sperienza che muove alla condanna, e contemporaneamente alla sofferenza, i personaggi. Sia inavvertitamente e passivamente, che in una lucida follia chiarificatrice, i suoi personaggi si accorgono che il mondo intero è una ~ensa impostura, perché si dà come ordine: ordine sociale, politico, filosofico, morale, ecc. Appena ci si accorge, con l'irrompere del disordine, che il grado zero delle cose è la "dissonanza", la "putrefazione", le"discordanze", "il contrasto" (sono le parole chiave di Amras), tutto l'ordine sociale che ci circonda diventa un beffardo "artificio", "innaturalezza", "costruzione", ecc. È una constatazione metafisica che non esclude affatto il giudizio politico, anzi, lo include. Dietro all'impostura sociale c'è quel guazzabugl_iosecolare in cui gli esseri impongono i propri rapporti di dominio sui loro simili e sulle cose. Dietro all'ordine fittizio c'è la vìolenza, dietro la bellezza la perfidia. L'unica verità incrollabile, ma anche banale perché improduttiva, cui noi possiamo giungere è di orcline negativo: il non-essere-in-ordine del tutto. Ridotta ai minimi termini, è questa l'esperienza del dolore metafisico. Il soggetto umano si sente metafisicamente deluso, addolorato dalla realtà esterna, e ogni verità politica, sociale, filosofica ecc. che si pone come ordine, è una beffa che aumenta il dolore e la delusione. Filosoficamente, la percezione di Bernhard coincide con l'esperienza negativa del "mistico" di Wittgenstein: il mondo è imprendibile a qualsiasi definizione, sfugge. Ma viene intensificata, diventa un mistero banale: la realtà è lì, sotto gli occhi di tutti, a uno stadio degradato. Come può l'individuo sopportarne l'impatto? InAmras, la svolta che salva il protagonista dal gorgo della morte viene definita, a un certo punto, la "saggezza della putrefazione": consiste nello scoprirsi ridicoli. Il ridicolo è per Bemhard la forma del dolore della coscienza, e lo vedremo. A questa lucida percezione di sé Una scena di Riller, Dene, Voss di Tohmas Bernhard, con lise Ritter, Kirslen Dene e Gerl Voss. CONFRONTI viene ad aggiungersi una insolita corrispondenza: l'io si scopre anche Altri, si proietta in decine di individui, ovvero si dà come entità costitutivamente imperfetta, elastica, inafferrabile. Come alcuni critici hanno osservato, Bemhardripropone uno schema idealistico. Da un lato il soggetto degradato, dall'altro ilmondo degradato. Giunto a questa niente affatto consolatoria conclusione, il narratore di Amras potrà dire la sua salvezza: "Aspetto qui, ma è là che sto andando ... sottomesso, ubbidiente alle leggi della vita, bene o male in balia della forza di attrazione della natura, attraverso il pomeriggio che amo..." (pag. 50) Il pensiero di Bernhard è destabilizzante e blasfemo a un tempo, ovvero laico. Egli riduce, soggettivisticamente, tutti gli apparati ideologici alla loro sconfitta costitutiva di fronte alia banale e dolorosa percezione del disordine. La metafisica, ma anche la politica, sono nate proprio lì, in quel momento cruciale: posto di fronte alle cose del mondo, l'uomo ha decretato che avevano (o potevano avere) un ordine, ben inteso: il "suo" ordine. E ha agito così per rimuovere il dolore della constatazione che l'ordine, molto semplicemente, non c'è. Quell'uomo, dice Bemhard, era semplicemente un ciarlatano. Invece di constatare la propria ridicolaggine, cioè di auto-riflettere la propria coscienza, s'è messo a costruire sistemi di pensiero, di riferimento, ha imposto l'ordine. La posizione di Bernhard non è certo quella di un cinico isolato. Il