Linea d'ombra - anno VIII - n. 50 - giugno 1990

ILCONTESTO Pappagalli dello zar CesareCases Il mistero Galli della Loggia comincia a chiarirsi. Costui, che fa lo storico di mestiere, ha scritto sulla "Stampa" (18 aprile) un articolo pullulante di idiozie, fondato sulla lettura (superficiale e sbagliata) di un solo catalogo, sulla casa editrice Einaudi, considerata per i ventitre anni presi in esame (1945-68)" il punto più alto dell'egemonia comunista" e il centro di diffusione della "cultura del pappagallo"; pappagallo che ripete in prima istanza le bugie dell'Urss e in seconda la loro riproduzione sulle bocche degli altri pappagalli intellettuali. Uomini egregi come Norberto Bobbio, Luciano Canfora, Corrado Vivanti, Valentino Parlato, Andrea Casalegno e altri gli hanno risposto mettendo le cose a posto. Einaudi non era il solo editore esistente, ce ne erano altri più a destra (o a sinistra ortodossa) di lui; basta leggere le pagine del libro di Turi recensito da Bobbio per accorgersi che Pavese immaginava che a Milano Ferrara e Vittorini minacciassero con la loro vulgata comunista(?) l'indipendenza einaudiana. La casa Einaudi era formata da persone più o meno vicine al Pci e al Partito d'azione e il loro relativo influsso determinava talvolta attraverso complesse alleanze o attraverso fenomeni puramente casuali (esclusi dai totalitari come Galli della Loggia) la pubblicazione di questo o quel libro. Tutti sanno che Cantimori si oppose ai Minimamoralia di Adorno, meno noto è che Giolitti, allora comunista, mise il veto a un libro del trockista Daniel Guérin sull'America. Adorno uscì, Guérin no e questo la dice lunga sulla politica culturale del Pci. Eppure se c'è una critica da muovere a Einaudi è proprio di non avere pubblicato libri di questo tipo perché essi non uscivano poi dagli altri editori, mentre tutti i volumi inneggianti alla democrazia americana, che Galli avrebbe voluto pubblicati (chissà perché) da Einaudi, apparivano puntualmente dal Mulino e da Comunità o altrove. Come si spiega, allora, l'ignoranza di Galli della Loggia? Con la giovane età? Direi proprio di no. Chi, come me, ha trascorso la gioventù in epoca fascista ha delle attenuanti. Non solo non aveva a disposizione altro che libri fascisti, ma il fascismo ingenerava per reazione un certo disgusto per la politica. Ricordo l'emozione che suscitò in me la lettura casuale del libro di Silonç Der Faschismus.SeineEntstehungundSeineEntwicklung, mai uscito in italiano (un po' per colpa dell'autore; che lo considerava troppo marxista) ed elogiato proprio recentemente da Claudio Pozzoli nello stesso giornale su cui scrive Galli della Loggia. Ma questo fortunato giovinotto poteva leggere quello che voleva. Perché ha letto solo libri Einaudi, che gli hanno ottenebrato la mente e impedito di capire che il comunismo era soltanto un bluff? Non trovavo altra spiegazione al di fuori di un caso di reclusione domestica. Forse Ernestino aveva già dato manifestazioni di furore totalitario da piccolo, e il padre lo teneva segregato in una cella passandogli attraverso le sbarre solo libri Einaudi, di cui era acceso sostenitore. Quando lo portava fuori a prendere un po' d'aria e il ragazzo si fermava davanti alle vetrine della libreria Rizzoli, tappezzata di copie di Kravcenko, lui lo trascinava via con uno strattone dicendo come quel padre del Boccaccio: Quelli non sono libri, sono papere. Uscito di reclusione, Galli era tanto rovinato dall'indigestione di libri Einaudi che sembrava quasi di sinistra, sicché Parlato lo tratta ancora da amico. Ma poi passò alle papere. 16 Ammetto che questa ipotesi sia ingegnosa ma un po' lambiccata. La realtà è più semplice. La racconta lo stesso Galli della Loggia rispondendo ai suoi critici ("La Stampa", del primo maggio). Nel 1960 il povero giovane s'era lasciato irretire da un agente della rateale Einaudi, che al giorno d'oggi per gli intellettuali è un personaggio altrettanto pericoloso quanto gli usurai ebrei per i giovani nobili nei romanzi di Balzac. Insomma, per trent'anni non è riuscito a liberarsi dalla ragna, deve comprare libri Einaudi su libri Einaudi, i soldi che gli restano dopo il salasso sono pochi e i libri che veramente gli interessano deve cercarli, secondo la sua stessa dichiarazione, sulle bancarelle. Non si capisce perché non vada mai in biblioteca, forse in quella del suo istituto di storia regna un arcigno bibliotecario einaudista, una copia del padre che avevo immaginato sopra. Con ciò ritorniamo alla situazione già descritta: Galli chiedeva all'agente rateale o al bibliotecario Souvarine, Orwell, Hannah Arendt, e quelli gli porgevano Marx, Stalin, i Webb, Baykov (che Galli nel primo articolo prendeva evidentemente per un sovietico, mentre era un russo emigrato), infischiandosi delle sue rimostranze. Particolarmente grave il caso di Solzenicyn. Galli voleva L'arcipelago Gulag, "uno dei vertici della saggistica di tutti i tempi"; ma l'agente di Einaudi non l'aveva, poteva fornire solo i libri con cui Einaudi grazie a Vittorio Strada aveva fatto conoscere l'autore in Italia: Unagiornata di IvanDenisovic e RepartoC. Invece Galli voleva proprio L'arcipelago, che avrebbe trovato più lettori "se quel libro l'avesse pubblicato una casa editrice come Einaudi, invece della 'commerciale' Mondadori". Nonostante la sua frequentazione dell'agente rateale, Galli non sembra che capisca molto dell'attività editoriale. A parte la notoria precarietà dei Disegno di Daniele Meloni.

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