Linea d'ombra - anno VIII - n. 49 - maggio 1990

STORIE/CORTAzAR viaggio a Solentiname e gli pareva irresistibile l'idea di venirmi a prendere. Così, dopo due giorni Sergio, Oscar, Ernesto e io riempivamo un facilmente colmabile velivolo Piper Aztec, il cui nome sarà sempre per me un enigma. Pefè>volava tra singhiozzi e borborigmi abominevoli contrastati dai calipso su cui si sintonizzava il biondo pilota, che sembrava del tutto indifferente alla mia impressione che l'azteco ci portasse dritti alla piramide del sacrificio. Evidentemente non fu così, scendemmo a Los Chiles e di lì una jeep altrettanto traballante ci portò nella.finca del poeta José Coronel Urteche, che molti farebbero bene a leggere, nella cui casa riposammo parlando di tanti altri amici poeti, di Roque Dalton e Gertrude Stein e Carlos Martìnez, finché arrivò Luis Corone} e ci dirigemmo verso il Nicaragua con la sua jeep a folle velocità. Ma prima di partire alcune foto ricordo con una macchina di quelle che lasciano uscire lì per lì un cartoncino celeste che, poco a poco, per la magia polaroid si va popolando di lente immagini: dapprima ectoplasmi inquietanti e un po' per volta un naso, il sorriso d'Ernesto, la capigliatura crespa, la sua fascia alla nazarena, dofia Maria e don José incorniciati nella veranda. A tutti, da tempo abituati a servirsi di quella macchina, sembrava una cosa normale, ma a me no, vedere uscire dal nulla del piccolo riquadro celeste del nulla quelle facce e quei sorrisi di commiato mi riempiva di stupore. Glielo dissi e ricordo di aver domandato a Oscar cosa succederebbe se per caso dopo una foto di famiglia, il cartoncino celeste del nulla cominciasse a riempirsi con Napoleone a cavallo, e la risata piena di Don Jcisé che ascoltava tutto come sempre e la jeep e noi già verso il lago. A Solentiname arrivammo a notte inoltrata, lì ci aspettavano Teresa e William e un poeta gringo e gli altri ragazzi della comunità; andammo a dormire quasi subito però prima vidi i dipinti in un angolo. Ernesto parlava con la sua gente e tirava fuori dalla borsa provviste e regali portati da San José, qualcuno dormiva in un'amaca e io vidi i quadri in un angolo e cominciai ad ammirarli. Non ricordo chi mi spiegò che erano lavori dei contadini della zona, questo l'ha dipinto Vicente, questa è della Ramona, alcuni firmati e altri no, ma tutti bellissimi, una volta di più la visione primigenia del mondo, lo sguardo limpido di chi descrive il suo ambiente naturale come un canto di lode: mucche minuscole in prati di papaveri, la capanna di canna da zucchero da cui esce gente come formiche, il cavallo dagli occhi verdi su uno sfondo di canneti, il battesimo in una chiesa che non crede nella prospettiva e si arrampica e ricade su se stessa, il lago con barchette come scarpe e in fondo un pesce enorme che ride con labbra color turchese. Allora venne Ernesto a spiegarmi che la vendita dei quadri aiutava a tirare avanti, che il giorno dopo mi avrebbe mostrato lavorj in legno e pietra dei contadini e anche sculture sue. Stavamo per addormentarci ma io continuavo a gettare sguardi sui piccoli dipinti ammucchiati in un angolo, scoprendo la gran pila di tele con le mucche e i fiori e quella madre con due bambini sulle ginocchia, uno vestito di bianco e l'altro di rosso, sotto un cielo così pieno di stelle che l'unica nube se ne rimaneva da parte stringendosi contro la cornice del quadro, uscendo tutta spaventata dalla tela. Il giorno dopo era domenica e messa delle undici, quella di Solentiname durante la quale i contadini ed Ernesto e gli amici in visita commentano insieme un capitolo del vangelo che quel 