Linea d'ombra - anno VIII - n. 49 - maggio 1990

SAGGI/CASTELLET appaionoinSonounadonnaonesta?,ilsuoprimoromanzo:"Dicoquello che non penso e penso quello che non dico. Ma alla fine ho sempre detto quello che ho pensato, senza pensare aquellochehodetto ...". "Tel qu' en elle meme l' éternité la change" mi venne in mente, mentre la immaginavo quarant'anni prima. Nascondersi, dire quello che non diceva, dicendolo però attraverso l'opera letteraria. La segretezza era certo in lei stessa, ma non totalmente nei suoi libri. E continuo a credere che la chiave, l'unica chiave della sua vita, si trovi nei libri. "Non posso dirti nient'altro. Non voglio e non saprei come farlo. Che importanza ha, per gli altri, quello che ero, pensavo e vivevo quando avevo ventotto o trent'anni? ABarcellona, quando vi sono tornata, molti anni dopo la guerra, mi sono sentita dire che 'dovevo sistemare la mia vita'. Che Dio perdoni ai miei amici e a Maurici Serrahima - che mi faceva da avvocato - le cose che mi sono sentita dire. Per me è tutto finito: l'anteguerra, la guerra, il dopoguerra, l'esilio, perfino, fisicamente, Obiols, il Pigmalione. Voglio stare sola, non voglio che nessuno mi disturbi più, non voglio scrivere. Capisci?" Certo che lo capivo, e mi dispiaceva aver provocato quella confessione di una donna sola che tentava di recuperare la libertà finale. Però, tornato a Barcellona, cercai le parole di Guansé. Si trovano inAbans d'ara. Dicono: "Senza volere, ci si immagina Francese Trabal come una bella creatura di Armand Obiols che, geniale burattinaio, l'esibì davanti al pubblico, mentre Joan Oliver puntellava la vacillante piattaforma. Obiols-Trabal! Senza dubbio Obiols ha del Pigmalione. Il primo tentativo fu un mezzo fallimento. Poi, invece, l'abbiamo visto da lontano riuscire splendidamente con una materia più duttile." Duttile la Rodoreda? Lei non era femminista: erano gli altri a essere antifemministi. Pigmalioni o no, conservatori o no, erano uomini. E il suo mistero era che li accettava e li rifiutava nello stesso tempo. S'era fatto scuro e accese la luce. Io non avevo niente da dire, naturalmente, poiché eravamo arrivati al termine estremo di quello che la Rodoreda poteva dare di sé. Lei stessa lo disse, per concludere: "Ho parlato troppo di me e di cose che toccano da vicino quello che non sa e non saprà nessuno. Scusate se l'ho fatto con una certa mancanza di misura: la dismisura mi ha sempre fatto molta paura." E si mise a parlare di altro. A'.lloramangiammo un panino e prendemmo .il tè: ma il vassoio rimaneva pieno di panini con i quali la Rodoreda aveva da mangiar~ per due giorni o tre. La conversazione si smorzò, s'era fatto tardi e !sabei e io avevamo alcune cose da fare. Ci accomiatammo. Mentre attraversavamo il prato che si stendeva fino all'altro caseggiato, guardammo indietro. Una figura minuscola e solitaria che tornava alla sua intimità, all'isolamento voluto, alla reclusione volontaria. Ho sempre avuto però l'impressione·che quella visita abbia significato, in un modo o nell'altro, la ripresa di Specchio rotto . Non lo dico, come si può capire, per il fatto materiale della nostra visita, e meno ancora per le parole che io dissi a questo proposito. Sento che ci fu qualcos'altro, di cui la sostituzione del nome di Prat sulla porta era un segno emblematico. Ma questo era avvenuto prima della nostra conversazione: perciò dovette essere la conversazione in se stessa, o meglio il monologo che ho cercato di riprodurre, che fu molto più lungo e ricco e del quale non ricordo molti altri frammenti. In un'interpretazione volgare, direi che esprimersi a voce alta davanti ad altre persone, confessare quello che doveva aver detto molto raramente su come e per chi scriveva, constatare che oltre a Obiols e' erano altri lettori- dei quali noi, per così dire, rappresentavamo la coscienza in attesa- e capire forse che era finita definitivamente una tappa della sua vita, in cui l'attesa aveva una dimensione differente perché quello che si aspettava ormai non sarebbe più venuto, direi-dico -che tutto questo doveva in qualche modo aver scosso una persona così totalmente chiusa in se stessa come la Rodoreda e averla fatta sentire meno sola, soprattutto dopo imesi di estrema solitudine seguiti alla morte di Obiols. Quello che posso affermare con certezza è che dopo la visita a Ginevra mi dimostrò una confidenza e un'amicizia meno convenzio60 nali, e anche che la sincerità di quel pomeriggio mi avvicinò a lei più profondamente. Penso ugualmente che la presenza di Isabel fu decisiva quel giorno, perché il tema centrale forse non era stato tanto quello detto a parole quanto il rapporto profondo tra un uomo e una donna nel corso di molti anni, e le era più facile parlare davanti a una donna che non da sola con un uomo. Scriveva soprattutto quando aspettava il ritorno di Obiols. Scrivere era aspettare, come chi "aspetta", femminilmente parlando: una gestazione passiva in funzione di un atto d'amore dopo il quale vede la solitudine. Qualcuno deve sapere, se ce ne furono, le difficoltà del suo rapporto con quell'uomo ipercritico che sembra sia stato Obiols. È vero o no che a Vienna aveva un'altra donna? È vero o no che le attese della Rodoreda erano amareggiate dalla tensione dovuta a questo fatto? Quando la Roaoreda prese la decisione di tornare definitivamente in Catalogna era proprietaria da alcuni anni dell'appartamento di via Balmes/Monterolcs. Sicuramente però non si sentiva a suo agio né· nell'appartamento né aBarcellona. Il traffico, il rumore e l'inquinamento della via Balmes e il rischio costan_te che alla sua porta suonassero giornalisti, lettori o curiosi, interrompendo la solitudine di cui aveva bisogno per lavorare o semplicemente per vivere a suo modo, cioè sola con i fantasmi familiari o immaginllfi che le avevano sempre fatto compagnia, la decisero a tentar di vivere fuori da Barcellona, in cui del resto non poteva neppure passeggiare tranquillamente come a Ginevra. Aveva passato dei periodi a casa di una sua amica, Carme Manrubia, a Romanyà de la Selva. Lì pensò che avrebbe potuto stabilirsi per sempre, e in effetti fu così. In quell'epoca - all'inizio degli anni Settanta - la Rodoreda cominciava già a vivere dei diritti d'autore dei suoi libri, fatto insolito,

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