INCONTRI/MANIA lo sapevo. Prima di partire c'era stata una lunga discussione con mia madre, una donna veçchia e malata. Anche lei sentiva che stavolta c'era forse qualcosa di diverso. Tant'è vero che mi aveva chiesto se intendevo andarmene per sempre. "Non lo so", le ho risposto. Ha voluto che le promettessi che sarei tornato. "Sono vecchia e non vivrò in eterno", mi ha detto. E io le ho risposto che non ce la facevo a promettere, "forse tornerò, ma non posso promettertelo." Lei allora mi ha chiesto se sarei tornato al suo funerale, nel caso fosse morta durante la mia assenza. E io le ho detto: "Spero che tu non muoia, ma se dovesse capitare, non verrò al tuo funerale. Sarò con te, anche se sarò lontano." Dunque non lo sapevo davvero. Non sapevo che sarei andato via per sempre. Ma mia madre è morta. E io al suo funerale, naturalmente, non c'ero. Ero in Germania, dove effettivamente mi avevano dato un finanziamento, il migliorprogrammadel mondo, denaro in cambio di nessun dovere particolare. Una sorta di regalo meraviglioso, per un anno. Ma si è trattato di un anno pa pazzi. Ero così nervoso, ansioso, e infelice. Non c'era settimana che non decidessi di tornare al mio paese, perché era il mio primo anno di esilio, forse il peggiore di quelli che sarebbero poi venuti e le esperienze di quel periodo sono state molto dure. Un anno di .frustrazioni intensissime, perché per uno scrittore l'esperienza dell'esilio è difficile in un modo tutto particolare. Ci vogliono decenni, notti e giorni, anni, finché finalmente pensi che, forse, sì, sei uno scrittore. Non ne sei proprio sicuro. Non sarai mai sicuro. Ma speri. Senti che forse, proprio adesso, hai trovato la tua voce. Che forse sei quello che volevi essere. E all'improvviso perdi tutto. Non è soltanto questione di lasciare il proprio paese con una valigia, il che già di per sé non è piacevole. È che all'improvviso diventi un bambino di sei o sette anni. Cerchi di esprimerti in una lingua molto elementare, ma sei su un altro livello. Vorresti continuare a scrivere, ma poi ti chiedi per chi e c'è un momento in cui finalmente sei un uomo libero e potresti esprimerti senza paura di essere censurato. In quello stesso momento, qualcuno V taglia la lingua: vorresti esprimerti e non ne hai più la capacità. E stato un anno da pazzi e ho pensato molto all'idea del ritorno. I rumeni che incontravo mi raccomandavano di rimanere dov'ero. Una delle ragioni per cui proprio quell'anno avevo éleciso di andarmene era che in Romania era appena apparso il mio ultimo romanzo. Un romanzo che aveva avuto un sacco di grane con la censura: ne avevo dovuto riscrivere circa un 85 per cento. Per circa otto mesi la censura mi aveva contestato ogni singola pagina, ogni capitolo, ogni parola, ogni frase. Ero stanco, esausto, disperato. Il libro era stato finalmente pubblicato, ma non era più il mio libro, era qualcosa di diverso. Puoi farmi un esempio dell'intervento censorio? Il titolo del libro era La busta nera. Già il titolo era sospetto. E poi non erano accettabili molte delle parole che avevo usato, da dittatura a sesso, seno, antisemitismo, tirannia, stalinismo, omosessuale ... e altre. Ma soprattutto non era tollerabile che io avessi costruito una specie di metafora, una società di sordo-muti, per descrivere il regime politico vigente nel nostro paese. Non era certamente uno dei tuoi primi romanzi pubblicati? No, ne erano usciti altri dieci. . · 44 Quando hai cominciato a essere uno scrittore di professione? ·Nel '74. Ma avevo studiato ingegneria e per anni ho lavorato come ingegnere. Ero dotato per la scrittura fino da bambino e mi sarebbe piaciuto dedicarmi all'attività letteraria da_subito, m~ erano gli anni dello stalinismo. Così ho cercato d1 non farmi coinvolgere. Ho studiato e lavorato in un campo neutro, per essere ... ... al sicuro? No, non al sicuro, perché non si è mai al sicuro. Diciamo che non ero compromesso come figura pubblica. Ero una persona come tutte le altre. Lavoravo come chiunque altro e, politicamente, non ero coinvolto in nessuna attività criminale. Solo più tardi, verso il '67- '68, negli anni della liberalizzazione, ho cominciato a pubblicare e nel '74 ho lasciato la mia professione di ingegnere per diventare uno scrittore a tempo pieno. Riuscivi a mantenerti? Era molto molto difficile. Ma non avevamo figli e avevamo bisogni modestissimi. E mia moglie era solidale con le mie scelte. I miei genitori non avevano bisogno di niente. Se si è soli, è tutto più semplice. Soprattutto se non si è responsabili per nessuno. Ma ritornando al mio ultimo libro e alla censura di regime: probabilmente la cosa che ha dato più fastidio è che io stabilivo un'equazione tra nazismo e regime rumeno ... nell'85. Ti sei trovato solo davanti alla censura o ti si è creato attorno un gruppo di amici e sostenitori? La mia posizione è stata molto debole fin dall'inizio. Non avevo alcun sostegno politico. In fondo ero una specie di outsider. E poi facevo un tipo di letteratura che non poteva che essere considerata scomoda dalle autorità: una letteratura politica, ma anche valida sul piano artistico. In più continuavo a essere un ebreo, un fuori casta per definizione. Un animale tutto speciale: è anche per questo che ho dovuto lottare duramente per ognuno dei miei libri. Il bello è che i critici letterari del mio paese amavano la mia scrittura e quindi ogni volta c'era questa contraddizione tra gli addetti ai lavori e il regime. Capisci adesso perché mi è stato così difficile decidere di rientrare in Romania, dopo essermene andato. Però non la ho mai considerata una decisione, è stato piuttosto un rinvio prolungato; ho continuato a cercare soluzioni provvisorie che mi permettessero ·di rimanere e di prendere tempo. Vn transito che dura da cinque anni? Ha a che vedere soltanto con la situazione politica del tuo paese o anche con una tua inclinazione personale? Con entrambe. Con entrambe. Ma soprattutto con la situazione politica, perché io ho tentato davvero di trovare le mie radici in Romania. La lingua e la scrittura per me sono state una specie di sai vezza e l'ultima cosa che volevo éra rinunciarci, arrendermi. Non volevo andarmene dal mio paese. Molti dei miei amici e dei miei familiari sono emigrati negli anni Sessanta e Settanta. Io sono rimasto, perché la lingua era il mio unico sostegno. Me ne sono andato solo quando non ce l'ho fatta più, quando la situazione si era del tutto deteriorata. Ma non c'è stata felicità nell'andarsene. Non ero contento. C'era piuttosto disperazione, tristezza,
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