SAGGI/CASTELLET Non era femminista: erano gli altri a essere antifemministi. Pigmalioni o no, conservatori o no, erano uomini. E il suo mistero era che li accettava r li rifiutava nello stesso tempo. ci dedicavamo a bruciare le sedie per scaldarci." Ci parlò anche della chambre de bonne dove aveva vissuto a Parigi con Obiols e che ancora conservava, piena di libri, come conservava anche, non so per quali ragioni, la residenza in Francia: diceva che era perché così doveva tornare a rinnovarla tutti gli anni, cosa che giustifi- .cava il viaggio e la permanenza di alcuni giorni a Parigi. Tralascio di parlare dei fatti che oggi conoscono tutti, grazie alle interviste in cui, negli ultimi anni della sua vita, era andata raccontando - in modo frammentario, naturalmente - le vicissitudini dell'esilio. Ma era come un racconto imparato a memoria, giacché col tempo non lo variò in niente, a parte qualche aggiunta. Era come se avesse composto una "versione ufficiale" dalla quale non si discostò mai. Aveva scèlto, per dir così, tutto ciò che era "fatti oggettivi" e che non permetteva di aprire urta fessura per investigare altri campi della sua vita o della sua personalità. In questo fu inamovibile fino alla fine. Ma parlando della sua opera venne fuori, inevitabilmente, la domanda a proposito di quello che stava scrivendo in quel momento. "Nientemi disse - e probabilmente non scriverò mai più niente." La risposta, tagliente, mi sorprese per il suo tono brusco: era, c;ome altre volte in lei, un invito a non insistere sul tema. Però questa volta, a rischio di prendermi un rimprovero, poiché si trattava di una decisione troppo importante, che rigu.ardava non solo lei ma anche i suoi lettori, cioè tutti noi, osai insistere: "Non mi avevi detto che avevi cominciato un romanzo tempo fa?" La guardai negli occhi e sono sicuro che era turbata. Le costò, dire una bugia, ma la disse e si perse: "Non mi riusciva e l'ho lasciato perdere." Ma guardava in un angolo, dove c'era il tavolino con la macchina da scrivere senza carta vicino. Probabilmente gùardava una delle cartellette che c'erano un po' più a sinistra. "Non ci credo - le risposi - perché è un libro di cui abbiamo parlato non molto tempo fa e l'avevi già perfettamente abbozzato. D'altro canto, siccome l'hai già anticipato in qualche intervista, il tuo pubblico l'aspetta, in un modo o nell'altro, non puoi lasciare sospesa la gente che ti segue." Tacque un momento. E, all'improvviso, mi sorrise e mi fece una delle poche confidenze che le ho sentito fare in tanto tempo: "Tutti sanno che ho vissuto molti anni senza pubblico. Non ho mai scritto per il pubblico. Scrivevo solo per Obiols, e adesso non c'è più." Lo disse infretta, un po' contratta, come controvoglia. lo mi sentivo un po' violento, perché sapevo che non potevo - non dovevo - andare oltre. Tuttavia le dissi qualcosa del tipo che, se era vero che in alcuni momenti determinati dell'esilio il suo unico lettore era stato Obiols, la pubblicazione dei suoi ultimi libri, dalla ripresa dei. Ventidue raccorui e, specialmente, dopo il successo dellaPiazza de/Diamante, le aveva creato non solo un pubblico affezionato e fedele, ma l'aveva pòsta tra i migliori narratori catalani, forse il migliore del dopoguerra.D'altro canto, scrivere era il suo unico lavoro, forse un passatempo, ma anche un dovere, in ogni caso, con tutte le sfumature che si vogliono, nei confronti della propria comunità ... Si distese è mi sorrise un po' ironica, e penso che ne avesse qualche ragione, visto il discorso etico-patriottico che le avevo piantato. "Non hai capito niente-mi disse-. Vedi queste quattro pareti? Per molti anni sono state, per me, fa Catalogna: la Catalogna, un'astrazione e una nostalgia, come tutto quello che si è vissuto intensamente e finisce. Sono tornata varie volte in Catalogna in questi ultimi anni. Sotto il . franchismo, tutto mi è sembrato imbastardito e perduto. Però con me viveva uno scrittore catalano che leggeva quello che scrivevo, che me lo commentava lÙngamente e che mi faceva tutte le osservazioni che può fare tin lettore intelligente. Gli altri, non li conosco, non li ho mai conosciuti, e anche se non li rifiuto, anzi sono loro grata, sono persone anonime, come lo sono io per gli autori che leggo. Non ho né la vanità né le necessità degli autori di successo. Non stupirti che per me la Catalogna si sia ridotta a questa camera.D'altro canto sono una donna, una donna all'antica, voglio dire: già sai che non sono femminista. Questo vuol dire che mi hanno