeno un certo successo, una forma di riconoscimento intellettuale se non sociale, la rassicurazione sulle proprie qualità e il proprio mestiere- e insieme la conferma di una propria appartata diversità e magari di una avversata marginalità, appunto. Non dà e non chiede questo, la nostra odierna industria culturale. Piuttosto sembra garantire canali di accesso ormai abbastanza lubrificati e "funzionali" in cambio di un appiattimento su valori, linguaggi e significati "medi". E questo è sostanzialmente l'esito e l'impasse della più recente giovane letteratura. Uno scacco e uno stallo che potrebbero essere superati solo in un modo: scrivendo bei libri, provando a rompere - anche approfittando degli spazi che si sono aperti - questa situazione di medietà, di mediocre routine, di normalizzazione. Facile a dirsi, naturalmente; ma intanto si potrebbe discutere di cosa occorrerebbe: il talento, certo, ma anche il coraggio, la curiosità, l'immaginazione (sì, anche sociologica). Ma di tutto questo poco si è parlato ad Ancona, purtroppo. Perché il secondo tic, quello della suscettibilità dei giovani scrittori, ha immediatamente alzato un muro davanti alle critiche e alle 24 contestazioni, tutte, per carità, "costruttive", almeno nelle intenzioni. Anche perché la ridotta pattuglia dei critici, per le proprie insufficienze e incapacità ma anche per l'espressa volontà di rivendicare una propria tendenziosità, è sembrata alla fine muovere un solo rimprovero: non fate esperienze, non parlate della realtà. Critica alla quale è stato risposto in due modi: sostenendo che la mancanza di esperienza è una realtà, è la realtà dei nostri anni; e, in modo meno convincente, ripetendo il vecchio ritornello della storia che o è un incubo o è finita, dello specchio che si è frantumato, della "realtà che non è, quasi", come è stato detto con lodevole ma residua prudenza. Ora, con tutta la buona volontà, non era a un convegno del genere che si poteva riprendere l'eterna querelle sulla realtà e l'esperienza, se esistano ancora, se siano Fotopubblicitaria da "King", maggio 1990.
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