GIUGNO 1990 · NUMERO50 LIRE8.000 mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo ~ (B. . -~ Jd,ccmwy. SPED.IN ABB. POSTALEGR. 11·1 70% · VIAGAFFURIO4 · 20124 MIIANO
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lanMcEwan Lettera Berlino La Berlino della guerra fredda, teatro di una storia devastante di spionaggio e d'amore. Traduzione di Susanna Basso. «Supercoralli», pp. v-259, L. 28 ooo AlvaroMutis LaNevedell'Ammiraglio Fra il delirio e il ricordo, la storia di un marinaio alla fine del viaggio, di un perdente sedotto dal gioco. A cura di Ernesto Franco. Traduzione di Fulvia Bardelli e Ernesto Franco. «Nuovi Coralli», pp. v-r6r, 'L. r8 ooo PatrickDeville Ilcannocchiale Romanzo dello sguardo, o degli sguardi - che cercano, indagano e s1incrociano_. Traduzione di Elena De Angeli. «Nuovi Coralli», pp. r 15, L. r6 ooo JosephConrad Lafrecciad'oro Intrigo internazionale, alta società, traffici rischiosi, primo amore, duello all'ultimo sangue o suicidio mancato ... Nota introduttiva di F. Marenco. Traduzione di F. Violani Cancogni. «Gli_struzzi», pp. xv1-292, L. 22 ooo J.M.MachadodeAssis Lacartomante ealtri racconti Storie insolite e surreali tra vita quotidiana e pura fantasia. A cura di Amina Di Munno. «Gli struzzi», pp. 207, L. 20 ooo Einaudi MarcelProust LastradadiSwann nellatraduzionediN. Ginzburg Una grande scrittrice interpreta un classico della letteratura francese. «Scrittori tradotti da scrittori»,pp. 567, L. 35 ooo GiorgioAgamben Lacomunitàcheviene Il conflitto tra appartenenza e identità individuale: l'essere qualunque. «Saggi brevi», pp. v1-77, L. 12 ooo MarvinHarris Buonodamangiare Enigmidelgustoeconsuetudini alimentari Dagli antichi riti sacrificali all'hamburger del fast-food, una continua scoperta dei gusti e disgusti delle piu diverse società umane. Traduzione di Piero Arlorio. «Saggi», pp. x-251 con 20 illustrazioni fuori testo, L. 45 ooo GillesDeleuze Lapiega Leibnize il Barocco Attraverso la metafora della « piega», il costituirsi dell'anima e del1' esperienza moderna. Traduzione di Valeria Gianolio. «Biblioteca-di cultura filosofica», pp. vm-206 con r 3 schemi e 2 figure nel testo, L. 36 ooo FrancisPicabia Poesiedisegnidellafiglia natasenzamadre Testoa fronte L'esplosione verbale, ironica e complessa, di uno dei grandi protaginisti del movimento Dada. Traduzione di Diana Grange Fiori. «Collezione di poesia», pp. 1x-r48 con r8 illustrazioni nel testo, L. r 4 ooo BertoltBrecht Baal « Contro le pretese e le umiliazioni di un mondo che riconosce la creatività non per impiegarla, bensi solo per sfruttarla ... » (BertoltBrecht). Nota introduttiva di Luigi Forte. Traduzione di Roberto Fertonani. «Collezione di teatro», pp. xv-72, L. 7500 Aristofane Donneall'Assemblea La commedia che conclude una celebre trilogia femminista. A cura di Raffaele Cantarella. «Collezione di teatro», pp. xm-50, L. 8000 NicoOrengo Sullastradadelmercato Illustrazioni di Anita Lobel. «Emme Edizioni», pp. 48, L. r5 ooo GiovanniGallo Tomiak,castoropigro Illustrazioni di Ermanno Samsa. «Emme Edizioni», pp. 32, L. r6 ooo MariaEnricaAgostinelli Sembraquesto sembraquello... «Emme Edizioni», pp. 44, L. 14 ooo lelaMari L'albero «Emme Edizioni», pp. 44, L. 14 ooo Questo mese in libreria Malinconia,follia, poesia Gérard eNerval Lefigliedelfuoco Traduzioni di Elena Citati e Franco Calamandrei. Con saggi di Théophile Gautier e di Julia Kristeva. «Einaudi Tascabili», pp. xxix-262, L.ro 500 ArthurRimbaud Opere Testoa fronte A cura di Gian Piero Bona. «Einaudi Tascabili», pp. xxIX-596, L. r6 ooo RobertWalser L'assistente Traduzione di Ervino Pocar. Con saggi e testimonianze di Hermann Hesse, Robert Musi!, Walter Benjamin, Cari Seelig, Franz Kafka, Stefan Zweig, Elias Canetti e Claudio Magris. «Einaudi Tascabili», pp. xvm-229, L. ro 500 SebastianoVassalli Lanottedellacometa Il romanzodiDinoCampan~ «Einaudi Tascabili», pp. v11-245,L. ro 500
Premio GRINZANE CAVOUR 1990 LaBancaCRTaffiancal SocietàEditriceInternazionale, laCassaRurale diGalloGrinzane, laCittàdiAlbae laRegionePiemontep rla ga edizione delPremioGrinzane -Cavour, o ganizzatoincollaborazione con il Ministero dellaPubblicaIstruzione. Unriconoscimento allaletteratura it - lianae stranierassegnatoc nilgiudiziodeigiovanistudenti italiani. Nell'ambito delPremioGrinzaneCavourla CRTpromuovel'istituzione deiLABORATORI DI LETTURA nellecittàdiBologna,PiacenzaeVerona.Unainiziativarivolta aigiovanidelleScuole Mediesuperiori, ideataper diffondere ilgustodellaletturaditestinonsolofinaliz-~-,.· zatiaprogrammi distudio. !BANCA CRI Cassadi RisparmiodiTorino
Direi/ore: Goffredo Fofi · Direzione ediloriale: Lia Sacerdote Collabora/ori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricoo, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Giorgo Bert, Paolo Bertinetti, Gianfranco Betùn, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Isabella Camera d •Afflitto, Gianni Canova, Marisa Caramella, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cotùnelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Del Conte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Bruno Falcetto, Maria Ferretti, Marcello Aores, Ernesto Franco, Guido Franzinetti; Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Fabio Gambaro, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Piergiorgio Giacchè, Paolo Giovannetti, Bianca Guidctli Serra, Giovanni Jervis, Filippo La Porta, Gad Lemer, Stefano Levi della Torre, Marcello Lorrai, Maria Madema, Luigi Manooni, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghetti, Santina Mobiglia, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Cesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Marco Revelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Maria Schiavo, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Joaquin Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi, Egi Volterrani. Progelto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche iconografiche: Barbara Galla Pubblicità: Miriam Corradi &Ieri: Regina Hayon Cohen Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Rina Disanza Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Franoo Cavallone, Natalia Del Conte, Giorgio Ferrari, Cesare Garboli, Carla Giannetta, Laura Gonçalez, Daniele Melani, Laura Morandini, Grazia Neri, Giuseppe Samonà, Riccardo Scartezzini, Giuliano Soria e la libreria Popolare di Via Tadino a Milano. