STORIE/MANNUllU Mi lasciavo portare su dal nastro della scala mobile con un po' di inquietudine, irragionevole ma crescente, quando sentii gli urli. Ignoro perché fatti simili mi siano rimasti nella memoria più di altri. di altri. Ho detto che era una giornata molto calda. Nessuna delle poche persone presenti pareva far caso all'alterco. Mi misi ad aspettare presso la libreria, guardandone e riguardandone le vetrine. Mia figlia tardava. Poi d'un tratto la vidi avanzare rapida, nel vestito nero e corto, mi disse che Dar ci aspettava con l'automobile in zona di divieto, dietro l'isolato. Può darsi che il suo nervosismo dipendesse da questo; traversato il campus, non c'era più. Poi bastò percorrere qualche tornante, fra alberi: "Ecco", lei cercava di vincere l'impaccio con lo scherzo di una frase ampollosa, aprendo il cancelletto. Era la casa: di legno, più piccola e più vecchia che nelle fotografie, ce ne separava un sentiero fatto d'una specie di opus incertum, che si percorreva in due passi. "E questa è la famosa campana", per farla suonare adoperò una sbarretta posata lì vicino. "Ma non chiudete a chiave?" anch'io provavo imbarazzo: un soggiorno minuscolo, tutto bianco, con una piccola libreria di legno naturale, un divanetto e una poltrona, e un tavolo a cavalletti, che reggeva il computer. "Accomodati", ripeté. L'indiano, Dar, rimaneva in piedi, col suo sorriso saggio, mi domandava se gradivo una bibita. "Vuoi della frutta?" domandò a sua volta Lula, portandomi il bicchiere d'acqua che avevo chiesto. Così sbucciò un pompelmo, collocandone gli spicchi sopra un piatto: fresco, com 'ero accaldato, e dolce; poi un altro. La casa stava sul fianco scosceso della collina, sostenuta nella parte posteriore da pilastri (il basament, lei diceva): la camera da letto minima, tutta imbiancata, praticamente non aveva che il grande letto basso ricoperto di foulard; e poi c'era la cucina, con un televisorino e, s'intende, un paio di mobiletti, vecchi, e stoviglie in vista - furono esse a provare la realtà d'una vita domestica-, la finestra prendeva l'intera parete verso la valle. Le stava sotto un tavolo qualunque, dove rimanevano carte non tanto qrdinate; capii che era il suo e che in soggiorno lavorava Dar. "E molto bello, di qui", dissi: tra le conifere alte, si vedeva la distesa lucida della baia, sino al Golden Gate, lontanissimo. Era il suo pomeriggio di riposo dall'ospedale. Fece il caffé, infuso di polverina in acqua bollente, un po' ridendone. E mi indicò lo scoiatt9lo che si fermava sul ramo proteso quasi a toccare il vetro: "E sempre qui, entra anche in casa". Fu così che, per divertirla, inventai di avere incontrato di nuovo il bambino travestito da babbo Natale: "Dove?" mostrò curiosità più svagata. "Dove mai? A Chinatown. Ti eri accorta che portava scarpe da tennis?" Credo che Dar non capisse: rimaneva ad ascoltare, in piedi, tanto alto, educato e gentile, i capelli precocemente brizzolati. E credo che comunque ognuno desse il meglio del suo repertorio. Ritornati di là, notai il grande libro di riproduzioni di Georgia Q'Keeffe, poggiato su un piano alto dello scaffale con fa copertina esposta, ambigui fiori bianchi tra luci morbide e ombre marroni e blu -ero al corrente di quella sua predilezione, anche se non capivo da dove potesse venire: "Me lo ha appena regalato Dar". Non so per quale articolarsi del discorso giunsi, su una delle poltroncine di tela greggia, a parlare di mio nonno, che non avevo conosciuto: morto negli anni Venti a causa d'una caduta da cavallo. Forse per come pareva incredibilmente lontano, lì, un simile modo di morire; o forse perché era una cosa che ci rimaneva in comune. Dar accese il computer, dicendone "our", "nostro", e