diritti dei libri sovietici, per cui Mondadori avrebbe potuto benissimo pubblicare una sua edizione del libro anche se lo pubblicava Einaudi (così fece, mi pare, per Reparto C), semplici ragionamenti editoriali suggerivano in questo caso una divisione dei compiti tra i due editori. Pubblicando L'arcipelago Gulag Einaudi si sarebbe attirato, allora, le ire di molti disposti ad accettare la verità nella forma di finzioni romanzesche ma non come resoconto sistematico. Anche le testimonianze autobiografiche sulla vita nei Gulag avevano poca fortuna, furono respinte ad esempio le memorie della Buber Neumann e quelle di Susanne Leonhardt, entrambe di grande interesse. Ma a che pro parlare di questi problemi, che erano pure gli unici reali, quando essi, come la questione della traduzione dei libri dei trockisti, non interessano minimamente un giovane nevrotico che continua a sentirsi "tradito" perché il produttore rateale non gli forniva libri anticomunisti. Siamo ridotti a un livello di imbecillità per cui qualsiasi libro non anticomunista è un "tradimento". Eppure Thomas Mann, che aveva idee quanto mai chiare sullo stalinismo, aveva detto che l'anticomunismo era "la massima stoltezza del nostro tempo". Dove non regnava l'anticomunismo totalitario, come in Italia, c'era la dittatura o egemonia che dir si voglia degli intellettuali di sinistra. Secondo Sebastiano Maffettone, l'unico difensore reclutato da Galli della Loggia ("Corriere della Sera", 27 aprile), "per respirare un po' d'aria culturalmente non inquinata siamo stati costretti a prendere aerei come taxi e a conoscere meglio Oxford dell'Università della Calabria." Beato lui che ha i soldi per prendere aerei come taxi - non si vede allora perché non faccia un'opera buona liberando l'amico Galli dai suoi debiti verso l'esattore della rateale Einaudi - e beata l'Università della Calabria che non si giova del suo insegnamento perché sta sempre volando a Oxford. Ma perché noi intellettuali inquinanti dobbiamo sorbirci ingiurie e falsità (l'ineffabile Galli liquida le fondatissime obiezioni di Vivanti parlando di "rozzezza da anni '50" o accusa Furio Diaz di avere equiparato Beria e padre Lombardi) senza neanche poter replicare per le rime? Eppure è così, e per spiegarlo dovremmo aver leùo quelle Origini del totalitarismo di Hannah Arendt che non leggemmo a suo tempo perché non le aveva pubblicate Einaudi. Che di totalitarismo e di terrorismo intellettuale si tratti, mi sembra evidente. Del resto le forme della dittatura sono varie, come è noto. In un romanzo di Sholem Asch recentemente tradotto presso Marietti (Zio Moses, 1918) un giovane ebreo spiega a una ragazza che la democrazia americana è una dittatura assai peggiore di quella dello zar, perché è "uno zar anonimo". Asch ebbe il tempo di scrivere altri romanzi in cui i giovani hanno modo di pentirsi di aver seguito le bandiere della rivoluzione. Ma morti tutti gli zar neri e rossi, lo zar anonimo, rimasto solo sulla scena, esiste o no? Più che nei libri Einaudi, Galli della Loggia dovrebbe cercare la risposta guardandosi attorno, a meno che non sia lui stesso un frammento di quello zar. Sembrerebbe di sì, a giudicare dalla sua intransigenza filoamericana e soprattutto dallà consapevolezza di poter dire qualsiasi cosa perché tanto ha dietro di sé il potere. Sul bavaglino il fanciullone ancora considerato innocuo da Valentino Parlato ha scritto: Guai a chi mi tocca! Difatti Franco Fortini ha provato ad avvicinarsi ed è stato subito investito da una scarica di tremila megascardocchia. Nessuno ha voglia di riprovare. Meglio volare a Oxford, dove ormai non solo c'è più cultura, ma meno pappagalli dello zar. P.S.- L'articolo di Beniamino Placido su R~pubblica dell '8 maggio, che sostiene la tesi di buon senso sulla dittatura culturale di sinistra che non c'è mai stata, fa anche sospettare che tutta questa chiassata (Placido ha "contato almeno venti interventi") sia stata organizzata solo per riempire le pagine dei giornali, e che non c'entri per niente il ricordo del "tradimento" che ancora ILCONTESTO brucia negli animi offesi. Questo spiegherebbe molte assurdità, compresa la lettera di Vittorio Strada sulla "Stampa" del 6 maggio. Qui Strada concorda pienamente con Galli della Loggia su ''quell'epoca fortunatamente assai lontana" che lui per misteriose ragioni aveva "vissuta dalla parte dell" egemonia' " mantenendosi tuttavia integro d'animo e mondo di ogni delitto finché le perniciose inclinazioni della casa Einaudi per Mao e per Marcuse non gli ebbero aperto gli occhi. La maggior parte dell'articolo è una laudatio accademica di Strada scritta da lui medesimo. Salvo questo inconsueto particolare, tutto quanto vi si dice è esattissimo. Non solo Strada fu tra i più attivi e intelligenti collaboratori della casa editrice ma come critico fu uno delle teste migliori di "quell'epoca fortunatamente assai lontana". Nella nostra epoca non meno fortunatamente vicina, in cui ingegni come il suo si trovano sotto le zucche, il suo di lui evidentemente non è più indispensabile e Strada può fargli fare la fine di quello di Gogol o di di quello di Lukàcs, come da lui descritto a foschi colori in un articolo di "Lettera Internazionale" (n. 23). A meno naturalmente che non sia tutta una farsa concordata tra Galli, lui, Placido, Maffettone ecc. per rianimare la liga degli intellettuali che di fronte al disastro deve trovare qualche modo di giustificare la propria esistenza. Aspettiamo con Placido i prossimi venti articoli. 17
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