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Te!. 02/6691132-6690931. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Te!. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (Ml)-Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA Mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data I 8.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo III/70% Numero 50- Lire 8.000 Abbonamenli Annuale: ITALIA: L 75.000 da versare a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L. 90.000 I manoscrilli non vengono resliluili Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie sol su richiesla. Dei testi di cui non siamo stati ingrado di rintracciare gli aventi dirillo, ci dichiariamo proni i a olle erare a li obbli hi relalivi. Questa rivista è stampata su carta riciclata. LINEDA'OMBRA anno VIII giugno 1990 numero 50 4 Goffredo Fofi 5 luigi Bobbio 6 Marino Sinibaldi 7 Piergiorgio Giacchè 9 Sa_ntinaMobiglia . 10 Giovanni Jervis 16 Cesare Cases 18 Marcello Flores Promemoria per il numero 50 di "Linea d •ombra Dopo le elezioni Nord e Sud, la spaccatura Il voto che fugge I nostri ieri A partire dal caso Sofri Sidney Tarrow e gli armi "disordinati" Generazioni di fronte al cambiamento Pappagalli dello zar Demagogie sui bambini RUBRICHE: In margine (G. Cherchi a p. 12), Scuola (M. Castelletti sul Piano nazionale per l'informatica e la scuola italiana a p. 20). ANTOLOGIA: E. J. Hobsbawm sulla fine del sogno comunista (a p. 13), C. Ward: Diario di un tifoso di calcio, con una nota di O. Pivetta (ap. 21). li::lilillllHliJ!Ji:: 24 Marino Sinibaldi Un convegno sulla letteratura giovanile 26 Lucia Borghese L'ultimo Bolle il trionfo del capitalismo 46 Fabio Gambaro Scrittori ed editori nell'Europa dell'Est e F. Terragni su etica, politica e tecnica nel pensiero di Hans Jonas (a p. 30), G. Forti su cattolici e biologia (a p. 32), M. Maffi su Charles Johnson, scrittore nero della memoria (a p. 36), P. Splendore suln custodia di Anita Desai (a p. 35), F. la Porta sull'ultimo Kundera (a p. 37), G. Fofi su due scrittrici russe al Grinzane, T. Tolstaja e C. Kin (a p. 38), F. Binni su Jim Thompson (a p. 39), L. Clerici su tre libri di giovani: E. De Luca, C. Lolli e D. Voltòlini (a p. 41), G. Pontremoli sulle storie per bambini di Ted Hughes (a p. 44), A. Negri su una mostra di grafica tedesca degli anni Venti (a p. 43) e S. Esposito sulle opinioni sul romanzo di Salman Rushdie (a p. 33). Promemoria (a p. 50). Gli autori di questo numero (a p. 94). 61 Francis Ponge 64 Gunnar Ekelof 56 JuanBenet 74 Wolfgang Biichler 68 Fabrizio Bagatti 51 Heinrich Boli 76 Emilio Tadini 82 Carmelo Samonà ?t:::s.e111•clìlI!:t? CINEMA: 88 Bruno Cartosio Il garofano Sei poesie seguite da Don Giovarmi in Purgatorio a cura di Maria Cristina lombardi Obiter dictum a cura di Danilo Manera Il vicino di posto La guardia Nori avrai dimora alcuna. Sul comico Buster Keaton: il rigore dell'assurdo seguito da Un sogno Qui c'erano gli operai (Roger and Me) e G. Volpi su Allodole sul filo di Manze! e Hrabal (a p. 89), G. Fofi su Porte aperte di Giartni Amelio (a p. 90). MUSICA: 91 F. Bagatti sulla Autobiografia di M. Davis, con una nota di H. Kureishi su Davis (a p. 51). M. lorrai sulle produzioni della Realworld (a p. 92) TELEVISIONE: 93 luigi Manconi La vita imita la Tv La copertina di questo numero è di Franco Matticchio (distr. Storiestrisce).
IL CONTESTO Siamo al cinquantesimo numero di "Linea d'ombra". Chi l' avrebbemai detto? Alcuni collaboratori degli inizi (pochi: uno o due vecchinarcisi, tre o quattro giovani) li abbiamo persi per strada, alcuni sono scomparsi e molto ci mancano; ma tantissimi nuovi ne abbiamovia via trovati. E forse la funzionepiù utile che la rivista ha potuto svolgere è stata di aiutare molti (collaboratori e lettori) ad attraversare con qualche intelligenza e dignità un decennio di svacco, ridestato infine alla storia dal crollodi molti muri. Non è mia intenzione fare un consuntivo. Si spera che la sensibilità culturale e politica che ci ha guidato fin qui continui ad agire fin tanto che ce ne sarà bisogno; ma ci sembra giusto indicare subito alcune linee di -ricerca, e quei temi, quelle contraddizioni aperte, e almeno per molti di noi tanto vitali quanto preoccupanti, dolorose, sulle quali occorre intervenire. Elencherò alla rinfusa, senza calcolo e senza la preoccupazione di dover spiegare ciòche, per i lettori più attenti, è ovvio da tempo, alcuni dei temi attorno ai quali dovrebbe ruotare la nostra ricerca o produzione di interventi, materiali, saggi, racconti. Non tutti, solo quelli che per il momento appaiono più impellenti, o anche più scabrosi. - L'ecologia, lo stato della natura, la prospettiva dei disastri locali o del disastro. Quante menzogne continuano a inquinare questo campo! Si pensi soltanto, in Italia, alle chiacchiere rassicuranti dei politici, alla criminale politica degli industriali (basti l'esempio dello sciagurato incremento della motorizzazione). È il problema principale, e Io sarà sempre di più. - L•apertura ali 'Est, o anche: l'arrivo dell'Est tra di noi, il cònfrontocon i problemi, la storia e le realizzazioni di una cultura importantissima, così poco nota in Italia (con la sola eccezione di due iniziative rigorose e conseguenti, non nate oggi: le edizioni e/o, la rivista "Lettera internazionale"). - Di pari passo: il Sud, i Sud; la prospettiva assai forte di una divisione del globo unicamente in Nord e Sud; i condizionamenti posti dai Nord oggi (etra i Nord ci siamo, è ovvio, anche noi, figli dell'Europa ricca, tra i più privilegiati dell'Occidente privilegiato) e la difficoltà delle liberazioni: la necessità di una solidarietà preci0 sa e vigile, non solo ideologica, non ipocrita; la possibilità infine 4 Promemoria in occasionedel fascicolon. 