Linea d'ombra - anno VIII - n. 49 - maggio 1990

Bambini del Nicaragua !foto di Arturo Robles/J.B./G. Neri). perché no, diceva a questo me l'altro me stesso hel nell'eterno implacabile dialogo fraterno e insieme pieno di astio, perché non guardare per prime le pitture di Solentiname se sono la vita stessa, se tutto è la stessa cosa. . Scorrevano le immagini della messa, piuttosto mal riuscite per errori di esposizione, in cambio i bambini giocavano in piena luce, i denti bianchissimi. Spingevo svogliatamente il pulsante, mi sarei soffermato a lungo a guardare ciascuna foto, vischiosa di ricordo,.piccolo fragile mondo di Solentiname circondato d'acqua e sbirri, come il ragazzo che guardavo senza capire, avevo schiacciato il pulsante e il ragazzo era lì in un secondo piano chiarissimo, una faccia larga e franca piena di incredula sorpresa mentre il corpo cade in avanti, il foro nitido in mezzo alla fronte, la pistola dell'ufficiale che disegna la traiettoria del proiettile, ai lati altri con le mitragliette, uno sfondo confuso di case e alberi. Si pensa quello che si pensa, ma viene sempre prima di te stesso e ti lascia tanto indietro; stupidamente mi dissi che si erano sbagliati, dal fotografo, che mi avevano dato le foto di un altro cliente, ma allora la messa, i bambini che giocavano nel prato, allora come. Nemmeno la mia mano obbediva quando schiacciò il bottone e apparve un deposito di salnitro due o tre capannoni di lamiere arrugginite nella luce del mezzogiorno, gente ammucchiata sulla sinistra che osserva i corpi supini, le braccia aperte contro un cielo nudo e grigio; bisognava fissare a lungo per distinguere nel fondo il gruppo in uniforme di spalle che sta andandosene, la jeep in attesa sulla sommità di una collinetta. So che procedetti: di fronte a ciò che andava contro ogni buon senso l'unica cosa possibile era continuare a premere il pulsante, guardare l'angolo di Corrientes y San Martin e l'automobile nera con quattro individui che prendono la mira in direzione di un marciapiede dove qualcuno corre con una camicia bianca e scarpe da ginnastica, due donne che cercano di rifugiarsi dietro un camion in sosta, qualcuno che guarda avanti, una faccia incredula piena d'orrore che si porta la mano al mento pertoccarsi e sentirsi ancora vivo, e atr improvviso un tratto quasi buio, una Iuce sporca che filtra da una piccola inferriata in alto, il tavolo con la ragazza nuda stesa supina con i capelli che arrivano fino a terra, l'ombra di spalle che le sta introducendo un cavo elettrico tra le cosce STORIE/CORTA2:AR aperte, i due di fronte che parlano tra loro, una cravatta blu e un pullover verde. Non ho mai saputo se ho continuato o_no a premere il pulsante, vidi nitidamente uno spazio aperto di selva, . una capanna con il tetto di paglia e alberi in primo piano e contro il tronco del più vicino un ragazzo magro guardare verso sinistra dove un gruppo confuso, cinque o sei assai vicini che mirano_con fucili e pistole; il ragazzo, con il viso lungo e un ciuffo che gli ricade sulla fronte scura li osserva, una mano alzata a metà, l'altra forse nella tasca dei pantaloni come se stesse dicendo loro qualcosa senza fretta, quasi in maniera indifferente, e sebbene la foto fosse confusa io avvertii e seppi e vidi che il giovane era Roque Dalton e allora sì spinsi il bottone come se con qu~l gest~ avessi potuto salvarlo dall'infamia di quella morte e andai avanti vedendo un'auto che volava a pezzi in pieno centro di una città che poteva essere Buenos Aires o San Paolo, continuai a spingere e spingere tra lampi di visi insanguinati e pezzi di corpi e donne e bambini che fuggono correndo lungo un pendio boliviano o guatemalteco. Ali 'improvviso lo schermo si riempì di mercurio e di nulla e di Clai.Jdineche entrava silenziosa spandendovi la sua ombra prima di chinarsi a baciarmi sui capelli e chiedere se erano belle, se ero soddisfatto delle foto, se volevo mostrargliele. Girai il caricatore e lo rimisi a zero, uno non sa come e perché fa le cose quando ha varcato un limite che nemmeno lui conosce. Senza guardarla, perché avrebbe capito o più semplicemente avuto paura di quello che doveva essere la mia faccia, senza spiegarle niente perché ero tutto un groppo dalla gola fino alle unghie dei piedi, mi alzai e lentamente la misi nella mia ~ltrona e dovetti dirle qualcosa, che andavo a prenderle un gocc10 e che guardasse, guardasse mentre andavo a prenderle un g~ci_o. Nel bagno credo che vomitai o piansi solamente e dopo vom1ta1? non feci niente e rimasi solo seduto sul bordo della vasca lasciando passare il tempo fino a che riuscii ad andare in cu~ina_apr~parar~ a Claudine la sua bibita preferita, riempirgliela d1gh1acc10e POI ascoltare il silenzio, rendermi conto che Claudine non gridava né veniva di corsa a chiamarmi, il silenzio e niente altro e a tratti il bolero zuccheroso che filtrava dall'appartamento accanto. Non so quanto impiegai dalla cucina alla sala, a vedere 1~ parte posteriore dello schermo proprio quando lei arrivava alla fme ~ la stanza si riempiva del riflesso del mercurio istantaneo e POI la penombra, Claudine che spegneva il proiettore e si sp~ngev~ indietro nella poltrona per prendere il bicchiere e somderm1 piano, felice e gatta e così contenta. . - Che carine ti sono riuscite, quella del pesce che nde e la mamma con i due bambini e le mucche nel campo; aspetta, e quell'altra del battesimo nella chiesa, dimmi chi li ha dipinti, perché non si vedono firme. . . . . . Seduto in terra, senza guardarla, presi 11m10 b1cch1~ree lo bevvi d'un fiato. Non le aveva detto niente, che potevo dirle ora, però ricordo che pensai vagamente di domandar!~ una sciocchez: za chiederle se a un certo punto non avesse visto una foto d1 N~poleone a cavallo. Ma non glielo domandai, è ovvio. San José, L'Avana, aprile 1976 Ringraziamo l'Associazione Amici di Julio Cortazar di Roma per averci assistito nella pubblicazione di questo testo. 65

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