Linea d'ombra - anno VIII - n. 48 - aprile 1990

CINEMA .ALLEN E IL MALE IN COMPAGNIADI UN CIECO, UN ASSASSINOEUN INVIDIOSO Gianni Volpi Si capisce che gli americani non amino i film di Woody Allen. Forse non li capiscono nemmeno, o non vogliono capirli. Disagio e nevrosiebraico-intellettuali-newyorkesiconcui un "suo" pubblico (ma più europeo) è entrato in' totale sintonia, riconoscendovisi, si sono via via mutate in una verità yankee più cruda, in una diagnosi che ama meno la propria prigione. Ora si è fatto un mondo di normale miseria e ferocia. Donne e sesso, identità ebrea e riuscita ·sociale: Woody Allennon esce certo da un suo repertorio di miti e ossessioni personali. Li usa, però, non più in termini di entertainer scaltro, ma con un surplus di romanzesco sia nel senso della costruzione di intrighi, percorsi, ai limi ti del "thriller metafisico", sia nel senso di una lettura dei grandi archetipi culturali. In questo favorito (o svantaggiato, presso un certo pub-. blico) da una cultura più letterarii che cinematografica, a parte l'ovvio e non decisivo riferimento a Bergman, in ogni caso visto come espressione e tramite dei temi profondi della cultura nordica e russo-ottocentesca. Resta, ma sostanzialmente circoscritto, il mondo dello spettacolo, elemento chiave della sua arte "riflessa", così criticamente interna ai media, cui spesso di qua e di là dell'Atlantico si è preferita la più facile e deresponsabilizzata cinefilia di tanti manieristi. Si aggiunga che non c'è nulla di più inattuale e radicale di un approccio religioso, che niente ha a spartire con guru e integralisti faccendieri, con papi commessi viaggiatori della fede e della politica e ricette-scorciatoie verso la felicità (così bene fissate dal prete dii ésus de Montréal: "qui viene la gente più misera e disperata, quella che non ha i soldi per pagarsi 86 • Woocy Allen dirige Martin Landau in Crimini e misfo/Ji (foto di Brian Hamill/Orion). uno psicanalista, e vuole sentirsi dire che Gesù li ama"). C'è una forza di scandalo in un'etica religiosa, una necessità di affrontare le ragioni prime e le scelte decisive che gli autori meno arresi di questi anni, credenti o agnostici, da Bresson a Tarkovski, da Kieslovski sino a Arcand o Scorsese, hanno variamente messo a frutto; un fenomeno raramente analizzato nella sua reale portata. Nella carriera di Woody Allen non ci sono brusche rotture, eppure alcuni film segnano una sostanziale svolta rappresentando come il compimento di tendenze poco a poco messe a fuoco. Come Manhattan che, con la sua struttura a suo modo classica, chiude con le "stripes" degli esordi, tutte divagazioni, sketches e one-liners citatissimi. fome Zelig, "gioco" quasi teorico su miti di massa che sono l'America. Crimini e misfatti è uno di questi film. Nella sua stessa struttura duale è una sintesi di leggerezza e gravità, di lnteriors e Io eAnnie, di tematiche bergmaniane e strindberghiane, di crisi di autocoscienza, e di modi da indagine di costume, applicati a un mondo in apparenza liberato, a giri chiusi di affetti e insoddisfazioni. In un nesso imprevisto di veri delitti "permessi" e di piccole colpe e compromessi. Elemento decisivo di mediazione è la presenza,· seppure come antagonista, come secondario polo dialettico, di Allen attore dopo tre film in cui non aveva recitato; una presenza che continuiamo a ritenere essenziale, ché è lui, con la sua faccia smarrita e autoironica, i suoi impacci, i suoi momenti di disperazione, il filtro specifico di umori e ossessioni che sono l'humus di questo come di tutti i suoi film. Ora il suo humour, che resta il suo segno d'autore, si è fatto più amaro, senza nulla perdere della sua vitalità, senza neppure rinunciare al gusto della battuta surreale o maligna (basti citare la variante mediatica dell'homo homini lupus, cioè "il lupo non risponde al telefono", o la lettera d'amore appassionata ma plagiata da Joyce e perciò disseminata di strani riferimenti a Dublino). C'è più pessimismo che la malinconica, stoica serenità di un tempo, e con un gesto crudele e significativo Woody Allen "trasferisce" sull'ipocrita-Judah-Martin Landau il suo stesso passato, terreno d'elezione di nostalgia e di memorie d'infanzia e di comunità ebrea e umana, un tempo ricomposto in cui si è spesso astutamente "perso". Come se quel mondo fosse definitivamente finito con Radio days, e non avesse lasciato più spazio per· il rimpianto ma solo per crude interrogazioni. Insolita è so·prattutto la durezza della sua visione. C'è un mondo dei ricchi ritrovato nel particolarismo, nella specificità culturale, nella cerchia clùusa di una borghesia ebrea unita da un intreccio di pàrentele ed egoismi. Un mondo serenamente sordido. "Barbarico", dice Allen, ma "protetto" dal suo comfort (anc.tieaffettivo: stupendi sono i personaggi-manichini della moglie e della figlia di Judah che non hanno altro ruolo che di essere "perfette" e decorative). A intermittenze è pure attraversato dal mondo reale. Che può essere la necessità di stornare i fondi di un'organizzazione umanitaria. O un' am~te fastidiosa, in isteria da abbandono. O, per il borioso produttore di successo, il documentarista puro e "fallito" Cliff-Woody Allen che è il suo segreto tarlo. L'imperativo è "coprire", cancellare. Con il crimine o piccole viltà senza castigo. In questi interrù spira un senso di angosciosa claustrofobia, di vite deformate, le proprie e le altrui. Mà Woody Allen non è così sociologico. Non gli interessa tanto un presente terrificante, bensì che senso ha questo "male". Non è un cinea~ta del "reale" (eforseperquesto alla fine più illuminante di tanti altri), ma di "esibizionismo delle anime e ritegno ·dei corpi". Sesso e delitto, cioè il presente più. violentemente in atto, restano irrappresentabili, "invisibili", al contrario di certe lezioni europee, prima fra tutte quella di Pasolini che conosce la società perché passa attraverso il suo corpo. In Woody Allen tutto si fa parola, qui discorso morale, cui non aiuta il regno dei cieli di un rabbino che sta diventando cieco, espressione di una fede di crisi che, diceva Scholem, "racconta ma non chiede più". Il grande tema che appassiona Allen è quello della colpa in un "posto/senza Dio" -in cui derisoriamente il terribile "occhio di Dio" biblico spinge al più Judah a diventare oftalmologo. Quanto più radicale si fa la lontananza di Dio, tanto più ne risorge il bisogno, sembra pensare Woody Allen assieme ai teorici della teologia negatÌva.11 bisogno di sentirsi colpevole, il bisogno di un'etica, di qualcosa che dia un senso al vivere, al morire, alle azioni. Senza legge c'è solò tenebra, poiché "un Dio mite e

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