Linea d'ombra - anno VIII - n. 49 - maggio 1990

IL CONTESTO Napoli: pluralità e co~flitto Vittorio Dini Di Napoli non si dovrebbe più parlare, né sentire. Sembra oramai impossibile evitare l'eccesso, l'estremizzazione quando si dibatte di questa città - e tutti peraltro hanno qualche ragione da vendere. Non solo gli accidiosi, i corrivi, gli 'apocalittici' ai limiti del razzismo - come Ceronetti e Vertone -, anche gli 'indigeni' nostalgici di tempi migliori (chissà quali?) e in effetti interpreti impotenti di un bisogno di efficienza che è poi la più diffusa esigenza di tutti i napoletani. La "Carta straceia" che Domenico Rea ogni Foto di Sergio Riccio. lunedì offre ai lettori de "Il Mattino" esprime con stile acre e fastidioso proprio queste lamentele ed aspirazioni represse. Più fastidiose ancora, se possibile, le rivendicazioni della Napoli 'produttiva', capitale della cultura di livello europeo: è vero anche questo, ma può compiacere soltanto le oziose dame e signori delle prime teatrali e delle conferenze anch'esse di livello europeo. Dal rimpianto, che non riesce nemmeno a diventare autentica nostalgia, ben poco sfugge delle considerazioni suNapoli; oppure dall'atteggiamento di rifiuto e di totale negazione. Si potrebbe forse supporre che anche questo non è nuovo, che in fondo già nel passato (e lo si ritrova documentato in Dadapolis di Ramondino e Milller), a varie riprese, si è prodotta una situazione analoga: valga per tutti la ricorrente' querelle' sull'opportunità dei 'cervelli' e degli intellettuali ad andare via da Napoli. Ma il fatto è che, a partire dagli anni Settanta le trasformazioni, abbastanza radicali, ci sono state nella realtà e nella cultura della città. E le analisi di queste profonde trasformazioni sono ancora poche, insufficienti, disarticolate. Si tende ancora a polarizzazioni, a luoghi comuni - il cui limite, benintew, è non di essere comuni, bensì falsi: o si afferma una completa omologazione (non esiste più una 'questione meridionale') oppure si sostiene una perdurante specificità della condizione 'napoletana'. Possiamo capire perché Totò, pur continuando a piacere, è diventato 'gradevole' ma ha perduto agli occhi del giovane di oggi ogni carica di aggressività, soltanto se riflettiamo al fatto che è mutato il mondo che lo ha prodotto: l'ideologia diffusa da 'nuovi ricchi' ha completamente soppiantato il contrasto tra "miseria e nobiltà". E tuttavia questa omologazione che lo sl:atoassistenziale-democristiano e la televisione (insieme ad altri mass media) ha indotto, non ha unificato ceti e culture. Ha certamente intaccato il dualismo netto, la dicotomia- appunto, miseria-nobiltà 'volgo' -ricchi; dal punto di vista culturale, Totò (o ancor più, Viviani) -san Carlo. Ma ha prodotto segmentazioni, non unificazione o totale appiattimento. A Napoli esistono oggi e vivacemente si esprimono più soggettività sociali - fuori di ogni rappresentanza politica - così come si esercitano varie tendenze artistiche e si manifestano diversi tipi di pubblico dello spettacolo e della cultura in genere. Diversi soggetti, diversi linguaggi, diverse culture: e dunque certo conflitti, ma anche plur~ità e, potenzialmente, pluralismo. Sembra perduta quell'armonia che l'ha resa "la città dove il popolo è più popolo che altrove ovvero dove ancora esiste un popolo" (Ramon: dina). Sembra superata l'epoca che poteva far dire: "Grande civiltà di Napoli: la città più civile del mondo. La regina delle città, la più signorile, la più nobile. La sola vera metropoli italiana" (Elsa Morante, 1952). E alla "fuoriuscita dai dieci anni più stupidi e conformisti della vita sociale e culturale italiana" (come, amaramente, si esprime Fofi), e' è poco da essere allegri. Ma segmentazione non vuol dire frantumazione, può voler dire invece pluralismo, espressione positiva di conflitti, ripresa rinnovata e aggiornata di grandi lasciti della tradizione. Le potenzialità in questo senso sono veramente enormi, straordinarie: Napoli è ancora singolare, la più europea delle città italiane, "la più facilmente e naturalmente internazionale delle città italiane" e proprio in virtù di tale segmentazione. Venuta meno ogni prospettiva di unificazione dall'alto e prevaricante, totalizzante - come la stessa 'egemonia operaia' degli anni Settanta (che pure ha comportato non pochi effetti positivi collaterali) -, si può làvorare ad una prospettiva di attivazione delle fanne produttive di conflitto e di relazione tra queste nu_ovefanne e una tradizione anco.ra viva e vitale. Ma perché tale strada· si apra, occorre realizzare delle condizioni, che concernono le sfere della comunicazione e delle regole. I linguaggi, attraverso i quali i diversi gruppi si esprimono, non trovano oggi alcun elemento di confronto, neppure quello molto indiretto dei media - perfino il variegato mondo delle televisioni private locali è strutturato a compartimenti stagni, mentre non esiste alcun organo di stampa che svolga tale funzione.L'unico spazio di aggregazione di questo tipo è il tifo sportivo per la squadra di calcio - anche qui città unica per livello di identificazione con la 'propria' squadra. Ancor più singolare che sia un argentino-napoletano, Maradona, a gestire tale spazio: artista di genio assoluto, ma anche, forse inconsapevolmente, acuto 'opinion maker' riesce, nel bene e nel male, a impegnare anche al di là delle prestazioni sportive il 'senso comune' dei napoletani. È stato l'unico vero, autentico, utile sindaco di Napoli degli ultimi anni. · Si tratta comunque di uno spazio, sia pur significativo e 19

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