CONFRONTI dente sia stato dannoso o privo di benefici per le mie opere, ma nessuno sa quanto me - con mio grande imbarazzo - in che modo davvero superficiale e vago questa influenza si sia rivelata almeno nei miei lavori giovanili". E infatti, a differenza di scrittori come Mori Ogai (1862-1922), Nagai Kafu (1879-1959) e Natsume Soseki (1967-1916), Tanizaki non si è mai spinto oltre la Cina e non si è mai dedicato allo studio approfondito di una singola lingua o civiltà europea. Nei suoi romanzi l'Occidente è riflesso nelle consuetudini di vita, negli abiti di diversa foggia, nella città che muta il suo scenario per adeguarsi alle nuove esigenze. Simbolo di modernità è l'immagine della donna occidentale, con la sua pelle bianchissima, o la bellezza delle attrici del cinema muto, termine di confronto di tanti suoi personaggi femminili. L'Oriente è invece sinonimo di tradizione e di classicità. Il "ritorno alle origini" di Tanizaki è la ricerca di un ideale estetico che egli colloca nel passato dell'epoca Heian (794-1185). Per questo dedica una gran parte delle sue fatiche letterarie alla traduzione in lingua moderna della Storia di Genji, l'opera più rappresentativa di tale periodo. In contrasto con la modernità di Tokyo, egli ritrova nel Kansai, culla della civiltà classica, una continuità con la tradizione e ciò che più apprezza di Kyoto, oltre ali' atmosfera suggestiva dei vicoli antichi e delle sue case da tè affacciate sul fiume, sono i tratti così carattetistici della bellezza femminile. È questa l'essenza della classicità: una donna che è " ... la visione di un mondo di 'sogno', pallida come il chiarore lunare, debole come il verso degli insetti, fragile come la rugiada sui fili d'erba: in breve, spirito di una bellezza ammaliante prodotta dal mondo naturale dell'oscurità". E poi continua nello stesso saggio, scritto nel 1931 (Amore e passione): "La gente disapprova che tutte le donne che compaiono nei romanzi del passato, come la Storia di Genji, sembrino avere pressappoco lo stesso carattere e che non venga mai descritta la loro personalità, ma gli uomini di una volta non si innamoravano della personalità della donna, né erano affascinati dal la bellezza dell'aspetto e da quella del corpo di una singola donna. Per loro, come la luna era sempre la stessa luna, anche 'donna' significava forse unicamente solo 'la donna'. La voce indistinta che ascoltavano, il profumo delle vesti che odoravano, i capelli che accarezzavano, la splendida pelle che avvertivano a tentoni e che svaniva appena la notte si schiariva: tutto ciò costituiva l'immagine della donna per gli uomini di quell'epoca". Questo passo, rievocando quel mondo del passato avvolto nella penombra che è per Tanizaki la rappresentazione simbolica della classicità e che costituisce il nucleo della sua estetica, ci riporta · alla mente un altro suo famoso saggio, L'elogio dell'ombra (1933). Se per la sensibilità moderna occidentale bello è ciò che è chiaro, luminoso, brillante - sostiene Tanizaki - per il giapponese il senso estetico si esprime nelle tonalità pallide, velate, che lasciano spazio all'immaginazione. L'ombra, a differenza della luce che svela la realtà nel suo aspetto più plateale e prosaico, permette di cogliere proprio nell'indeterminato la vera essenza delle cose. Il suo primo termine di paragone con l 'Occidente è la casa: contro le superfici levigate e candide delle moderne abitazioni europee egli esalta la dimora tradizionale giapponese, costruita come un "vaso per l'ombra". Dentro questo cono d'ombra viveva la donna, un viso bianco nel buio. La bellezza è intangibile, "chi la vuole toccare con mano, è condannato a dissolverla e a rovinarla". Sull'amore di Tanizaki per la immaterialità del corpo, Mishima scrisse: "In armonia con la peculiarità della stirpe e della cultura giapponese, l'opera letteraria di Tanizaki Jun'ichiro, pur iniziando con l'esaltazione del corpo secondo la tradizione occidentale, arriva poi a celebrare ... il fascino di una. bellezza femminile celata nella penombra, racchiusa nell'antica pesantezza delle sete del kimono; ed è questo suo mutamento, un ritorno irrefrenabile alla tradizione del nostro paese". · Nella sua predilezione per le lacche piuttosto che per l' argenteria, per la carta di riso più che per il vetro, Tanizaki non intende affermare la superiorità estetica di una cultura sull'altra (infatti l'opposto dell'ombra è la luce elettrica delle lampadine, non certo quella delle candele o dei lumi a olio). Ancora una volta è una critica alla via che il Giappone ha scelto di seguire: di evolversi, cioè, prendendo pari pari dall'Occidente senza sviluppare un proprio senso della modernità in linea con la tradizione e con i gusti autoctoni. E così le vestigia di questo mondo d'ombra sopravvivono solo nel ricordo del passato. Tanizaki tuttavia non è un nostalgico e il rifugio nel passato non è il suo esito finale. Al contrario, senza mai estraniarsi dal presente, egli sceglie di ricreare nella letteratura quel mondo di forme velate che è andato perduto. L'indeterminatezza dei confini tra il reale e l'immaginario anima anche la sua idea di letteratura. Perché non solo la· sua visione estetica ma tutta la sua concezione dell'arte, dalla scelta dei temi agli artifici stilistici, sembra guidata dall'ambiguità come unico principio unificatore. Contro le tendenze naturaliste della letteratura di inizio secolo e il successivo svilupparsi in Giappone di un genere di "romanzo autobiografico" (shishosetsu) che nessuno spazio concedeva alla fiction, Tanizaki propone un'arte svincolata dalla realtà, frutto dell'immaginazione e della fantasia. La quotidianità, la normalità non sono fonte di ispirazione; egli ama piuttosto descrivere ciò che è fuori dall'ordinario ma con un tono dimesso che fa apparire veritieri anche gli eventi più singolari. Il suo dichiarato intento è quello di porre uno spazio invalicabile tra sé e la propria opera per non dare adito alla confusione (tipica di quel romanzo, "autobiografico" o "in prima persona", che lui avversava) tra l'autore e l'io della finzione. Eppure, invece di ricorrere all'uso del narratore onnisciente, egli sperimenta i suoi modelli teorici proprio nel romanzo in prima persona. Di volta in volta innova e affina le sue tecniche, attribuendo ruoli diversi al narratore. Con una narrazione a più livelli, basata sulla molteplicità dei punti di vista e sull'ambiguità delle situazioni, egli induce il lettore a credere di trovarsi di fronte a un dato reale, per poi, con un cambio inaspet25
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