50 Goffredo Fofi di fare, per noi-Italia, in qualche piccolo modo, da piccola cerniera, già ora, tra Est e Sud, i cui linguaggi e le cui necessità ci appaiono drammaticamente inconcilianti. - Il Sud tra noi: nei due sensi di un Sud che ci arriva da altrove (l'immigrazione dei cosiddetti extra-comunitari) e di un Sud che è nostro da sempr,e. Sul primo punto: oltre l'analisi di problemi, conflitti, diversità, scambi, una attenzione particolare dovrà essere portata alla produzione culturale· "etnica" o meglio "inter-etnica", che ha i suoi punti di forza e già molti grandi risultati nella cultura inglese (opere di Naipaul, Rushdie, Kµreishi-Frears, Mo, ecc.). - Sul secondo punto (il nostro Sud) sono convinto che sia sempre più indispensabile intervenire, sollecitando contributi e reazioni dalle energie meridionali, studiando quella società e ia progressiva distanza che si varistabilendo tra "giù" e "su" (in breve: le due culture si allontanano a grandi passi e le tiene insieme, probabilmente, la trinità mafia-banca-partiti, forse più intrecciata di quanto non si pensi e si sappia; in breve: la scelta tra via libera all'industria del nord, e stato assistenziale, cioè clientelare; in breve: l'inadeguatezza dell'intellighenzia meridionale di sinistra a così tanti problemi e la necessità che essa si desti e rafforzi). - L•assetto dei media. Il peso dei media nella nostra società. II loro messaggio di consumo/consenso. Il progetto dei più, di cono formazione, anzi di abbrutimento morale e civile dell'italiano, sempre più eterodiretto ma sempre più convinto, dai media medesimi, di essere autodiretto, ed è questo un paradosso solo apparente. - Considerando esatta la definizione di "società dei due terzì" avanzatadaHabermasperl'Europa occidentale (nel senso che un solo terzo della popolazione vi è ormai deprivato, povero) ne deriva non solo che ci si deve occupare seriamente del terzo emarginato, ma anche che all'interno della grande maggioranza omologata è indispensabile operare deIIe rotture, far esplodere contraddizioni, dividere i soddisfatti (omagari no, ma per motivi di frustrazione conseguente ad ambizioni sbagliate e bisogni decisamente superflui) dagli insoddisfatti per motivi generali, morali, di bisogno di una società migliore e il più possibile egualitaria. La nostra piccola azione per una "protestantizzazione" delle fondamenta cattoliche opportunistiche della nostra cultura (essendo ben chiaro che si tratta di una morale nuova, da elaborare, e che è viva una protestantizzazione di fatto di parte del cattolicesimo, quanto è vivo in genere anche il contrario) implichi una accentuazione del discorso dei doveri - e non solo, come oggi sta avvenendo inmolti dibattiti, di quello dei diritti, di fin troppo successo. - All'interno dei due terzi dominanti, all'interno della piccola borghesia alfabetizzata cui più o meno, almeno culturalmente, tutti noi dei due terzi ormai apparteniamo, bisognerà prestare attenzione a quelle minoranze attive - quali, per esempio, si esprimono tra i cattolici, e i verdi, o nel vasto fenomeno dell'associazionismo e in quello meno vasto del volontariato - che più si muovono e sono presenti. Anche, però, per rilevarne carenze, false coscienze, tendenze, istanze e difese corporative (tanto più nefaste in una società tutta ordinata da istanze similari: lobbies e camorre, gruppi di potere palesi e nascosti, interessi di parte, familismo amorale... ben più presenti e incisive oggi di qualsiasi lotta di classe tradizionalmente intesa e già inficianti tanti ambiti, i più vasti e importanti, della vita partitica e sindacale). -Inmoltaparte-Iamigliore-dell'ex '68 si trova spesso la soddisfazione del singolo per la sua onesta presenza in questa o quella istituzione. Non basta. Bisogna, anche a partire dalle vecchie teorizzazioni della "lunga marcia attraverso le istituzioni" e forti dei tanti limiti deIIeesperienze di un ventennio, proporre una riflessione che vada oltre: su cosa può oggi significare la parola "militanza"; fuori, ovviamente, da ogni sia pur vaga tradizione "leninistà", che è di verificata sostanza reazionaria. - In particolare, appare centrale l'interesse per il mondo della scuola, dovemolto ci si compiace in perfezionamenti e discussio- · ni sui metodi dell'insegnamento e in lotte corporativo-economiche alla Cobas,ma assai poco, per non dir niente, di ciò che si insegna e perché e della propria centralissima funzionedi trasmettitori di cultura. Insomma, vorremmo collaboratori insegnanti che si occupassero di contenuti, di progetto. - Ne consegue l'interesse (che per noi è sempre stato determinante, e che deve imporsi a una nuova riflessione a partire anche dai fallimentari e orrori o viltà, dell'intellighenzia di sinistra) per una riflessione sociologica sul "lavoro intellettuale" e suIIe figure intellettuali che dia il giusto peso_e valore alle scelte morali e individuali. Non credo, personalmente, che sia per esempio da difendere la figura dell'intellettuale che si sostituisce al politico (anche se mi pare estremamente rivelatore che a Est si siano frovati solo tra gli intellettuali di opposizione persone credibili come sostituti dei politici detti comunisti) e neanche quella dell'intellettuale "consigliere del principe", così cara agli intellettuali italiani. Credo piuttosto che tocchi agli intellettuali difendere per primi gli interessi dei deprivati del mondo, della preservazione della vivibilità del pianeta, dèll 'uguaglianza sociale tra tutti, della liberazione "per tutti": insomma i veri interessi collettivi, di fronte alle proposte corporative o del "particulare", da quelle nazionalistiche, a quelle · della esasperata frammentazione sociale, aquelle dogmatiche, chiesastiche, fideistiche. E di conseguenza praticare la "critica deIIa politica" e anzi agirla. In particolare, mi pare imprescindibile dovere di tutti coloro che figurano da inteIIettuali di non mentire. -"Linead'ombra"continuerà a occuparsi-non si spaventi il fedele lettore! - di romanzo e spettacolo, di pensiero e di scienza. Ma terrà conto del piccolo generico promemoria transitorio qui sopra delineato.
