CONFRONTI Alberto Savinio in viaggio nella terra felice. Rocco Carbone MariaSavinioracconta come il maritoAlbertopiùdi una volta, in gesto di sincera confessione, esclamasse di "non riuscire ad essere infelice". Strana dichiarazionequesta, da parte di uno scrittore chemeglio di molti altri sembra incarnare, con tutti i caratteri possibilie immaginabili, il nostro secolo: un secolo che almeno in un certosenso habandito dal proprioorizzonte culturalela felicità, e soprattuttola ricercadella felicità.Ma è probabileche ilNovecento che noi fino a oggi abbiamo conosciuto rappresentiun'ingannevole proiezione, un'immagine velata che ne cela un'altra, o più di una: così, ciò che abbiamo sempre creduto appartenenteall'epoca della modernitàmuta spessodi segno; la stradadrittae solitariache abbiamopensatodidoverpercorreresiapreaognipassodivoragini, e dai lati, nascosti tra cespugli, dietro rocce e sassi c'è molta gente che ci sta guardando e vuole farci molte domande: dove porta davvero, questa strada? Allora,ci accorgiamoche più di uno scrittore,magari dimenticato e poi, improvvisamente, sfuggito all'oblio, ha viaggiatodavvero in cerca di una "terra felice": quella terra che ha affascinato Platonov(e noi con lui) o cheanima, anche quandononè nominata, certe pagine di Elsa Morante. Per questa ragione, e non solo per questa ragione, Alberto Savinioè stato un grande viaggiatore.Ma c'è dell'altro, nel nostro caso. Per essere scrittori "felici" occorre, nei nostri tempi e nel nostro mondo "bello e feroce", una buona dimenticanza di se stessi. Noi siamo stati abituati a considerare viaggio per eccellenza quel tragitto che da noi porta a noi stessi, senza tappe intermedie: una forma di percorso all'interno della persona, una persona fattamoltopiù di psiche che di corpo. Non è detto che, da cent'anni a questa parte, le cose siano andate esattamente a questo modo. Il viaggio è sempre un viaggio, e implica soste, pause, deviazioni; implica soprattutto il conoscere luoghi ignoti. E forse quegli autori che hanno più viaggiato all'interno di se stessi sono stati proprio coloro che di viaggi veri nel mondo ne hanno fatti: pehso a Céline, penso soprattutto all'aviatore SaintExupéry,che sul viaggio interminabileali' internodi una stanza, al chiuso, ha scritto ona pagina memorabile. La felicitàdenunciatada Savinioquasi con rammaricohamolto a~hefarecon lesuedoti diviaggiatore,di unviaggiàtoreinteressato, più che a se stesso, al mondo che gli sta intorno. Essa si rivela una metafora esistenziale destinata a rappresentare semprepiù la condizione dell'uomo della modernità;certamente meglio di un'altra, che puntaa unadifferente condizionedi viaggio,centratasull' individuo e suimeandri della sua evenienzapsichica.Per uno scrittore, scopriredi essere "felice", più che una dichiarazionedi intenti (che in letteratura, si sa, lascia spesso il tempo che trova) è la constatazione,purae semplice,dellaproprianatura.Da qui derivalostupore che Savinio, a quel modo, comunicava alla moglie e comunica sempre ai suoi lettori. Quella felicità, per quanto possa sembrare paradossale,contiene in sé unabuona dose di sofferenza,di malessere nelprendere atto della distanzache separa se stessidal mondo. Ma questaaffermazione non si risolve, nel caso di Savinioe·dialtri scrittori del nostro secolo, in profondità, nel senso cioè della complessitàdel proprio io e dell'incapacità del mondo a contenerla. Essa si svolge tutta in superficie, non ha spessore, vive di leggerezzae di gioco.La condizionedel viaggiatoreincantatoallora è quella (non molto dissimile da ciò che Walter Benjaminscriveva a proposito della posizione del narratore in Nikolaj Leskov) del fanciulloignaro,che harinunciatoallasuapsicheechenonvivemai nel profondo, che si stupisce e si affascina per tutto ciò che vede, come se lo vedesse per la primavolta. Ma il fanciullo,nelNovecento, nonè più fanciullo, è un bambino invecchiato, fa l'infante ma è già avantinegli anni, e c'è semprequalcuno a ricordarglielo,unpo' 38 Alberto Sovinio (Arch. A~elphi).. come faVirgilio con Dantenella selva oscura, quando gli dice, più o meno: tu ti comporti e sbagli come un bambino, ma guardati, sei grandee hai già la barba. Non ti vergogni? Saviriioil peso di questi anni, ilpesodella cultura cheha sullespalle loavvertetutto,ed è per questo che la sua scrittura non ha mai niente di presuntuoso e di arrogante, perché non ha mai niente da insegnare, e tutto da raccontare. Nei numerosissimi articoli per giornali ora raccolti nel primo volumedelle Opere a cura diLeonardo SciasciaeFranco De Maria (Bompiani l 989) vi sonomolte testimonianzedi un atteggiamento del genere. E piuttosto singolare la posizione dello scrittore, come ci appare: uomo· colto, non può fare a meno della mediazione culturale,ma quest'ultima vienesempre o quasi sempredenunciata in quanto tale e quindi, senza rimorso alcuno, trasfonnata in senso ironico.In un elzeviro dal titolo,assai eloquente È lascopertadella psichea renderciinfelice, leggiamo: "Si è tentatoqualche volta di dareallo gnothiseautòn ( conoscite stesso)un significatodi sguardo nell'interno, vederci un'anticipazione dell'esame psichico.Errore. La psiche è una scoperta del nostro tempo. Ed è l'ultima e più importanteconseguenza della scoperta delle armi da fuoco.Quans do, per l'invenzione delle armi da fuoco, la forza fisica perdé l'importanza che aveva·avuto fino allora, l'uomo si trasformò; meglio,acquistòuna nuova forza, insostituzionee comecompenso della forza perduta, o, meglio, diventata inutile. Il nome di questa nuova forza è psiche. Un governo provvido, dovrebbe organizzare .eserciti di uomini psichicamente fortissimi. Altro che colonnelli e generali!La scoperta della psiche è anche la ragione della grande, profonda infelicità del nostro tempo. Tanto più pericolosa questa forza (psiche) in quanto essa è tuttora allo stato anarchico: non contenuta,non disciplinata,non guidata. Come nuclei di elettricità che saltano come pazzi in mezzo a una folla." Se le cose stanno a questomodo, e la psicologia (e la psicoanalisi)cedeil passo almito, il viaggiodiventa, omeglioritornaaessere l'unica formaplausibile per "conoscere se stessi":ma se è davvero così,la stessaideadi io individualerisulteràprofondamentemutata,. non saràmai un centro, un punto di riferimento stabile e costante, ma appariràogni volta con sembianze cµverse,tradottae tràsferita nelle immagini incantate del mondo. E per questo, credo, che è difficile trovare davvero in tutta l'opera di Savinio un centro, per quantonascosto, che agisce cost.aì'ltementec,he attraee attira a sé le
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==