64 giorno trattava l'arresto di Gesù nell'orto, un tema chç la gente di Solentiname affrontava come se parlasse proprio di loro, della minaccia che piombassero di notte e in pieno giorno, di questa vita di permanente incertezza che è delle isole e della terraferma e di tutto il Nicaragua e non solo di tutto il Nicaragua ma di quasi tutta l'America Latina: vita assediata dalla paura e dalla morte, vita del Guatemala e vita del Salvador, vita dell'Argentina e della Boli via, vita del Cile e di Santo Domingo, vita del Paraguay, vita del Brasile e della Colombia. Bisognava già pensare al ritorno e fu allora che pensai di nuovo ai quadri, andai nella sala della comunità e cominciai ad ammirarli nella luce delirante del mezzogiorno, i colori più intensi, gli acrilici e gli olii dove si fronteggiavano cavallucci e girasoli e feste nei prati e palmizi simmetrici. Mi ricordai di avere un rullino a colori ed uscii sulla veranda con le braccia cariche di quadri; Sergio che arrivava mi aiutò a disporli in una luce favorevole e li fotografai con cura uno dopo l'altro, in modo tale che ognuno occupasse interamente l'obbiettivo. Il caso è fatto così: mi rimanevano da scattare tante foto quanti erano i quadri, nessuno rimase escluso e quando venne Ernesto a dirmi che la lancia era pronta, gli raccontai quello che avevo fatto e lui rise: ladro di quadri, contrabbandiere d'immagini. Sì, gli risposi, me li porto via tutti, li proietterò là sul mio schermo e saranno più grandi e brillanti di questi! Tornai a San J osé, fui a L'Avana e in giro facendo cose. Di ritorno a Parigi con una stanchezza piena di nostalgia, Claudine silenziosa che mi aspettava a Ori y, un'altra volta la vita con l'orologio al polso e mercimonsieur,bonjour madame, i comitati, i cinema, il vino rosso e Claudine, i quartetti di Mozart e Claudine. Fra le tante cose che le valigie-rospo avevano rovesciato sul letto e sui cuscini, riviste, ritagli, tessuti e libri di poeti centroamericani, i contenitori di plastica grigia con le pellicole, tutte cose accumulate in due·mesi, la sequenza della Scuola Lenin di L' Avana, le strade di Trinidad, i profili del vulcano Irazù e le sue piccole pozze di verde acqua bollente dove Samuel io e Sarita avevamo immaginato anitre già arrostite fluttuanti tra vapori sulfurei. Claudine aveva portato a sviluppare i rullini e un pomeriggio girando per il Quartiere Latino me ne ricordai e siccome avevo la ricevuta nel portafogli li ritirai. Erano otto. Pensai subito ai piccoli dipinti di Solentiname e a casa cercai nelle scatole guardando la prima diapositiva di ciascuna serie, mi ricordavo che prima avevo ripreso la messa di Ernesto, i bambini che giocavano fra le palme tali e quali alle pitture, bambini e palme e piccole mucche sullo sfondo violentemente blu del cielo e del lago appena un poco più verde, o il contrario, non mi era più tanto chiaro. Misi nel caricatore la serie dei bambini e la messa, sapevo che dopo cominciavano le pitture, fino alla fine della pellicola. Faceva notte ed ero solo, Claudine sarebbe venuta all'uscita dal lavoro per ascoltare musica e rimanere con me; preparai lo schermo e un rum con molto ghiacci"o, il proiettore con il caricatore pronto e il pulsante del telecomando; non era necessario tirare le tende, la notte servizievole accendeva le luci e il profumo del rum; era piacevole pensare· che tutto a poco a poco sarebbe tornato, dopo i piccoli quadri di Solentiname avrebbero cominciato a scorrere le foto cubane, però perché i quadri per primi, perché la deformazione professionale, l'arte prima della vita, e

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