IL CONTESTO Dopo le elezioni Norde Sud, la spaccatura Luigi Robbio L'Italia cheescedalleelezionidel6maggio è piùadestrae più nettamentedivisa traNorde Sud.MentreLuigiPintore Rossana Rossandasembranoparticolarmenteed esclusivamentepreoccupati per il primo aspetto, a me sembrache il secondosia quello veramentetraumatico. Lo spostamentoa destrache pure è stato abbastanzapronunciato- le perdite del Pci non sono state del tuttoricuperate dal successodel Psi e dei Verdi - è in qualche modo figlio dei tempi e non pare del tutto irrecuperabilealla lunga.Dopotutto è semprepiù difficile c,apirea che cosa corrisponda, in termini di scelte e di politiche, la distinzione tra la sinistra e la destra della geografiapartitica. Il cedimentodella sinistra(ma in realtà solodelPci) è più un cedimentodi un'ideologia, che ormai non aveva più ragione di sussistere, che un cedimentodi indirizzipolitici,cheper lo piùnonesistonoancora. Il dato veramente nuòvo, e per molti versi sconvolgente, è invecela spaccaturafrontaledell'Italia in due tronconiseparati, che pur essendo stata da tempo annunciata, intuitao temuta, si mostraora ai nostri occhi in un modo che sembrain certo senso irreparabile.Come una spiraledi cui non si intravvedonopunti possibilidi ritorno. Questa volta i dati nazionali,su cui pure si sonoesercitatitutti i commentideipolitici, sonodel tuttoprivi di senso. Sono un'insignificante media statistica tra tendenze di naturaopposta.L'unico risultatouniforme,chenonsembraavere ragioniterritoriali(anchesecomporta- comevedremo- conseguenzeterritorialimoltorilevanti) è il cedimentodelPci che si manifestamolto regolarmentein tutte le regioni italiane.Per il resto il voto ha seguito, al Nord e al Sud, stradecompletamente diverse. La Dc diminuiscenelle regioni settentrionali,resiste al centro e guadagna, anche vistosamente, nel meridione. Il Psi rosicchiaqualcosaalNord,macompiebalziprodigiosial Sud.Le listeesterneal sistemadei partiti (le leghe, i verdi,gli antiproibizionisti)sono un fenomenoesclusivamentesettentrionale. Ecco quindi la frattura.Mentre un tempo il centro-Nordera caratterizzatoper la fedeltàai partiti storici nati dallaResistenza e il Sudera percorsoda spinteautonomistee dal votodi protesta al Msi, ora il quadro è completamenteribaltato. Non da oggi, naturalmente.Ma solo oggi se ne vedono tutte le conseguenze. NelNord il consensoal sistemadei partiti si rattrapiscecomemai era successoprima. L'area governativa si riduce, malgrado la pesantesconfittadel Pci, tantoche il pentapartitodiventaimpraticabilea Torino o nellaLombardia. NelSudinvecesi impiantadiprepotenzaunduopolioDc-Psi. I socialistisorpassanoi comunistiin tutte le regionimeridionali, e innessunaregionesettentrionale.DemocraziacristianaePartito socialistasuperanoda soli il 50%in tutte le regionidel Sud e in nessunaregi_onedel Centro-Nord(salvo il Veneto,ma è un'altra storia).Nel Sud il consensoper il pentapartitosi aggira mediamenteattornoal 70%. L'opposizione è polverizzata.Il Pci praticamentescomparedallascena.La Dc e il Psi si impongonocome i rappresentantiufficiali degli interessi affaristici,clientelari e criminali che dominano in modo sempre meno contrastato la scenadellapoliticameridionale.L'ambiguosuccessodi Orlando a Palermoe quello di Biancoa Catanianon sembranopurtroppo capacidi ribaltare il quadro. Si potrebbedire che per la prima volta dall'Unità d'Italia si assistea unavera e proprianazionalizzazionedel Sud.Mentreil Nord, benestante,soddisfattoed egoista, si allontanadallo stato e dai suoi partiti verso l'Europa delle regioni e del benessere, il Sud si aggrappa tenacementeallo stato da cui dipendonoi suoi meccanismidi riproduzionedelredditoe delpotere.Rinunciaalla vecchiabandieradell'autonomia(anche il Partitosardod'aziorie ne esce travolto)e si riscopreultra-governativo. La separazione tra Nord e Sud che è sempre esistita (e cresciuta) in termini economici, culturali e sociali ora riceve una netta sanzione politica.Si istituzionalizza. , La nazionalizzazionedel Sud trascinacon sé lameridionalizzazionedello stato. Il processodi meridionalizzazionedei due maggioripartitidigoverno,incorsoda tempo,subisceunabrusca accelerazione. La capitale del Psi non è più a Milano, ma a Salerno, a Benevento e a Reggio Calabria. Non muta solo il baricentroculturaledei due partiti,ma anche la loronatura.Essi· accentuano la loro funzionedi tramite di interessiclientelari e criminali e di garanti della loro perpetuazione. E poiché essi controllanoa Roma la maggior parte dei centri di erogazione, riuscirannoulteriormentea piegarlia questoscopo.La marginalizzazionedel Pci dal meridionefmiràper vanificareognivelleità di controlloin loco. s
IL CONTESTO Stando così le cose non sembra esserci alcuna ragione perché la spaccatura tra Nord e Sud non aumenti e non si consolidi. Le leghe non sono, come è stato detto in modo rassicurante, un movimento di protesta qualsiasi. Esse hanno portato alla luce, in forma egoistica, populista e - come dice uri mio amico - "bavarese", una linea di frattura reale che il sistema dei partiti, con la sua vocazione "nazionale", aveva fatto di tutto per occultare. Ossia quella tra un Nord che si reputa emancipato e capace di fare da sé e un Sud in preda a un potere capillare di stampo politicomafioso, che sta darido con successo il proprio assalto allo stato. Quella delle leghe è del resto una prospettiva "moderna" nell'Europa del post~comunis'mo, dove le fratture territoriali balzano ovunque al primo posto. Non fanno lo stesso gli sloveni, ì lituanT e molti altri? Il segno è di destra. Il problema no. Il voto chè fugge e la vittoria dei corrotti Marino Sinibaldi Avevamo provato, qualche mese fa, a spiegare le elezioni romane- la vittoria degli "immorali" democristiani di Sbardella contro la campagna "moralista" del Pci - ricorrendo a qualche categoria forse grossolana ma legata alle poche indicazioni concrète che ricerca sociale e analisi politica sono in grado di fornire sulla vita nelle metropoli. Una miscela di totale rassegnazione e di fede in una miracolosa sopravvivenza di fronte ai problemi sempre più gravi, inaffrontabili, oppressivi- il traffico, la salute, l'inquinamento, la micro e macro criminalità - pareva il possibile retroterra mentale, la radice psicologica e materiale, di quelle scelte politiche. E una rinnovata discriminante ideologica - l'impopolarità del comunismo, ormai visibile via satellite - doveva sembrare, agli elettori romani, la conferma migliore della giustezza e perfino, per così dire, della nobiltà del proprio voto. In questi mesi una ricerca dell 'Ispes - se n'è trovata notizia nei giornali .del 29 aprile, proprio alla vigilia delle elezioni di maggio - ha confermato in termini clamorosi quelle intuizioni. L'adattamento progressivo e indifferenziato a una "società della raccomandazione", il ricorso di fronte alla catastrofe del sistema sanitario, "ali' amico che conosce un amico che conosce un medico", l'indifferenza verso la truffa dei concorsi pubblici "perché in qualche occasione anche noi ne siamo gratificati" sono solo alcune delle reazioni e dei comportamenti di cui abbiamo larga esperienza nel quotidiano e che nella ricerca dell'Ispes disegnano i tratti della "condizione umana" nelle nostre città. Forse queste modeste considerazioni sembrano di scarsa suggestione di fronte ai voli pindarici di una certa sinistra che pare elaborare le sconfitte lasciandosi sedurre dalla celebrazione dei nuovi sentimenti, le nuove opportunità, le nuove libertà, la --- 6 leggerezza dell'individuo moderno