illustrandolo, top fra i portatili; e io mi domandavo come potesse lavorare con quella macchinetta uno studioso di statistica, per giunta importante- sebbene poi i suoi strumenti effettivi dovesse trovarli altrove. Lula mise un dischetto di giochi, mostrandomi che i sillogismi si verificano con la teoria degli insiemi. Intanto il sole si era abbassato, obliquo, sulle tendine vaporose e bianche di quell'interno - come su tutte le altre a est della baia: anche in quella parte del mondo le giornate si erano fatte corte. Dunque uscimmo, giù si addensavano strati bassi di nebbia, i grattacieli del Financial District, lontano, e, ancora più lontano, i piloni e l'arco del Golden Gate ne emergevano, controluce e · celesti. Fui io adesso a suonare la campana con la sbarretta, nell'ombra di quel palmo di giardino: per commiato. Poi in automobile, mentre scendevamo seguendo i tornanti, dissi che non avevo mai visto tanti aquiloni come in quei cieli: "Può darsi li abbiano portati i cinesi", spiegò Lula sporgendosi dal sedile di dietro. , · Il campus era deserto per le vacanze. Mentre ne percorrevamo a piedi un viale, verso l'uscita, incontrammo un altro scoiattolo, solitario, che subito si soffermava a guardarci nei raggi del tramonto. Lei si inginocchiò a fargli moine, con la vocina in falsetto che adoperava per qualunque animale; rimasta identica. Di qui il pellegrinaggio non rispi}fmiò nessuno dei luoghi deputati, dallo spiazzo presso il cancello dove tutto (l'indiano disse proprio così: "tutto") era incominciato, vent'anni prima, e dove ora inutilmente si sarebbero cercati quei fantasmi, al celebre mural che ne tramandava le gesta. In Telegraph Avenue più neanche un venditore. Ma dietro restava il People's Park: e gli homeless non erano andati in vacanza; almeno, non tutti. Dar.me ne raccontò, mentre traversavamo, gravemente: l'argomento lo interessava in tal modo- sapevo già, per come ci tornava- che non riusciva, infine, a contenere l'animazione. Se ne vedevano alcuni accovacciati sui sacchi a pelo nei quali avrebbero trascorso la notte; più in là senza compagnia una negra fumava, enorme, straripando da una seggiolina per bambini - rivolta nella direzione in cui era scomparso il sole. "I cattolici sono stati bravi", lui concluse, indicando il Peace's Cafe che avevano aperto contro non so quale divieto - però con la serranda calata, a quest'ora. Ora in cui la luce raffreddandosi per finire scivolava sul campo spoglio e vasto, che aveva solo nomi enfatici e qualche cespuglio, qualche povera aiuola mista di fiori e ortaggi, ultima o penultima ragione di quanti l'avevano eletto a patria. Era compresa tra i festeggiamenti anche la visita a un negozio di elettronica, a Oakland. Due capannoni o anzi hangar smisurati, con una gigantesca insegna neon verde già accesa. Entrati, l'esposizione si diramava all'infinito, tra qualche alberello di Natale. Loro avevano insistito sin dal pomeriggio perché comprassi un computer, i prezzi erano convenienti rispetto a quelli italiani; e per compiacenza avevo manifestato interesse. Lì dentro però mi divertii. Le macchine erano tutte a disposizione, si potevano provare. Dar mi accompagnava, pronto a spiegarmi e ad aiutarmi a domandare ai commessi; Lula aveva finito col farsi prendere davanti a un monitor, rimasta a battere sulla tastiera. Anche molto distanti, i colori degli schermi brillavano, più degli ornamenti natalizi; e percorreva l'aria una strana musica silenziosa, fatta di bip, fruscii, continui ronzii di meccanismi, ticchettii di tasti. Mentre a sua volta Dar sostava per non so che - prova, o forse per discrezione, ritornai da Lula: "Passerei un 'in69
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