testo di un filosofo contemporaneo, neo-cartesiano, comincia così: "Un filosofo moderno che non abbia mai provato l'esperienza di sentirsi un ciarlatano è uno spirito così misero che sicuramente il suo lavoro non varrà la pena di essere letto" (Leszek Kolakowski, Orrore metafisico, Il Mulino 1990). La percezione del disordine, nella letteratura novecentesca, si è coagulata attorno al tema della morte. Bemhard, in effetti, non fa che ossessivamente ruotare attorno a questa fine naturale di tutte le cose. Ma l'insistenza maniacale e la volontà di fare chiarezza non sonocheiltentativodiridurrequel!'esperienza ai suoidatiminimi,ovverodi smitizzarla per quanto è possibile.A partire dai simbolisti francesi,lamorteèstataimpugnatacome esperienzamistica per eccellenza.Bernhard, semplicemente,lalaicizza.Nonc'è nessuno assoluto da celebrare,dietro alla morte. In una intervistah~affermato:"Ilmiopuntodi partenza è chelecosehannotutteun identicovalore. Anchelamorte, per me,non è niente di straordinario. Io parlodella morte come qualcun altroparlerebbedi unpanino" (TeatroI, Ubulibri 1982,p. 219). E in un'altra intervista affermabellamente,dopoaverparlato tutta la vita dellamorte:"D'altrondenessuno sa che cosasia".Sgonfiatadel!'enfasi,essanon è altro che la riprova-dato chetuttofinisce in quel gorgo- dello_sta~ puramentenegativo delle cose, è unaep1faruallarovescia.Una verità chenonpermetteanessunodi batteremoneta: nonlasipuònérimuovere,néesaltare.Anzi, è unaveritàallostatobanale.Accusatoripetutamentedi scoprirel'acquacalda,o di sfondare porteapertissime(èunaaffermazionedi Moravia),Bernhardnonhamainegatodi riprendere vecchidiscorsi. Il suostile,sommarioplateale, sbeffeggiatoreè laconfermadi essere costretti a "ripeteresemprelestessecose". Ma ciò vale per tutti,nonsoloperlui,conl'aggravante che gli "altri"sonopredadicontinuemistificazioni. Ma allora,perchéinveire,attaccare, sbeffeggiareseglialtrigiàsanno(erimuovono)che tuttosi riducea quelpugnodi saggezze? Non potendocostruirenessunateoriasulla cognizionedel dolore,Bernhardne fa una battaglia privata di respirosociale.Già in Amras, in pienacrisi"negativa",ilnarratorescopre inavvertitamentedallafinestrachei tirolesi vanno a teatro. E nel NipotediWittgenstein, il narratoreègratoall'amicoPaulperaverloinqualche manieraaiutatoa-superareunaforma letale di malinconia.Siamoormaialla scoperta della socialità,e delverovoltodelle"invettive" di Bemhard.Nelromanzosidice;"Per anni e anni non avevo fatto altroche rifugiarmi in una atroce,e intellettualmentemicidiale,speculazione sul suicidio,che tuttomi aveva reso insopportabile,mase stessopiù di ogni altra cosa,datalaquoti?ianainsensatezzadalla quale mi sentivoattorniatoenellaqualeio stesso mi gettavo a capofittoper la mia debolezza di carattere.Giàdamoltotempoavevorinunciato a immaginare di potercontinuarea vivere, o anchesoloavegetare.(...) In quelperiodo ero stato abbandonato da tutti perché io stesso avevoabbandonatotutti,làv_erità èquesta; e li avevo tutti abbandonatiperchénon li volevo più,nonvolevopiùnientediniente;eppure ero troppovileper farlafinita da solo. (...) E proprio alloraècomparsoPaul" (Ilnipotedi Wittgenstein, pp. 105-106) Il solipsismodelmoralistasi ribalta qui nella riscopertadellasocialità,del legame aff~ttivo.Comesiconcilianogliopposti? In tutta Janarrativadi Bernhardsi scopriràcome alla intransigentevolontàdiescludersidal mondo fa da pendantilmantenimentodel contatto, di un rapPOrtotenutoa distanza.All'odio per le forme attuali del socialeuna vena amorosa 31
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