/ . STORII/DONG~ Napoleone, dell'Unione Sovietica senza Lenin, della Cina senza Maci, ora noò si potrà più parlare dell'Africa senza parlare della nostra guida suprema, presente in carne e ossa Il davanti ai miei occhi. :E'. mi sfilavano davanti le immagini dei manifesti giganti dove il nostro capo, alto e imponente sulla marea delle mani tese verso di lui, lo sguardo ispirato fisso su una stella rossa e lontana, guida il nostro popolo verso il sole dell'avvenire ... Ah! Lacrime di commozione e fervore colavano sul mio viso! Avanzò a passi lenti e calcolati verso il suoposto tra inni di gloria e ovazioni, posò delicatamente le sue chiappe leniniste sulla rossa e imbottita poltrona e incrociò le gambe. La cerimonia .poteva cominciare. Erano le undici e trenta. Il Segretario generale del nostro sindacato si fece avanti; mi precipitai ad abbassare l'asta del microfono e lo provai dando un colpetto che risuonò negli altoparlanti; e poi cedetti il posto. · · Cominciò a parlare dicendo che si doveva combattere il tribalismo. Mi veniva da ridere, visto che tutti e tre, il segretario generale del sindacato, il nuovo direttore e il presidente della Repubblica, venivano dalla stessa regione. E ho come l'idea che se venivo anch'io dalla stessa zona, oggi sarei io il direttore della fabbrica, con trecento bigliettoni in tasca. Ma attenzione, non si tratta di una critica, è normale che la direzione del paese sia nelle mani di chi proviene dalla regione e dall'etnia del presidente, visto che, in un paese come in un giardino, ci sono angoli che producono frutta e verdure migliori di altri. Ali' epoca in cui il presidente era uno della mia regione, quasi tutte le responsabilità politiche e amministrative erano nelle mani di persone della mia etnia. Adesso è il contrario. Normale. Sa, in Africa succede sempre che il genio e la competenza finiscano per fiorire nella regione e nell'etnia di chi detiene il potere. Sono stato testimonio di casi _dirivoluzionari esemplari che si sono trasformati ,iel giro di un paio d'ore in reazionari incalliti dopo un colpo di stato. Ma mi accorgo che sto ancora divagando, torniamo alla cerimonia. Il segretario era già arrivato alla fine del discorso; concluse gridando a pieni polmoni: - Viva il presidente del Comitato centrale del nostro.Partito che sarà nostro presidente a vita fino alla morte! È chiaro che io, zelante come al solito, approfittando del fatto che la mia voce poteva arrivare al microfono, mi misi a urlare con entusiasmo lo slogan del compagno segretario: - Fino alla morte nostro presidente, alla morte del presidente, a morte il presidente... E tutti presero a scandire in coro il mio slogan, con un calore particolare da parte dei pompisti funebri: - A morte il presidente, a morte il presidente, a morte il presidente ... I professori non gridavano, forse gelosi che a lanciare lo slogan fossi stato io, persona di istruzione elementare e per giunta semplice operaio. In ogni caso, sembravano per-plessi,come se non capissero cosa stava succedendo. Quei professori con me ce l'hanno sempre avuta. La prova? In occasione di una gara di poesia in fabbrica, in cui -ci avevano chiesto di commemorare il pio ricordo del nostro defunto presidente fondatore, avevo scritto, e lo dico in tutta modestia, la poesia migli?re di tutte. Eccone alcuni versi: · 66 ; · OmorteImmortale cadutosotto i colpimortali dei capitalisti-imperialisti La cellulan° 5, circoscrizione rossae rivoluzionaria per centoanni appoggerà il piano triennale per lo sviluppoeconomicoautocentrato... Ammirate le immagini, le allegorie, il movimento della parola "Immortali" che con baldanza abbraccia e soffoca la parola "mortali", come per negarla in un rapporto dialettico! Ebbene, i signori professori della giuria non videro niente di tutto ciò e la mia poesia venne respinta. Quindi non mi stupiva per niente che non apprezzassero lo slogan che avevo lanciato. Quel che non capivo, invece, era perché il compagno segretario del Partito mi fissava con uno sguardo feroce, anche se non avevo fatto altro che riprendere il suo slogan. Mi strappò il microfono di mano e urlò così forte che, per un istante, credetti che gli autoparlanti stessero per scoppiare: --,-Presidente a vita, a vita il presidente, a vita... Solo allora capii il mio errore. E raddoppiando di zelo per fare dimenticare la mia.svista, mi misi a urlare: - A vita il presidente, per l'eternità il nostro presidente, immortale il nostro presidente... . Finalmente il compagno Segretario si allontanò dal microfono lasciandomi un sorriso tirato. Uffa! L'avevo scampata bella. A riprova che, come tutte le cose, lo zelo deve essere misurato. Poi si fece avanti il nuovo direttore a fare l'elogio della Rivoluzione e del suo capo; esortò i lavoratori, dicendo che dovevano fare otto ore di lavoro e non otto ore sul lavoro, poiché chi non lavora non ha diritto alla paga. Tra me e me pensavo: sì, caro mio, anch'io sarei stato in grado di rendere omaggio alla rivoluzione bene quanto te se fossi stato io quello catapultato al posto di direttore; parla pure quanto ti pare, bello mio, ma che stai mai dicendo quando in realtà sono due o tre mesi.che non ci pagano, significa forse che anche chi ha l~vorato non ha diritto a Foto di Mik~ Wells (Camera Press/G. Neri).
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