e postmoderno. Ma credo che questa attenzione da passerotti sia oggi più utile di tanti sguardi da aquile, per usare la distinzione amata da Gaetano Salvemini. Tanto più se si ragiona, come capita per queste righe, a proposito e a ridosso di un'occasione ormai prosaica quanto poche altre cose come sono le elezioni. Dietro l'apparente deflagrazione del "voto di protesta" (astensionismi, localismi e Leghe varie), il voto di maggio non ha espresso sorprendenti novità. Il suo esito.sembra, almeno all'immediato, confermare attese, tendenze, previsioni. Eppure, con l'evidenza cinica e dura dei numeri, qualcosa può dirci, qualcosa di vero-e non più, non solo di artificialmente politico - sul volto di questo paese e sulla sua cultura. Qualcosa di vero, sa non di sorprendente, appunto. Non sorprende il successo delle Leghe, anche se può e deve scandalizzare. È il frutto di.una disgregazione di quello che era il terreno della politica, di una dilapidazione di attese, fiducie e ansie di trasformazione, di una mobilitazione dei sentimenti più meschini e triviali: vale à dire di ciò che ha contrassegnato in modo trionfante la vita italiana dell'ultimo decennio. Ed è anche l'ennesima incarnazione di un'anima molto più antica del carattere degli italiani, quella per comodità definita qualunquista, ché trova nella brutale semplicità del messaggio delle Leghe un suo provvisorio approdo. Semmai è interessante che questo qualunquismo non abbia più nulla di straccione e non evochi nessun assalto lazzarone allo stato, ma piuttosto la volontà di una feroce difesa del proprio ruolo, delle proprie posizioni, dei propri interessi e privilegi, dagli "altri". Un qualunquismo ricco, alla svizzera, da "la barca è piena". Che come il qualunquismo storico è ambiguo: contiene richieste d'ordine e impulsi sovversivi. Ma è fatto di gente che ha molta forza e molto "potere"; e molto da perdere, ormai. Per questo può spaventare e disgustare; ma non ' sorprendere. E non sorprende la sconfitta del Pci - né stupisce, per liquidare la questione, che non se ne avvantaggino né i socialisti né i verdi, salvo i pochi luoghi dove questi ultimi non sono il rissoso rifugio di carrieristi più o meno "di sinistra". Dopo le considerazioni pessimistiche sulla società enunciate più sopra, è impossibile qui ripetere la giaculatoria sul "ritorno al sociale" improvvisamente popolare tra i sempre più miopi, immobili e ora anche torvi oppositori di Occhetto. Il Pci perde ovunque, in qualunque ruolo si trovi, qualunque linea, cosa e lista abbia proposto. Ma un limite c'è sicuramente stato nella campagna elettorale e nell'ultimissimo Pci. Un eccesso di "politicismo", come forma piµ ancora che come contenuto. Ossia preoccupante non perché tenda alla "omologazione", dato che i segnali in questa direzione sembrano obiettivamente inferiori a quelli che vanno in una direzione diversa e più feconda. (E poi, bisogna dirlo che Ja politica è fatta di alleanze - che imbarazzo dovere, da antitogliattiani, ripetere questo a tanti più o meno fedeli epigoni del Migliore! - di processi e di spostamenti anche politici). Ma ·.,#;-:-.,:. \. , . / .
l'impressione è che in questa manovra della/nella politica si risolva gran parte della attuale capacità di movimento del Pci. La tesi che un "blocco politico" ostacoli e forse impedisca una aperta dialettica sociale ha senz'altro qualche fondamento. Ma la leva per l'alternativa e i cambiamenti non è ll, non sarà mai lì. E il discorso torna dunque alla società, alle evoluzioni e involuzioni che vi si verificano, agli sconvolgenti e per lo più disastrosi processi culturali, etici e sociali che vi si sono prodotti in questi anni. È qui che quelle considerazioni "da passerotti" sembrano pertinenti e chissà, forse utili. Perché portano il segno, labile e sfuocato ma significativo, di come è vissuto onnai il rapporto con la politica. C'è un dato che forse parla meglio di cento discorsi. Nei giorni precedenti le elezioni, il "Corriere della Sera" ha svolto un'inchiesta nelle grandi città basata sostanzialmente sul giudizio da dare a proposito delle amministrazioni uscenti. Nel numero del 30 aprile si confrontavano sulle stesse pagine il caso di Bari e quello di Palermo. A Bari (Dc e Psi in giunta con un sindaco da quindici anni socialista) il 77,7% degli intervistati era insoddisfatto della giunta. A Palenno (la giunta anomala del sindaco Orlando con il Pci) i soddisfatti raggiungevano la percentuale davvero sorprendente del 50,1 %. I risultati elettorali, come è noto, hanno visto a Palenno l'ambiguo trionfo democristiano e la cancellazione del Pci; a Bari la travolgente avanzata di Dc e Psi passati, insieme, dal 54% al 65%. Cosa aggiungere? Che è vero che non si vota liberamente. Ma non tanto per i motivi "oscuri" legati ai 10 omicidi preelettorali, alle spartizioni e alle vendette che in un terzo d'Italia si celebrano con le elezioni. Ma per il motivo solare che la libera espressione delle opinioni e il libero giudizio su governanti e amministratori è, come dimostrano i casi di Bari e Palermo, compresso. Omeglio sfugge, ormai, in due direzioni opposte e complementari. Da un lato verso l'espressione di unpregiudizio ideologico-legittimo, per carità, dato che accoglie un messaggio che sembra pervenire unifonnemente da almeno 3 dei 4 angoli del mondo e che non è· IL CONTUTO neanche più soltanto anticomunista, ma fennamente ostile a ogni fonna di critica o rifonna del sistema occidentale. . Dall'altra parte il voto sfugge verso la confonnazione, l'adeguamento ai comportamenti e i valori che contrassegnano la vita quotidiana, con una rassegnazione che a differenza della vecchia arte di arrangiarsi è vissuta quasi con orgoglio e con sicurezza perfino euforica È in questa situazione che, come dice la ricerca dell'Ispes, ogni tentativo di trasformazione, pulizia, moralizzazione assume l'aspetto di "una vera guerra contro un costume generalizzato". E alle elezioni non può sorprendere se una guerra del genere si perde. In questo slittamento, in questa fuga verso l'alto e verso il basso -1' ideologia e la prassi del malgoverno senza alternative - sta la vera radice di risultati elettorali sempre più deludenti per chi pensa e desidera un cambiamento. Non perché vincono i peggiori, dunque. Ma perché queste vittorie portano il segno del peggio che trionfa nei comportamenti, nelle opinioni,nella cultura. I tratti di questo peggioramento generale, di questo sfascio al riparo del quale la società pare vivere e prosperare, sono del resto talmente antichi e profondi da non suscitare grandi reazioni nemmeno emotive; e neanche sorpresa, appunto. Ma intanto l'esile trama che regge le speranze di trasfonnazione pare consumarsi anno dopo anno e, per quanto poco significhi, elezione dopo elezione. Non è facile fare politica, in queste condizioni, tenere ferme ragioni e coerenze. Ma se davvero servisse a capire la natura e la forza che ha raggiunto la degradazione dei rapporti, le relaziòni sociali, la "civiltà" di questo paese; se davvero servisse a concentrare su questo l'attenzione e l'azione di chi fa politica in modo onesto (non è più possibile nemmeno trovare un aggettivo migliore o più ambizioso, e anche questo è un segno dei tempi. ..); se fuori da ogni consolazione, autodifesa, distinzione, il carattere e le dimensioni di questa sconfitta fossero accettati, ammessi, analizzati; allora forse servirebbe a qualcosa perfino il maggio della sconfitta del Pci e della vittoria dei razzisti e dei corrotti. I nostri ieri Rlflesslonl su chi cambia