Linea d'ombra - anno VIII - n. 48 - aprile 1990

TEATRO ~ IL RE E NUDO, IL PAPA NO CONSIDERAZIONISUL'COMICO' E IL'POLITICO'DELTEATRODI DARIOFO PiergiorgioGiacchè Siamo in un corridoio del vaticano. Lo si capisce dall'arazzo tra il lascivo e il botticelliano, tanto che pare la réclame di un vino novello all'italiana. All'insegna del frizzantino di pronta beva (ma guai a sorseggiarlo un po') scorre lo spettacolo e corrono cardinali con radiotelefoni fallici, suorine infermiere e guardie svizzere, tutto un trambusto di messaggi criptici e allarmate segnalazioni. Il Papa è malato o impazzito? Il Papa è Dario Fo. Come da copione, è "il Papa più simpatico che ci sia", quello che Woityla ha sempre sognato di essere (quando faceva teatro) o quello che Fo si è sempre augurato di incontrare (quando faceva politica). Quella de Il Papa e la Strega è in sintesi la storia della progressiva e irresistibile presa di coscienza politica di un Papa, se soltanto gli si desse l'occasione e il modo di incontrare una Strega. Sì, certo, una strega vera e veridica del giorno d'oggi, ma non per questo meno efficace: mentre lancia incantesimi che naturalmente si risolvono in colpi della strega, assomma su di sé tutta la saggezza fisioterapica alternativa - un insieme di massaggi banali edi voli aereobici eccezionali, di nuovi ipnotismi e di vecchie magie africane- secondo l'immagine di una Donna già angelo del focolare e oggi unico cuore della capanna, ma come sempre, anche se in versione eretica ma non più erotica, "sacerdotessa del corpo". E così, dall'apertura della questione femminile, si ripete la divisione dei ruoli fra il Dario che soffia il trombone sfiatato del personaggio di potere e di allegrotta reazionarietà e la Franca che batte il tamburello brechtiano delle piccole ma illuminanti verità. Il testo è naturalmente diverso ma la base è la stessa di quasi sempre: una volonterosa (o doverosa?) contro-informazione, anche se ormai nutrita direttamente dal pane dei nostri quotidiani e delle Tv; così come di quasi sempre è la separazione netta fra Lui che ha il compito di accettarle e tradurle in forma di "lazzo" e di "sghignazzo" (per abusare della terminologia con cui Fo insegue le mitiche radici del giullare) e Lei che le respinge e le spiega a colpi di volantino. Il gioco delle parti sembra andarsi riducendo ai minimi termini: uno fa la maschera e l'altra il volto. E i ruoli di una coppia possono così diventare più giusti e più moderni: la ragione è femmina o la femmina ha sempre ragione (fate voi). Mano a mano che si insisté, gli effetti sull'immagine femminista rischiano così di essere devastanti, mentre il Papa - e chi per lui, con lui, in lui - se la cava sempre meglio. Oltre a concentrare su di sé tutta la comicità del copione, la trama finirà per riabilitarlo fino a una morte da semi-eroe; almeno in questo caso, ma non è certo né la prima né l'ultima volta ... Ma non è certamente una nota snobistica di déja vu quella che si vuole mettere in campo, né gli effetti o i difetti delle storie iterate o dei ruoli sclerotizzati sono quelli che si vogliono mettere in discussione. Lo stesso problema drammaturgico (o il tormento politico) di mettere in scena per forza il personaggio "positivo" ovvero della "spiega", della battuta che suona da slogan, da demistifica, da didascalia, da straniamento (sinceramente non si sa bene quale di questi termini sia più vicino alle esigenze o alle intenzioni dell'autore), non ci riguarderebbe affatto sul piano del pur discutibile risultato (tutti i gusti sono gusti), se non fosse il primo evidente e ormai ricorrente segnale di uno stile e di una ideologia tanto preoccupante quanto significativa. Oggi certamente più di ieri. È a partire da qui infatti che perdura e si complica una questione insistente fino all'ossessione nel teatro di Dario Fo, che è quella del potere e della provocazione, ovvero del persuasore occulto e della controinformazione, ma che è infine l'equivoco irrisolto del "comico" e del "politico" che si intendono e si dichiarano sempre mescolati assieme e che si ritrovano invece sempre incompatibilmente divisi. Sarà per questo che Fo non poteva sfuggire alla tentazione di un "comizio finale" nelle commedie dell'altro ieri, al dovere del prologo e del dibattito nel teatro politico di ieri, per arrivare allo scorporo del personaggio "politico" e femminile nel teatro di oggi. E così mentre l'attore cerca l'applauso, l'attrice impone il consenso; mentre la battuta talvolta riesce a volare, la didascalia ci fa sempre tornardn terra (e duramente), alla contemplazione delle crude realtà e delle tristi necessità dei soggetti sociali o degli aspetti tragici che il Messaggio chiama in causa, mentre il Teatro potrebbe limitarsi a prenderli a pretesto (e non in prestito). La contraddizione che non si sa sanare, e che si vorrebbe ormai nascondere, è data dalla dffferenza che passa tra la possibilità e la facilità di mettere in tragedia le commedie della vita e del sociale, e la difficoltà o l'improbabilità di trattare in forma di commedia le tragedie reali. Stando all'esempio dello spettacolo di Fo, non solo non si sa quanto e come questo sia possibile, ma nemmeno quanto e come sia lecito. Allora, come si vede, è la politica che serve alla comicità e le dà copertura; più spesso del contrario. In nome del Messaggio da portare avanti la ''.satira" entra in luoghi che le restano proibiti, o comunque vi arriva in modi impropri. Fino a provocare arroganti, sgradevoli cortocircuiti, tanto del "comico" quanto del "politico". Si ha l'imprèssione ad esempio di non riuscire a digerire la disinvoltura con cui si passa dalla stanze vaticane a una cantina (di periferia o di campagna?) dove alloggiano giovani tossicodipendenti che non possono davvero liberarsi dai gesti e dai ritmi di boys e girls di anziano varietà o di nuova televisione, né si riesce a giustificare la facilità con cui il Papa scivola nella serie "Don Camillo e i giovani d'oggi" e la Strega si mette a preparare dosi di eroina tagliata in casa e a gestire uno sbrigativo antiproibizionismo clandestino. A meno che non sia diventata questa la provocazione, cioè quella di produrre e far passare ste_reotipi e facilitazioni che sdrammatizzino i temi della droga o del controllo delle nascite (per restare allo spettacolo) e li trascinino al livello delle faccende casalinghe, magari per aiutare un nuovo crescente pubblico in pelliccia ecologica a sentirsi a suo agio, davanti a questioni che in fondo, per l'esperienza comune, sono chiacchiere e cronache e argomenti di politica stampata. Di una politica per così dire elettorale, che cerca un applauso di schieramento e finalmenteanche nella versione della denuncia in commedia -serve sempre più a mascherare di slogan i problemi e soprattutto a trattenerli lontani. Può ~si che comunque la bravura degli attori o la profondità 89

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