Linea d'ombra - anno VIII - n. 49 - maggio 1990

CONFRONTI Musicapopolare e musicacolta. Unraccontodi VladimirMakanin Alessandro Baricco . L'ultimo libro di Vladimir Makanin proposto in Italia (Azzurro e rosso, nella bella traduzione di Daniela Di Sora, per le edizioni e/o) contiene due racconti. Il primo si intitola Dove cielo e colline si uniscono. Racconta una storia che per chi si occupa di musica ha il sapore di un'intrigante parabola. È una storia che interroga. Custodisce qualche risposta, ma soprattutto disegna non insignificanti punti interrogativi. Al di là del valore letterario, resta nella memoria per il suo elegante insidiare fa riflessione. La storia è semplice.C'è un paese sperduto da qualche parte della Russia. Lì cresce un bambino, in mezzo a una civiltà elementare e quasi arcaica. Poiché mostra una particolare predisposizione per la musica viene mandato a studiare nella capitale: lui ci va portandosi dietro la memoria dei canti che scandivano la liturgia della vita sociale del paese. Studia e diventa un compositore famoso. Consapevolmente o meno, le sue opere nascono quasi totalmente dalla matrice delle melodie popolari che avevano intessuto la sua infanzia. E qui scatta il dramma psicologico del musicista: tornando periodicamente al paese scopre che la gente smarrisce progressivamente i canti della propria tradizione. Per una sorta di meccanismo perverso, le melodie che lui adotta nelle proprie composizioni scompaiono dalla consuetudine e dalla memoria della sua gente. È come se, ogni volta, lui le rubasse loro, letteralmente. C'è una pagina che cristallizza la magìa di questo perverso processo in un aneddoto preciso: tornato al suo villaggio, Basilov, il musicista, prende una fisarmonic~ durante un banchetto, e inizia a suonare una canzone che tutti conoscevano e che già avevano cantato poco prima, a tavola. Suona il motivetto poi incomincia a variarlo, come arte e mestiere, inanella una variazione dopo l'altra, sottoponendo la melodia a continue metamorfosi. E come il rito di un assassinio. ·Man mano che si snodano le vari azioni, la gente abbandona qualsiasi desiderio di cantarla ancora, quella canzone. Quando Basilov finisce, quella canzone è morta per sempre. Non la canteranno più. È alla luce di questo cinico esperimento, deliberatamente voluto e architettato, che Basilov assume la certezza del suo complesso di colpa. Al circolo vizioso che collega sotterraneamente la produzione di Basilov con il progressivo impoverimento della memoria musicale della sua gente, Makanin aggiunge un passaggio ragionevole e geniale. Succede che dalle composizioni di Basilov, diventate famose, inizino a derivare, per imitazione elementare, canzonette di successo. Il circolo vizioso si fa ancora più vertiginoso: ovviamente finisce con lq spingere verso gli estremi opposti gli elementi che l'hanno fatto partire: da una parte Basilov sempre più famoso e sempre più devastato dal senso di colpa, dall'altra il suo villaggio in cui non risuona più una sola canzone. La novella racconta qualcosa di storicamente reale; anzi, tocca con precisione uno dei punti più enigmatici della storia musicale: i sotterranei e incontrollabili scambi fra la tradizione musicale popolare e quella colta. Di prestiti come quelli su cui Basilov edifica la sua musica è piena la storia della musica, dai madrigali' a Strawinskij. E altrettanto storicamente accertabile è il percorso contrario: molta musica da film, per fare un esempio, discende direttamente dal sinfonismo ma:hleriano. Quella che racconta Makanin, dunque, è una storia assolutamente verosimile. Lo scrittore aggiunge però una forzatura che risulta decisiva perché è ciò che tramuta la storia in parabola: il nesso meccanico che collega l'uso dei motivi popolari nelle composizioni colte di Basilov e la loro scomparsa dalle consuetudini della gente. Questo meccanismo etichetta il lavoro di Basilov come furto e innesca, nel compositore "colto", l 'istinto della colpevolezza. Credo si possa dire che, storicamente, questo tipo di fenomeno non è mai esistito: quanto