e chi no Finedi una "Storia" Piergiorgio Giacché L'ultimo processo a Lotta Continua si è chiuso: pesantemente, è proprio il caso di dire. L'ultimo in tutti i sensi: per la . condanna che si è finalmente andata ad aggiungere alla sconfitta (già archiviata e già pagata), ma anche per la certezza che altri processi su quel passato prossimo, che è stato una gran parte della piccola storia di molti di noi, non ce ne saranno più. Non ce n'è più bisogno. . Sono molti i processi finiti senza colpevoli, gli attentati rimasti senza motivo, ma è certo che questo tardivo e incongruo processo a Lotta Continua ha dato un risultato più significativo e appagante di quanto non sembri, un incremento decisivo al lavoro di quei tanti infaticabili impiegati impegnati a tradurre e depositare carne "Storia" (definitiva e approvata) l'immensa mole di pasticciato giornalismo che ha sempre surrogato o surclassato i pochi eventi e i molti drammi vissuti fin qui. E non può non venire in mente- ma solo a mo' di esempio- l'opera omnia televisi~a condotta da Zavoli, ultimo e paterno inquisitore di tutti i peccati di piombo, che, dietro il suo altare a fonna di scrivania, istruiva d(}Cumentie schede filmate e testimonianze colpevoli perché un coro di altri test_imoniillustri, liberi e innocenti (magistrati, politici, giornalisti ... ), potesse ricostruire versioni depurate e concordi, ma soprattutto potesse ricostituire se stèsso. Quel coro, sempre diverso eppure sempre uguale, non obbediva al compito apparente del dibattere, ma nemmeno si arrogava quello prepotente del giudicare: però di sentenziare sì. Più che di verità e di giustizia c'è bisogno e c'è fretta di fare Storia, e la storia ha bisogno di sentenze. La sentenza finalmen7
ILCONTESTO Adriano Solri !foto Giacomino). te offre il dato certo senza il quale non si hanno i diritti e le possibilità di infilare i nomi e le date -con cui si ferma e si deposita l'avvenimento, ma in più ha il potere di semplificare e tranquillizzare il flusso altrimenti confuso della vita presente; anzi insegna un comportamento "da storico" che è meglio adottare se si vogliono evitare i facili errori e i difficili entusiasmi della vita. E se si vuole fermamente diventare più laici e più civili. Sarà per questo che, subito dopo il processo per l'uccisione di Calabresi, scriveva "La Repubblica": "Non chiedeteci quale sia la nostra opinione. In questo caso, dobbiamo sforzarci di non averne nessuna, se non vogliamo ripetere vecchi errori." La sentenza dunque "ci libera dal male": in questo senso va rispettata e magari va salutata per quello che è. Ce n'è sempre un sottile ma sentito bisogno. Lotta Continua, nel suo piccolo, era pur sempre un fenomeno, un movimento scomodo: i suoi difetti o i suoi meriti di empirismo, spontaneismo, gusto della provocazione e festa nella contraddizione la connotavano, almeno nella memoria, come una esperienza di difficile classificazione, come un ambito imprendibile nelle semplici maglie della nuova e urgente Storia da compilare. In più rischiava di restarle appiccicato un suo antico · e sempre possibile fascino: poteva confondersi con l'estremismo di una protesta anticonvenzionale, antiistituzionale, poteva evocare l'utopia e l'ansia dell'anarchia, la possibilità di una complessa e anche caotica convivenza di soggetti sociali e di spinte culturali e politiche tanto in contraddizione quanto in comunione, .la speranza o 1'illusione di poter praticare una opposizione diversa, di poter esercitare una critica negativa costante ... È un fatto che, almeno sul piano dello stereotipo che ha prodotto e lasciato, Lotta Continua aveva fatto della disubbidienza un valore (anche a partire dalla scoperta di "L' obbedienza non è più una virtù" e di altri testi ed esperienze più cattoliche che marxiste, come tutti sanno e ripetono senza troppo rifletterci su). La disubbidienza era una facile ma non superficiale bandiera di libertà illimitata e appunto di conflitto permanente: la 8 libertà e la lotta di chi si assumeva come "contrario" prima ancora di riconoscersi "altro" o "diverso", la libertà e la lotta di parole e gesti forse esagerati, forse inconcludenti e cattivi, ma certamente sempre indigesti. Anche per chi oggi vorrebbe semplicemente poterli registrare sotto un titolo, sistemare in un qualche fascicolo. È proprio questo risibile eppure importante compito che non si può assolvere dopo una sia pure globale e archiviata "sconfitta"; per portare a termine questa modesta ma non trascurabile incombenza serve invece senz'altro una "condanna". Non serve ripercorrere e riconoscere le varie e gravi colpe di Lotta Continua e dei suoi militanti, ma attribuire una colpa grave e precisa, e però proprio quella che comporta lo smascheramento di un'intera esperienza, di una complessa subcultura, come fosse stata la copertura e l'alibi di una fondamentale bugia. La bugia sulla violenza, la menzognera opposizione al terrorismo con cui Lotta Continua avrebbe infine tentato di nascondere persino a se stessa la propria vera vocazione e linea politica, oppure, nel migliore dei casi, di dimenticarla e rinnegarla inventandosi altre e "pentite" strategie. E il processo a Sofri, Pietrostefani, Bompressi e Marino è comunque senz'altro il processo a una o a molte bugie: questo eta in fondo da mostrare e dimostrare. Questo era sufficiente a coinvolgere molti altri, indefiniti e insospettabili partecipanti di un ''unica ininterrotta stagione di violenza e di lotta annata. Non si è trattato allora dell'ultimo capitolo di un giallo in cui si scoprono i colpevoli, ma di porre l'attentato a Calabresi nel primo capitolo di una storia finalmente tutta terrorista, paradossalmente meno spiegabile eppure più comprensibile. Adesso la gente e i giornali sanno cosa si deve pensare di tutto quel passato troppo prossimo: non hanno una prova ma, molto di più, hanno una condanna, che permette a sua volta di sentenziare come alla fine tutta quella piccola, confusa, generosa, inconcludente rivoluzione comportamentale (o "culturale"), ostinatamente datata '68 eppure confusamente prolungata fino a ieri, possa essere riassunta sotto la voce del "terrore", un po' come avviene per tutte le più grandi e storiche e vere rivoluzioni. Non hanno una prova ma non è questo che vogliono, non è questo che serve. Le prove fanno davvero discutere, le sentenze no. Citiamo ancora "La Repubblica" e impariamo finalmente a vivere e pensare come si deve: "Le sentenze non si esaltano né si deprecano. No, le sentenze vanno accettate per quello che sono: un giudizio di uomini su altri uomini, una riga tirata dopo un lungo lavoro, una decisione da accogliere con rispetto ma che può anche non rappresentare la conclusione giusta di una controversa vicenda giudiziaria." Le sentenze, molti si sono affrettati ad aggiungere, si succedono in una serie suscettibile di cambiamenti e di miglioramenti, ed è questo il bello della giustizia a confronto del brutto della verità. Proseguirà il dibattimento in appello e diminuiranno le responsabilità e le pene. Forse si negheranno quelle stesse verità e colpe su cui era pur doveroso che calasse una prima sentenza. Così va il mondo ed. è tempo che si impari una sospensione di giudizio in favore del fluttuare costante e leggero del dubbio. Un dubbio che non è più un'arma del pensiero, bensì la base di un atteggiamento di indifferenza e del rispetto per tutti e per tutto. Tutto quello che succede comunque è bene che sia chiaro, sia sentenziato. Qualcosa si deve pur scrivere infine in un libro di Storia!
