Linea d'ombra - anno VIII - n. 49 - maggio 1990

IL CONTESTO La prima ·volta, a est Prospeffive post-èlettorali Guido Franzinetti L'informazione negata. Come tutti gli atti mancati, rinviati per troppo tempo, anche le prime votazioni libere esteuropee si sono rivelate un anticlimax. Questo vale innanzi tutto per i diretti interessati, gli esteuropei: il tasso di astensione dal voto si prospetta alto (attorno al 30-40%, con l'ovvia eccezione del voto in Ddr, che per certi versi corrispondeva a un plebiscito sull'unificazione) .1 Questo non è affatto sorprendente in una fase di 1iberalizzazione di un regime a votazione coatta (l'unico motivo per cui-non si verificò un tasso di astensionismo nell'Italia del dopoguerra è che i costituenti italiani, a differenza dei riformatori esteuropei, ritennero opportuno mantenere una forma di voto sostanzialmente obbligatorio). 2 Ma il disinteresse più marcato è quello del mondo esterno, e cioè degli osservatori e dei mezzi di comunicazione di massa. Dopo mezzo secolo (o tre quarti di secolo) di non-voto in Europa orientale, le prime espressioni di voto libero in Europa orientale sono state accolte con un certo interesse per il risultato in termini di schedina di totocalcio (democristiani battono socialdemocratici, 2-0), di scarso interesse per le tendenze generali del voto, e di totale disinteresse (nel caso dei giornalisti, di virtuale omissione di atti d'ufficio) per i risultati in senso proprio (disaggregazioni regionali e distribuzione effettiva delle percentuali di voto, soprattutto nel caso delle elezioni nelle repubbliche sovietiche). Questo disinteresse occidentale (che riflette il radicamento di una cultura politica radicalmente antidemocratica, elitaria, indifferentemente di destra e di sinistra) ha fortemente cqndizionato la percezione delle elezioni esteuropee. Le nuove regole del gioco. Col passare del tempo, la natura storica della svolta polacca si rivela decisiva, malgrado il fatto che la sua eco sia stata attutita dalla coincidenza della strage di Tien An Men con le prime elezioni polacche e poi dell'inizio della crisi della Ddr (apertura delie frontiere ungheresi) con l'elezione di Mazowiecki a primo ministro. Lasciando da parte la ricostruzione delle successive fasi della svolta esteuropea dal giugno al dicembre 1989, è evidente che il compromesso polacco ha sancito per le élites esteuropee i seguenti punti fermi: 1)lapossibilità di effettuare uno sganciamento "morbido" dell'apparato statale dai partiti comunisti (la Romania fa ovviamente eccezione); 2) l'inopportunità di polarizzare elezioni libere sul modello polacco (coalizione governativa contro coalizione di opposizione); 3) l'opportunità di puntare su una polverizzazione del quadro politico (facendo vincere tutti per non far vincere nessuno, all'opposto del caso polacco). Quindi la tendenza nell'Europa orientale liberalizzata è stata quella di puntare su sistemi elettorali orientati più a favorire la polverizzazione delle forzé politiche che non a polarizzarle. 3 La partita di andata in Ungheria: il referendum. All'inizio del 1989, sulla carta, il gruppo dirigente ungherese era il più avanzato di tutta l'Europa orientale, avendo già ammesso (teoricamente) un sistema pluripartitico e addirittura la possibilitàche il partito comunista andasse ali' opposizione. Questamaggiore apertura rifletteva in realtà la maggiore forza del governo e soprattutto la debolezza dell'opposizione. Come osservò Timothy a Garton Ash, mentre in Polonia si poteva fare una tavola rotonda tra governo e opposizione, in Ungheria era necessario fate una tavola rotonda ali'interno dell'opposizione. Non sorprende quindi che il governo comunista ungherese abbia nei fatti concesso molto meno di quello polacco dell'epoca (accesso ai mezzi di comunicazione di massa per l'opposizione, modifiche del sistema politico, ecc.). Il culmine di questa politica fu raggiunto con la realizzazione del primo "compromesso storico" (in senso italiano, non polacco). Artefici di questa opera di ingegneria politica furono i comunisti dell'allora Partito Socialista Operaio Ungherese (MSzMP) e i "populisti" del Forum Democratico Ungherese (Mdf). · I "populisti" (nazionalisti moderati) derivano da una delle due principali correnti della cultura politica ungherese d'anteguerra, quella che si contrapponeva agli "urbani" (cosmopoliti). Durante l'epoca kadariana l'opposizione populista privilegiava le tematiche che avessero un aspetto nazionalista (diritti, delle minoranze ungheresi in Transilvania e in Slovacchia, ecc.). E molto significativo che il presidente dell 'Mdf, J6zsef Antall, sia un cattolico, dal momento che i cattolici (pari al 70% della popolazione) sono stati storicamente sottorappresentati nell 'élite politica e culturale ungherese, che ha avuto e ha tuttora una sovrarappresentanza di ebrei e di protestanti. 4 La base di questo accordo (sottobanco ma non troppo) tra populisti e comunisti avrebbe dovuto essere l'elezione di Imre Poszgay dell 'MSzMP a presidente della repubblica (che i populisti avrebbero favorito presentando un loro candidato di facciata che non aveva possibilità di vincere). Dal momento che nell'autunno del 1989 i populisti ottenevano attorno al 40% dei consensi nei sondaggi di opinione, l'accordo tra comunisti e Mdf sarebbe ammontato a una spartizione totale del potere prima di qualsiasi prova elettorale con voto libero. Contro questa prospettiva insorse l'Alleanza dei Liberi Democratici (SzDSz), che all'epoca non sembrava raccogliere più del 10% dei consensi nei sondaggi d'opinione. La SzDSz corrisponde alla corrente degli "urbani". Per certi versi analoga al Kor in Polonia, ha una fortissima presenza ebraica al suo interno, ed è anche probabile che sia percepita da molti elettori come il partito della "gioventù dorata" (dal momento eh~ sono presenti molti figli di membri dell'apparato comunista). E confluita in essa tutta la terza generazione della scuola di Ltikacs (il cosiddetto "asilo infantile di Lukacs", quella che si è formata all'Università negli anni Sessanta), ivi compresi personaggi come Mikl6s Haraszti (autore del libro su una fabbrica ungherese, A cottimo, Feltrinelli, Milano 1978, e che all'inizio degli anni Settanta era su posizioni maoiste) . Con grande spregiudicatezza, i liberi democratici raccolsero rapidamente 200 mila firme per promuovere 4 referendum su diverse questioni costituzionali. Tre di questi referendum vertevano su questioni che erano perfettamente pacifiche per quasi tutti i partiti politici ungheresi, ma il primo era invece relativo al fatto che il presidente della repubblica fosse eletto dal nuovo parlamento anziché dal vecchio (frutto di un voto non libero). La questione poteva sembrare puramente formale, poiché in quel momento Poszgay rimaneva il più probabile vincitore di qualsiasi elezione presidenziale. In realtà l'elezione di unpresiden-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==