meno con una simile, emblematica precisione. Nessun motivetto popolare è mai defunto per esser finito in una sinfonia di Haydn. L'evolversi di una tradizione musicale "colta" non ha mai inibito la creatività musicale popolare: né, mai, l'ha compiutamene assorbita. Hanno continuato a vivere parallelamente: ciascuna tenuta in vita da attese e ambizioni diverse. Là dove, nel racconto diMakanin, entra in gioco l'idea del furto e della colpevolezza, entra in gioco dunque qualcosa che non è più la cronaca di un fenomeno, ma la sua interpretazione. La storia diventa parabola. La narrazione partorisce una morale. Ed è lì che, nel lettore, scatta l'istinto alla riflessione. L'idea che qualsiasi elaborazione "co I ta" di un materiale popolare equivalga in qualche modo a una sorta di "uccisione del padre" è, contemporaneamente, affascinante e pericolosa. Essa porta con sé un corollario non ovvio: che ci sia effettivamente un padre da uccidere. Vale a dire: che nella tradizione popolare sia custodito un patrimonio di valori genericamente accettato come positivo: una sorta di "origine" che custodirebbe una qualche innocenza di partenza, le radici di un'incorrotta sapienza inaugurale. Riflessi di un utopico mondo originario. È questo un pregiudizio saldamente ancorato alla coscienza collettiva. Ma è, appunto, un pregiudizio: in certo modo, l'idea dell'arte come elaborazione colta dei reperti offerti dal quotidiano trova la sua legittimazione nella confutazione di tale pregiudizio. Detta in termini essenziali: il materiale della cultura popolare sarebbe una sapienza muta destinata a soccombere alla storia; l'arte la salverebbe articolandola in forme forti di organizzazione capaci, a.un tempo, di convertire in parola il suo mutismo e di darle il peso specifico necessario a reggere l 'impattocon il tempo.L'arte, come gesto "colto", sarebbe l'apertura di uno spazio in cui, a prezzo di perdere l'innocenza, la sapienza collettiva si rifugia e si organizza diventando struttura permanente e significante. In un'ottica del genere, Basilov cessa di essere un colpevole e inizia ad assumere il profilo di un piccolo salvatore ..C'è qualcosa, nel racconto di Makanin, che sembra contemplare, e custodire, questa ipotesi. Non a caso le canzoni scompaiono dal villaggio felice e primitivo anche in coincidenza dell'avvento del benessere e di una più moderna civiltà. Quando Basilov, ormai adulto e affermato, torna al villaggio, non trova più i canti di una volta, ma neanche le facce, i piccoli riti, gli oggetti e l'innocenza di una volta. In questa coincidenza è suggerita un'ipotesi che ha il sapore della verità: la cultura popolare ha in sé l'istinto all'autodistruzione. Essa è ostaggio del quotidiano e prosastico bisogno di sopravvivenza: e nulla in essa vigila contro la violenza dell'inesorabilmente reale, che impone ritmi e andature precise (a volte atroci) al dettato dell'esistere. La necessità, che per l'arte è una norma teorica deliberatamente scelta, è per la cultura popolare la lama ineluttabile che seziona la vita in segmenti obbligati dello spirito. Per quanto ci si possa scaldare alla bella utopia di una cultura popolare magicamente ricca e nobile, niente può spostare la semplice constatazione che il "popolo" è un crogiuolo ambiguo dove nuotano rovine di saggezze antiche e rampanti impennate di opportunistico cretinismo. Assumerlo, tout court, come un valore da salvaguardare è un luogo comune che andrebbe preso con le pinze. Più che salvarlo, forse si dovrebbe giudicarlo e decifrarlo: ed è ciò che, almeno in teoria, fa l'elaborazione colta da cui nasce il prodotto d'arte. È un gesto che si porta dentro, inevitabilrriente, tratti di violenza e di prevaricazione. Ma è dubbio che l'innocenza sia una prerogativa dei gesti salvifici. Il tormento di Basilov - colui che non può che salvare distruggendo-tramanda il tormento di tutto ciò che usala forza del "colto"perresistere alla debolezza dell'umano. Basilov è forse il ritratto esatto di una maledizione necessaria. 29

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