Linea d'ombra - anno VIII - n. 48 - aprile 1990

SAGGI/VINAY e paure stando lontano che essendo dentro la mischia stessa. Malata lei, anche i bimbi fuori di casa. Quante tragedie, poi, in quei giornì, ~ialmente fra i più deboli. Un caro amico si suicida. Basta. È tempo di riordinare le proprie cose, di rientrare in sé. Lasciamo il lavoro fra i giovani, riprendiamo i libri! Chiudiamoci in casa, val meglio tacere che parlare senza essere ascoltati! ·Ma Cristo non è passato oltre! E ne ha dato dei segni. Ci sono incontri veri con scampati che sanno di esserlo, con risuscitati che si ricordano della loro morte. Equi, di nuovo, Cristo che bussa alla porta e ci parla. Un soldato inglese mi diceva: "La guerra mi ha insegnato questo:. che non siamo tedeschi o inglesi o italiani, ma povere creature di Dio che soffrono". Poi ci sono i partigiani che bussano alla porta della chiesa per essere ricevuti, poi dei fascisti portati alla deriva come rettili... Poi vieni tu, Ricci, a trovarmi. Quel giorno il tuo problema era di aiutare una povera ragazza che un soldato alleato aveva resa incinta e poi abbandonata, e tu l'avevi accolta in casa tua. In Sicilia nell'esercito in rotta, come qui, a guerra finita, le brutture erano le stesse, ma Ricci, che una volta non credeva, parlava ora del Vivente. Lo aveva incontrato, c_omeio lo avevo incontrato nei volti smunti e piangenti di tanti, in quei giorni in cui facilmente si piangeva perché sfiniti nell'animo ancor più che nel corpo. E così fu di molti. Ce ne accorgemmo nel campo giovanile· del 1946, alle "Casermette" di Prati, quando ci apparve chiaro che, almeno fra i .giovani, qualcuno ancora era pronto ad ascoltare. E che le stesse esperienze eran fatte da molti. Molti eran quelli che, tornati dal le bande partigiane o dai campi di concentramento o dalle città martoriate, avevano scoperto, con meraviglia e timore, che Dio li aveva amati. Era l'ora, dunque, di suonar la campana e di chiamare a raccolta gli scampati, quelli almeno che non avevano chiuso gli occhi alla realtà. Gli altri avrebbero seguito. L'amore di Cristo non verrà ' mai meno: ne eravamo certi, finalmente. Occorreva, ora, incanalarlo in un servizio concreto fra gli uomini. Quel campo dell'agosto 1946 aveva avuto un peso decisivo. Non-si poteva ormai più ignorare e l'entusiasmo e la decisione di tanti giovani. Così, pochi giorni dopo, si decise il primo passo: fondare un giornale "Gioventù Evangelica" (il primo numero è uscito nel novembre 1946) per essere un organo di collegamento fra tutti e dare a tutti la parola. Bisognava scoprire che ormai questi giovani, provati dalla guerra, con tutte le sue conseguenze materiali e spirituali, erano pronti ad impegnarsi per un lavoro decisivo. L'idea di Agape? S'è detto a volte che Agape sorse come risposta ad una modesta esigenza ecclesiastica. No. L'esigenza ecclesiastica di un centro per la gioventù c'era, certo, e c'era . anche prima della guerra, ma essa non è ciò che mosse Agape: Agape sorse dalla guerra, come libero atto di Dio, che ha pietà di noi e ci muove in modo tale che non possiamo evitarlo. Anzi Agape non è un'idea nel senso di un progetto che si concepisce e disegna Non è del tutto 'un'idea, è una vocazione alla quale, malgrado tutto, anzi malgrado noi, non si può dire di no. Infine, quando è sorta l'idea di Agape? Possiamo rispondere con le parole di un lavoratore: "quando si è scoperto con stupefatta meraviglia e con timore ch.e'Dio ci ha amati".( ...) 78 L'anno 1947 Il 1947 è stato l'anno più difficile sia per i tanti e gravi problymi da risolvere sia per un; atmosfera non sempre favorevole ai giovani impegnati ad Agape, ma anche un anno decisivo per tutto il futuro del progetto. Si era di fronte a difficoltà materiali che sembravano insormontabili, ma anche di fronte alla necessità non rimandabile di "sfondare" nell'opinione del vasto mondo ecumenico in Europa e fuori. Il fallimento dell'opera di costruzione come una nostra incapacità di uscire dall'isolamento avrebbe compromesso per sempre il futuro dell'opera. Ma Dio ha avuto compassione di noi e ci ha dato, attraverso i lunghi e faticosi mesi di quelJ!anno, di superare gli ostacoli che si frapponevano sul nostro cammino e di aprire la·via per la testimonianza degli anni futuri. È per questo che ho la profonda convinzione che il Signore è stato il protagonista di tutta questa storia. Erano da poco iniziati i lavori quando abbiamo avuto, a Torre Pellice, un incontro col Dr. Wisser t'Hooft, segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (allora ancora in formazione), e fra altre cose gli abbiamo chiesto come vedeva l'orientamento ecumenico dei giovani evangelici italiani. Ci ha risposto: "Ho sentito di Agape, la cosa mi interessa molto. È un bell 'esempio che la Gioventù Valdese dà costruendo la sua "Vaumarcus", la sua "Bossey". Mi mandi il progetto con informazioni relative al lavoro, voglio seguirvi da vicino" (da "Gioventù Evangelica"). Vederlo così bene informato ci fece molto piacere, poiché anche prima di sorgere, il programma di Agape col suo messaggio era andato lontano. Malgrado l'inaspettata solidarietà di una personalità così eminente e universalmente conosciuta, vasti settori dell'opinione pubblica- se si fa eccezione dei gruppi di giovani entusiasti che qua e là, nelle Valli è nelle città, cominciavano a lavorare decisamente per la raccolta dej fondi - erano del tutto contrari all'esperimento, sia per la vastità del progetto sia per l' inesperienza di quei ragazzi ai quali si faceva poco credito. Allora, I' opinione corrente era che, se proprio si voleva costruire il Villaggio, era ben più conveniente affidare tutto ad un'impresa risparmiando così tempo e denaro. Per noi, invece, era il grande assurdo proprio perché non c'era denaro, ma doveva venire (e in proporzioni limitate) e sarebbe venuto solo con l'impegno totale delle nostre· persone. Poi, non eravamo tanto scettici sul valore del campo né sull'aiuto che ci sarebbe stato dato dall'Alto. Un'altra cosa generalmente non capìta: era che si volesse costruire senza una strada che portasse al cantiere tutti i materiali necessari. Se pur la strada doveva esser fatta perché non cominciare da quella ed utilizzare i mezzi normali di trasporto? Cosa logica ma non vera, proprio perché la costruzione di Agape non poteva essere una costruzione come le altre che hanno alla loro base o denaro o prestiti delle banche. Qui non c'era nulla. Dovevamo tirar su delle mura ~r farle vedere ed avere il credito e l'amore di molti fratelli. Non potevamo consumare le nostre forze in un chilometro di strada che non avrebbe, dopo tutto, interessato alcuno, né attirato a noi quanti non si erano ancora mossi. È vero che vi era, allora, dal villaggio di Ghigo ai "Crò" (il luogo di Agape) soltanto uno strettissimo sentiero per il quale poteva passare una sola persona e per di più con fortissfma

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