Linea d'ombra - anno VIII - n. 49 - maggio 1990

IL CAMMINO DI DIETRICH BONHOEFFER NELLA RESISTENZA AL REGIME HITLERIANO Heinz E. Todt traduzione di Roberto Menin 1. L'argomento scelto ci impone di condurre un'analisi comparata dei dati biografici e di quelli risultanti dagli studi sulla Resistenza. Ma non solo questo. Perché le attività di Dietrich Bonhoeffer concemevario anche la lotta contro l'ingerenza dello Stato nella vita della Chiesa, il sostegno dato agli ebrei perseguitati e infine la critica teologica del nazionalsocialismo. La ricerca a livello storico di questi ambiti si è frantumata in più direzioni, che conservano pochi momenti di contatto fra loro. Metodologicamente risulta quindi necessario far convergere le diverse prospettive di ricerca sul paradigma del cammino compiuto da Bonhoeffer nel Terzo Reich. Il regime hitleriano fomentò tra i tedeschi, nel clima di sfiducia che dominò fino al 1933, una vera euforia di rinnovamen- . to e ricostruzione. Rapidi successi sembravano dar ragione alla rivoluzione nazionalsocialista. Il fascino di una "nazione che si risollevava" era praticamente irresistibile. Al contempo però, il regime esercitava un terrore che si insinuava nella società fin dentro gli ambiti familiari, diffondendo paura e costringendo a comportamenti di consenso, se non all'interiorizzazione dell'auto-censura. Il regime reclamava per sé l'individuo, nella sua totalità, e lo giudicava sulla base di concrete ingiunzioni: bisognava entrare in un'organizzazione nazista, prendere le distanze dagli ebrei e dal liberalismo, condannare la democrazia e il comunismo, e altro ancora. Chi non lo faceva veniva considerato un nemico dello stato. Il regime costruì anche un immenso apparato repressivo che non sottostava a nessun controllo giudiziario o di altro genere. In questa situazione già non era cosa facile rimanere saldi nelle proprie convinzioni, ancor più arduo battersi per lo sviluppo di forze di opposizione. A meno che non si conducesse una doppia vita, adeguandosi per lo meno in parte negli atteggiamenti esteriori e, grazie alla simulazione, al camuffamento, lavorare contro il regime. 2. Questa forma dì resistenza risultò favorevole a chi apparteneva a solidi gruppi familiari o di amici. E Dietrich Bonhoeffer viveva proprio in un simile ambiente, figlio di Karl Bonhoeffer, noto psichiatra e uomo di scienza, e di una madre che a doti pedagogiche univa una religiosità naturale. Dietrich, il sesto di nove figli, nacque il 4 febbraio 1906, e venne educato nell'ambiente colto della borghesia intellettuale, in quel quartiere berlinese di Grunewald che contava un'alta percentuale di popolazione ebraica. Un fratello maggiore perì nella Prima guerra mondiale. La sua morte deve aver segnato profondamente Dietrich, influenzandolo probabilmente nella sua precoce e inaspettata scelta di dedicarsi agli studi teologici. Il fratello maggiore, benché ancor giovane, era già un fisico di fama; l'altro fratello e i tre cognati Riidiger Schleicher, Gerhard Leibholz e Hans von Dohnanyi erano giuristi particolarmente interessati ai problemi del diritto pubblico e della vita politica. La famiglia di Karl Bonhoeffer era protestante, ma non praticante, e i fratelli maggiori a volte scherzavano benevolmente sulla sua decisione di studiare teologia. Dietrich diventò dottore in teologia a Berlino all'età di 21 anni, a 24 conseguì l'abilitazione. La dissertazione e la tesi di dottorato - pur essendo testi il cui valore viene riconosciuto ancora oggi-non rappresentarono tuttavia il momento decisivo della sua formazione. La sua vita e il suo pensiero vennero plasmati da 1,m evento sul quale Dietrich si espresse solo di rado, e per accenni. E che lo spinse a confrontarsi intimamente col testo biblico, soprattutto col Discorso della nwntagna. La maggior parte dei teologi del tempo non si riconoscevano in quel passo dei Vangeli. Il precetto dell'amore verso i nemici, della rinuncia alla violenza sembravano illusori e inattuabili nella moderna società borghese e capitalistica. Quei principi non inducevano forse a un esaltato pacifismo incompatibile con le tendenze nazionalistiche dominanti? Ovviamente Bonhoeffer intuiva questa conflittualità. Egli stesso, di corporatura ~tletica e di grandi capacità sportive, era un uomo - come oggi direbbero gli psicologi - dotato di grande consapevolezza del proprio io. Bonhoeffer lesse il Discorso della nwntagna non come un sommario di precetti. Egli interpretò il testo come un dialogo che si svolge all'interno di un rapporto personale di fede con Dio fattosi uomo in Gesù Cristo.Nell'essere colpito da questa rivelazione, Bonhoeffer ne percepì l'aspetto fortemente liberatorio, e l'irrompere di una realtà che era in assoluto primaria, ben più vincolante di tutto ciò che fino a quel tempo aveva reputato tale. Inevitabile conseguenza fu per lui porsi al seguito della parola di Gesù, e confidare nella forza profetica di quella rivelazione. Le tracce di questo evento, che va collocato nell'autunno del 1932, si potranno rinvenire nei suoi testi teologici. E allo stesso tempo non sarà difficile capire come quell'esperienza lo precipitasse in un aspro conflitto col nazionalsocialismo. Nel 1933 apparve un libretto col titolo Creazione e caduta (Schopfung und Fall) che, tranne per qualche correzione, corri- · spandeva al testo de!Je lezioni tenute da Bonhoeffer nel semestre invernale 1932/33. E stato ripubblicato nel 1989, nell'edizione deiDietrichBonhoefferWerke, voi. III. Si tratta in sostanza di una llbera esegesi teologica dei primi tre capitoli della Bibbia, ivi compresa la storia del peccato originale. Per come si presenta, abbiamo a che fare con una antropologia teologica che ha per tema l'uomo nella realtà che lo circonda. La storia biblica del peccato originale racconta che l'uomo del .Paradiso cede alla tentazione del serpente, mangiando i frutti dell'albero della conoscenza, quelli del bene e del male. Che questo albero, posto al centro del Paradiso assieme all'albero della vita, non debba venir toccato dall'uomo significa che Dio ha voluto riservare per sé quel luogo della realtà che ne segna il centro. Il mondo è Creazione, in quanto Dio ne è il centro; e la realtà è realtà santa essendo creazione di Dio. Il serpente, che ne è consapevole, suggerisce pressappoco agli uomini: se vi spingelete al centro della Creazione ne sarete voi stessi trasfigurati - eritis sicus deus. È quanto succede. L'uomo usurpa il centro del mondo, fatto che porta con sé una duplice conseguenza. Anzitutto egli deve porsi, essendo ora al centro, come misura di tutte le cose, giacché tutto il creato fa riferimento a lui. Per altro verso, il creato non si mostra più all'uomo, dopo che questi ha assunto la sua nuova posizione accentrata, come creazione di Dio che rimanda a Dio stesso. Ora la realtà si costituisce nei modi in cui l'uomo la vuole percepire e possedere. Così strutturati, gli elementi portanti del reale, ormai preda della volontà egocentrica dell'uomo, non si ricompongono più secondo le leggi sacre e dispensatrici di vita della Creazione. Piuttosto, si frantumano in coppie oppositive cariche di conflitti e di forza distruttrice. Tutto ciò che ora esiste 73

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