Glianni u disordinati" nelle opinionidi SidneyTarrow SantinaMobiglia Sidney Tarrow, politologo americano già noto in Italia per analisi sulle realtà del nostro paese (Partitocomunistae contadini, Einaudi 1972; Tra centroeperiferia. li ruolodegli amministratorilocaliinItalia e inFrancia, Il Mulino 1979) ci offre, con il suo ultimo saggio (Democraziae disordine. Movimenti di protestaepolitica in Italia 1965-1975, Laterza 1990) un contributo interessante ai fini della storicizzazione e di una lettura in termini processuali del decennio caldo italiano. Significativa la periodizzazione: dalla metà degli anni Sessanta alla metà degli anni Settanta; non già dal movimento degli studenti a, per esempio, il caso Moro, tipica delle ricorrenti ricostruzioni giornalistiche o televisive (anche le più pregevoli, come La notte della repubblica di Sergio Zavoli) immancabilmente portate a isolare un segmento di storia dell'estremismo. Muovendo dalla "idea che la storia di una società si rispecchi nelle azioni collettive della sua popolazione" e che "le ondate di protesta scuotono una società non perché gli intellettuali agitino le acque dello scontento, ma quando la gente osa esigere diritti e benefici che ritiene le appartengano", Tarrow guarda al decennio in questione con una netta presa di distanza dalle ideologie o dall'autorappresentazione soggettiva degli attori di allora, tracciando un bilancio in termini quantitativi e qualitativi (forme di azione, forme di violenz.a, obiettivi, presenza di organizzazioni, settori sociali coinvolti) della mobilitazione che vi ebbe corso, per analizzarne le dinamiche alla luce del modello dei cicli di protesta, sulla scorta di Hirschman e, più in generale, degli studi sui movimenti e l'azione collettiva di E. P. Thompson edi Ch. Tilly, cui dichiara ripetutamente il suo debito. Contrapponendosi programmaticamente sia a coloro che dei nuovi movimenti hanno inteso esaltare la novità epocale sia a quanti vi hanno visto i segni di un'oscura minaccia al sistema democratico, l'ottica adottata consente all'autore di evitare sensatamente la narcisistica antinomia, molto frequentata a sinistra, per la quale, nell'efficace formulazione di Pizzorno, "ad ogni nuovo insorgere di un'ondata di conflitto saremo indotti a ritenere di essere alle soglie di una rivoluzione, e quando l'ondata comincia a calare prediremo la fine del conflitto di classe". Nel titolo del libro, Democraziae disordine, è contenuta la tesi teorica forte, che l'indagine si propone di dimostrare applicandola al caso italiano: gli anni del disordine sono stati per Tarrow "uno dei periodi di crescita democratica più ricchi e fecondi della repubblica". Nell'arco di questi anni si è realizzato un ampliamento dell'arena politica con l'ingresso di nuovi soggetti, si è sperimentato un vasto repertorio di forme di azione collettiva, molte delle quali si sono trasformate in forme di partecipazione legittime e permanenti, sono state attuate riforme e leggi (dallo Statuto dei lavoratori alle pensioni e al divorzio, per non citarne che alcune) improbabiU senza le pressioni indotte dal ciclo di protesta. "Il caso italiano" si sostiene nella conclusione "dimostra che la democrazia si amplia non perché le élites concedono delle riforme o reprimono il dissenso, ma attraverso l'espansione della partecipazione che si verifica come risultato dei cicli di protesta". E l'assunto della dimensione fisiologica, e non patologica, del disordine, perché "la democrazia è sempre un ILCONTISTO esito contingente del conflitto e non è mai progredita senza lotta" non è cosa da poco in tempi in cui ha gran voga l'idea che la democrazia si identifichi con la stabilità e il puro rispetto formale delle regole del gioco. Per fortuna ogni tanto qualche liberalde- . mocratico di cultura anglosassone si prende la briga di ricordarci il suo complemento dinamico dei movimenti sociali. Altro risultato conoscitivo non scontato della ricerca riguarda il peso della violenza nel "decennio di follia". Le dinamiche della mobilitazione collettiva, cui è dedicata la parte più corposa del lavoro, mostrano una logica interna che configura la parabola, storicamente ricorrente, tipica dei-cicli di protesta: dopo i primi fermenti, la fase dirompente e alta dei movimenti (il '68 studentesco e il '69 operaio) caratterizzata dalla massima carica perturbativa per la rottura con le forme tradizionali dell'agire politico e daila sfida dichiarata ali' ordine esistente, sfida che acquista forza e visibilità proprio dall'assenza di limiti prevedibili (come nel romanzo di Calvino Il baronerampante "è l'assurdità dell'atto" spropositato del protagonista che va a vivere sugli alberi "a conferire potere alla sua protesta"). Segue la fase centrale in cui "l'insolito si fa abituale", l'onda lunga di propagazione fra molteplici altri settori sociali, che conduce al picco quantitativo delle lotte (1971-1972), più convenzionali nelle forme d'azione e più segnate dalla presenza di forze organizzate (vecchie e nuove), preludio alla fase calante, in cui si delinea una netta biforcazione fra istituzionalizzazione crescente da un lato, con una trasfusione di militanza nelle strutture politiche preesistenti, -e radicalizzazione violenta dall'altro. La diffusione della violenza organizzata si verificò solo nel declino del ciclo ed esplose in reazione al calo della mobilitazione, non corrispose alla sua massima estensione e non ne espresse la continuità. Lo sbocco infine nel terrorismo, nel giudizio di Tarrow, "non fu il culmine del movimento nato nel Sessantotto; fu il segno del fallimento della strategia di movimento in un periodo di mobilitazione in declino". I capitoli centrali del libro mettono a fuoco il disegno interpretativo generale dell'intero ciclo per tagli trasversali, che ripercorrono le vicende del movimento degli studenti, dei lavoratori dell'industria, del dissenso religioso (esemplare il caso della comunità dell'Isolotto di Firenze, ricostruita attraverso una cronaca viva e puntuale, che testimonia le omologie e la pervasività dei fermenti dell'epoca), della sinistra extraparlamentare e, in particolare, di Lotta continua. Oltre a fornire materia di riflessione sugli esiti del ciclo italiano - individuati nell'intreccio di istituzionalizzazione, violenza e crescita democratica- lo studio di Tarrow ,allargando il campo d'osservazione agli anni precedenti il divampare dei Gli scontri di Valle Giulia !foto D'Aco). 9
