Linea d'ombra - anno VIII - n. 49 - maggio 1990

STORIE/MANNUllU Il Golden Gote (Arch. Garzanti). un ombrello portatile). Né smise più, sino a tutta la notte. ~attev~, ~crosciante, rimbalzava sull'asfalto allagato: sembrava impo~sibil~.che dovesse durare tanto, così fitta. Quella sera entr~i e us~n da coffee-shops, anche solo per strofinare le scarpe ~radice .nei mucchi di segatura, girai per grandi magazzini m~estat1da musiche natalizie (uno con scala come il Guggenhe_1m_Mus~um,elicoidale: in più mobile); aspettando che per misencordia cessasse o almeno si attenuasse: invano. Finii dunque in un cinema: una saletta circolare che poteva contenere tren~ persone ~ dov~ eravamo in sei, su sedili a gradoni, a s~ntrrc1fumare 1panm e a vedere (o rivedere) La dolce vita. Di r!to~o, uscendo tra la folla dalla stazione del Bart, fu un'impresa nsahre la scala, sotto il diluvio; lì incrociai un negro scalzo e a dors? nu~o, che scendeva - il viso sollevato, gli occhi cupi e luccicanti - come non ci fosse altri che lui. f! i:1vecepoi quel giorno (24 dicembre, vigilia) restò bello e dcch~~ dolcemente, trovandomi io, allora, alla Marina? Passavano 1J_ogge~rsitard~tari, senza rompere il passo, e dietro i vetri delle v~lled1 legno s1vedevano gli alberi di Natale; i loro lumi colorati tr~pel~vano accendendosi e spegnendosi di continuo dalle tendme ncamate a macchina. Ma l'aria restava insolitamente tiepida: il tramonto tingeva di rosso il cielo dove si levavano distanti due aquiloni, piccole macchie scure controluce, che convergevano e divergevano subito con le loro lunghe code. Sapevo che n_onsarei più ritornato in quel luogo. In albergo ogm sera m1 aspettava, all'ingresso, il lift di cartone, strizzando l'occhio; al portiere dicevo il numero della camera, scandito cifra per cifra. Trovavo il pigiama steso sul 68 letto, la giacca un po' arricciata alla vita. Alla grande finestra naturalme_ntemancavano gli scuri: si proiettava sin dentro, sulla parete, 11riflesso lontano di un'insegna. Stavo nel retro, e sotto c'era un grande garage, il rumore attutito dei meccanismi elevat~ri n~n smetteva; e ancora più sotto, di fronte (Ellis Street?), c era Il locale frequentato un tempo da Dashiell Hammett: divenuto bisteccheria con pretese, ma per chi passasse una targa tramandava la leggenda; ora, accostando la faccia al vetro ne vedevo, laggiù poco sopra il marciapiede, le luci azzurre e vdrdi. Quella sera però (24 dicembre, vigilia), comunque fossero andate le cose prima, cenai con mia figlia e Dar. Il ristorante - lo aveva scelto lui che ci invitava - era uno dei più tradizionali e antichi della città, epoca (o quasi) della corsa dell'oro. Ci toccò aspettare al bar: un banco lunghissimo, ovale, gremito e chiassoso, come gremito e chiassoso era il salone al centro del quale era collocato. Lì bevemmo un vino di cru francese prodotto nella Napa Valley: Dar si profuse in brindisi, con la sua sorridente gentilezza un po' manierata. Quando ci chiamarono, venuto il turno, ne sentii per la prima volta il nome intero. Ci misero in un separé - vecchi mogani, ottoni, tovaglia bianca - e ordinam- ~o un~ zuppa di pesce detta inverosimilmente cioppino. Prima d1servirla Il cameriere portò dei grembialoni di carta dalle scritte spiritose, differenziate per gentlemen e ladies - Lula quindi ebbe il suo-, e ci aiutò a indossarli . . Fu dur~nte l~ c_e~ache intervenne_ il litigio fra loro: neppure m1accorsi dell m1z10e potevo segmrne male lo svolgimento giacché erano passati a un inglese stretto e rapido, sussurrato; si trattava di argomenti futili, di un contrasto sino in fondo casuale. Lula insisteva, con l'aria di sfida che le cònoscevo e Dar le rispond~va br~v~mente, senza smettere il sorriso che ~copriva i bei_denti ca~d1~1,però rivelandosi irriducibile. Così lei scoppiò a piangere, Il viso arrossato contratto dalla smorfia e le lacrime, come da bambina: sul grembialone che si era anche macchiato di salsa. C'era tanta sproporzione fra quella reazione e i suoi motivi apparenti che pensai non dipendesse neanche da Dar. Che fosse, chissà, il modo di celebrare lo stare di nuovo insieme la mia prossima vecchiaia e il Natale. Comunque mi ritornò' la paura. Ero stato anche nella loro casa, a Berkeley. Dar insegnava all'università e il Children's Hospital di Lula non era distante (lei comunque non aveva mai abitato a Oakland). Arrivai con il Bart, in una giornata tutta sole, ancora, e molto calda: il luogo dell'appuntamento era appena fuori, davanti a una libreria che ricordavo._Te~o sempre disguidi, sbagli di tempi o di luoghi: dunque m1lasciavo portare su dal nastro della scala mobile con un I??' ~i in9uietudine, irragionevole ma crescente, quando s~ntn gh ~rh. Era una ragazza dai capelli cortissimi, molto ~10vane,bianca, che inveiva contro un negro anziano, il quale le nsp<;mdevanello stesso modo, terribili ingiurie. La stazione era sem1vu?ta a q~ell'<?ra: la ragazza éontinuò, fuori di sé, protendendosi dalla nngh1era, la bocca spalancata sulle gengive sdentate, e anche il negro non smetteva di gridare, la faccia rivolta verso l'alto - voci e pianti echeggiavano per il grande atrio d?ve ~calemobili si incrociavano, larghe anch'esse, e il sole alto s1proiettava sul pavimento lucido per la parete di vetro. Ignoro perché fatti simili mi siano rimasti nella memoria più

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