insegnato che una delle condizioni fondamentali della femminilità è l'attesa. Di una donna incinta, dicono che aspetta. Anche i fiori aspettano, e da qui il fascino che hanno su di me: è il tranquillo potere dei fiori del quale parlerò, una volta o l'altra, insomma, l'essenza della femminilità, il tranquillo potere delle donne, perché anche noi ne abbiamo, e molto. Tutto il tempo di una donna passa in attesa. Io scrivevo aspettando che tornasse Obiols. Non solo, tutti i giorni, dal lavoro, ma dai suoi viaggi a Vienna, dove andava frequentemente per ragioni di lavoro . Allora era quando scrivevo di più e meglio. Non dovevo pensare al mangiare, al pranzo o alla cena, a uscire a far la spesa, a vedere nessuno. Scrivevo perché mi piaceva scrivére, perché non so far altro che leggere o scrivere. Scrivevo romanzi o racconti, perché se scrivere è come passare uno specchio lungo la vita, ame piaceva passarlo, mantenendomi di dietro. Dietro lo specchio ci sono i sogni, e io ho l'impressione che tuho quello che ho vissuto l'ho sognato: forse per questo i miei personaggi sono un po' fluttuanti e forse per questo nei miei libri vengono fuori tanti angeli. Sono io! In assenza di Obiols quindi scrivevo e sc~ivevo e quando ero stanca facevo un giro nel quartiere. Dopo leggevo qualunque cosa, tutto quello che mi capitava fra le mani. C'erano giorni interi che non parlavo con nessuno: nonne sentivo il bisogno. Avrei parlato con Obiols quando tornava. E quando arrivava gli leggevo quello che avevo seritto: aveva uno spirito terribilmente critico, e così mi arricchiva. Da tanto critico che era -più con se stesso che con gli.altri-ha finito per non scrivere niente. Mi hanno riferito che qualcuno ha detto che era lui a scrivermi i libri: una scemenza, come puoi capire, perché imiei libri sono i libri di una donna, e gli uomini non sanno niente del mondo delle donne." Rico~dai il sospetto che qualcu;no aveva lanciato sopra Obiols come coautore dei libri di Merèè. Qualcuno mi aveva anché spiegato le ragioni su cui si basava la storia. Come tutti sanno, la Rodoreda aveva rifiutato i-suoi primi romanzi. Di quelli precedenti il 1939, aveva salvato solo A/orna, ma in una nuova versione, molto diversa da quella che aveva ricevuto il Premio Creixe!Is. In seguito passarono molti anni, finché pubblicò Veruidue racconti nel 1958. Vent'anni di silenzio e, in pratica, i primi vent'anni di vita con Obiols. L'esplosione di creatività seguita alla pubblicazione de La piazza del Diamante si poteva interpretare in molti modi, il più maligno dei quali era quello della influenza del suo compagno. Invece, se si legge A/orna, o qualcuna delle opere rifiutate, nessuno potrà negare che il mondo della Rodoredaesistev a prima del suo incontro c~m Obiols. E chi abbia letto i libri pubblicati dopo la morte di lui comprenderà che Mercè era capace di scrivere da sola, pur sapendo quanto è utile, per ogni scrittore, che una persona intelligente gli legga i libri prima di pubblicarli. Ciò nonostante ricordai, in quel momento della nostra conversazione, che chi l'aveva conosciuto definiva "pigmalionismo" l'atteggiamento critico di Obiols rispetto ai'suoi amici scrittori e, in particolare al "gruppo" di Sabadell. . Glielo dissi e si mise a ridere. "Domènec Guansé l'ha scritto da qualche parte, ma non fa altro che raccogliere il luogo comune che sempre ha circolato sulle relazioni tra Obiols e Trabal e Oliver. Va' a sapere ... L'opera di Trabal o di Oliver è talmente autonoma e quello che c'era davvero era una amicizia profonda e un atteggiamento diverso, in un dato momento, dalle tendenze predominanti della letteratura catalana dell'epoca. Era un gruppo particolare, quello della Mirada, in cui era predominante la critica e l'umorismo corrosivo. Cosa c'entra la mia opera?" Niente, pensai, mentre mi veniva in mente la supposta o reale relazione - più o meno fugace - della Rodoreda con Trabal. Con Trabal o còn altri, una volta rotto o sul punto di sfasciarsi il suo matrimonio, con personaggi per me inimmaginabili come Andreu Nin. Pettegolezzi dell'epoca? In ogni caso, l'apparizione della Rodoreda, attraentissima e disinibita, poteva aver fatto perdere la testa a più di un uomo. Quella sera a Ginevra la vedevo, per la prima volta, in una luce diversa da quella in cui l'avevo sempre immaginata. Ma cosa c'era di vero nei pettegolezzi che avevo sentito? Mercè, quarido debuttò come scrittrice e diventò famosa, già diceva di se stessa frasi come quelle che 59
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