ILCONTESTO mov_imentin,e indaga positivamente la genesi e le precondizioni di sviluppo.La specificitàdel contesto italiano (purnell'ondata di un ciclo politico e generazionale che ha valenze e radici internazionali) è colta nella peculiare compresenza di due circostanze: i mutamentistrutturaliprofondidel sistemaproduttivoe professionale,cheridisegnavano la stratificazionesocialegenerandonuovi soggetti (in particolare i lavoratori immigrati e i giovani acculturati de~a classe media postbellica), e il quadro politico del centrosinistra, che poneva all'ordine del giorno prospettive di riformasenzadisporre di strategie adeguate a perseguirle,mentre acuiva le spaccature all'interno della sinistra. L'interpretazione di Tarrow si impernia decisamente sulla seconda circostanza, ovvero sul "primato della politica", come chiave di volta del processo e fattore esplicativo della sua lunga durata: la congiuntura politica offrì un terreno di nuove opportunità a gruppi e minoranzeprima marginali, che aprirono la breccia della mobilitazione collettiva. A loro volta i movimenti offrirono nuove opportunitàpolitiche ai partiti e ai gruppi d'interesse, innescando uno scambiodi incentivi che alimentò riel tempo la conflittualità sia all'esterno sia all'interno delle istituzioni. Una chiave di letturapenetrante è proposta dall'ottica della "competizione" per il consenso, risorsa disponibile ma non illimitata, fra gruppi, movimenti e partiti, che Tarrow mutua dalla teoria politologica delleélites per applicarla originalmente alle dinamichedi sviluppo e alle strategie interne al ciclo. Significativa a spiegare la fase ·costitutivae altamente concorrenziale dei gruppi extraparlamentari, essa entra in gioco con forza nella strategia di autoaffermazione delle minoranze che, nella caduta del movimento, imboccanolastradadella violenzaorganizzata, comenelloscatenamento iniziale del processo coglie le dinamiche interattive tra la sinistra istituzionale e i nuovi movimenti. Fu in larga parte dai militantiattivi, dai temi (si pensi al dibattito sul sistemaeducativo deglianni Ses~ta), daiquadridi riferimento maturatiali' interno delmovimentooperaio che presero le mosse i movimenti successivi.E non è un caso che le due grandi strutture interpretati.veche fungono da cornice unitaria alla mobilitazione del decennio, l'operaismo e l'autonomia, esprimano la radicalizzazione di un'eredità e insieme la rottura competitiva con le organizzazioni tradizionali. · La principale base documentaria della ricerca di Tarrow (integratada documenti del movimento, intervisteai protagonisti e altre fonti mirate) è ricavata dallo spoglio e dalla codificazione sistematica di otto annate (dal 1966 al 1973) del "Corriere della Sera", da cui si desumono informazioni dettagliate su 4.980 episodi di protesta. Una riserva potrebbe essere avanzata sulla naturadella fonte e sulledistorsioni del fenomenoa essa inerenti, oltre che sulla approssimativa esplicitazione degli indicatori qualitativiadottati. Si può ragionevolmente presumere una sottorappresentazione delle lotte nel Sud e una sopravvalutazione degli episodi più clamorosi o violenti, accompagnata con l'andar degli anni a un calo d'attenzione per le proteste periferiche o. ripetitive, che avevano cessato di far notizia. Vale per contro il vantaggio dell'omogeneità della fonte, avendo la cautela di considerare l'insieme degli episodi registrati come un campione sensatoma pur sempre artificioso, senza scambiarloper l'universo reale delle manifestazioni di protesta in Italia. Un rilievo più sostanziale (già espresso da Luigi Bobbio su "l'Unità", 14/3/1990) riguarda invece il modello esplicativo globaleche, dopo l'innesco del ciclo, tende a trascurare il contesto éoncreto in cui si evolve. Le sue fasi, anziché storicamente scanditedall'interazione specifica tra mobilitazione sociale, iniziative d'avanguardia, risposte e reazioni delle forze politiche, dei poteri costituiti e dei gruppi economici dominanti, sembrano 10 riprodurre una logica autogenerativa interna dagli esiti obbligati e interpretati in chiave forseanche troppo ottimistica.Non avrebbero potuto essere più consistenti i risultati in termini di riforme e di allargamento delle sfere di democrazia se altre fossero state le risposte del sistema politico e meno oscillante la strategia del · movimento operaio? In che misura la cultura politica della sinistra vecchia e nuova, fragile e incerta proprio sul terreno del rapporto con le istituzioni, ha favorito un processo terminale di istituzionalizzazionedel conflitto più trasformisticoche autenticamente rifondativo? Quanto l'insorgere della violen7.aarmata, oltre a esprimere la reazione soggettivistica e distruttiva al calo dellamobilitazione, ha inciso nell'accelerarne i tempi e nell'alterarne gli sbocchi? Ma qui siamo già probabilmente nel campo di un'altra ricerca, ancora da fare, e in parte sul terreno suggestivo ma scivoloso della storia controfattuale. L'interesse e la ricchezza di stimoli dell'analisi di Tarrow sono comunque notevoli e varrebbe la pena di estendere alcuni suoi schemi interpretativi al riflusso dell'ultimo decennio, quando la democrazia intesa nei termini sostanziali di partecipazione attivae di maggiore accesso alle risorse da parte dei ceti svantaggiati ha fattomolti passi indietro.Vale ancora lapena di riflettere, andando oltre Tarrow, che se la "trasparenza del conflitto", ovverola sua semplificazionee visibilità nellamessain questione di temigenerali, fu la condizionedella crescitademocraticaallora realizzatasi, qualunque rifondazione attuale della politica, anche senza essere dei patiti dei movimenti epocali, non dovrebbe esimersidal dichiarare la posta in gioco. Perché forse la democrazia, quando non procede in avanti, finisce per arretrare. Generazioni · di fronte al cambiamento Giovanni Jervis Il sole dell'avvenire è scomparso al di là dell'ori7.zonte, e adesso, avendo noi tutti constatato che la solidarietà globale e il socialismo non funzionano, apbiamo bisogno di trovare almeno qualcosa in cui credere. Ci consolano le Primavere d'Europa. Peròquesteprimavere ci si presentano come un'immagine unpo' botticeliiana, cioè piacevolissima e ariosa quanto inquietante e fragile, fresca e µn po' vecchiotta al tempo stesso. Se immagini come questa possono andare alla perfezione per far festa in un giorno di maggio, tuttavia esse non ci esimono da qualche considerazione più cauta. Cauta, naturalmente, non significa pessimista. Per esempio si può cominciare col dire che è ottimista, anzi giustamenteottimista, la constatazione che le illusioni dei popoli sorio la locomotiva della storia. Personalmente, ho fiducia nel progressostorico dell'umanità e nelle risorsedell'uomo, anche se questi concetti oggi non sono affatto di moda. Quindi credo nel treno della storia, e .anchenella locomotiva. L'inconveniente è che per un po' di tempo dovremo fare a meno di credere che esista la verità. Oppure dovremo credere in verità provvisorie, e rinunciare .alle verità teologiche. Si può ricordare una osservazione attribuita a Luis Bui'iuel.Pare che Bui'iuelabbia esclamato: "Forse sarei disposto a dare la vita per unapersona che cerca la verità, ma potrei uccidere la persona che dice di averla trovata". Qui - a proposito di generazioni - sentiamo gli echi di tutta una vita straordinaria, e - a proposito di Europa - la saggezza di una grande cultura. Poi c'è anche da dire che non tutte le illusioni sono uguali. Se
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