Linea d'ombra - anno VIII - n. 48 - aprile 1990

Legqere.E'-arlarne. Virginiae altri MarioBarenghi È possibile insegnare il mesp.ere di scrittore? A una domanda del genere - posto che abbia un senso -ness\Dlo, credo, vorrà rispondere semplicemente di sì. Anche se non condividiamo l'idea (per fortuna fuori moda) che il poeta sia un essere alato e sacro, in-contatto con una superiore sfera di verità ed essenze ultime, nella nostra coscienza è ben radicata la convinzione che lo scrivere dipenda anche da una serie di fattori irrazionali, istintivi, da una naturale predisposizione-da un gusto nativo, undono: un 'talento' - qualcosa insomma che, se non si possiede, non ·c'è modo di comprare o di procacciarsi. Difficile sarebbe d'altro canto rispondere con un 'no' chiaro e semplice: certo, le qualità innate non si possono ingenerare a posteriori (a tanto'le manipolazioni genetiche non sono ancora pervenute), ma nessuno diventa scrittore solo perché ·possiede delle buone doti potenziali. Qualcosa, anzi, moltissimo, è necessario imparare: e di tutto quel che si deve imparare, non si capisce perché almeno una parte non possa divenire oggetto di insegnamento. Si tratterà forse del .'mestiere', appunto - di cognizioni pratiche, integrative, in un certo modo accessorie, perché insufficienti per se stesse: poco importa. Se anche a scrivere si impara, è legittimo che qualcuno si provi a insegnarlo. . • Meglio poi se questo qualcuno è consapevole dei limiti di ciò che fa, o meglio, di ciò che chiunque può fare, in tali condizioni. John Gardner, autore del volume On Becoming a Novelist, da poco edito da Marietti con il titolo Il mestiere dello scrittore (trad. di Cinzia Tafani; pp.200, L.16.000), ammette, con molta onestà, che ''un nutrito numero di comménti di insegnanti e editors, inclusi i miei" possono risultare "piuttosto sbagliati che giusti per il · singolo scrittore", o aspirante tale. Gardner, che è scomparso nell'82, ha tenuto per molti anni dei corsi di creative writing, e dalle numerose osservazioni che fa (quasi tutte piene di buon senso), nonché dall'insieme del suo discorso, si ricavano due impressioni principali. La prima è che fosse davvero un buon insegnante. A confermarlo è niente meno che • Raymond Carver, già suo allievo (come egli stesso racconta nell'introduzione) alla Chico State University nel 1958. Se la bravura di un maestro si misura sui risultati raggiunti dai discepoli, non c'è proprio nulla da dire. La seconda, piuttosto banale, è che il suo insegnamento doveva essere molto più utile e stimolante dal vivo, di quel che possa risultare da queste pagine. Chi tiene un corso di creative writing può infatti dimos!J"are la validità dei propri principi analizzando testi scritti direttamente dagli interlocutori, cioè dagli allievi; chi CONFRONTI scrive un libro sul mestiere di scrittore può solo esemplificare su testi scelti magari non proprio a caso, ma a cui il lettore è in buona sostanza indifferente. Diciamolo in maniera ancora più chiara: per insegnare a scrivere occorre essere un buon lettore, prima e più che un ·grande scrittore. Anzi, forse è meglio non essere affatto un grande scrittore ..Non so se Gardner lo sia stato o meno (non ho mai letto nulla di suo); lui stesso, d'altro canto, ~onisce circa ipericoli che uno scrittore può correre insegnando scrittura, giacché l'abitudine ali' analisi intellettuale rischia di condurlo ali' at:t:ofia. Da ciò si potrebbe ricavare una conclusione un po' paradossale,. ciÒè che le persone più abilitate a impartire corsi di creative writing dovrebbero essere dei lettori - o quanto meno, che alle lezioni teoriche di uno scrittore dovrebbero seguire esercitazioni pratiche tenute da non-scrittori. Ma è una sciocchezza, ovviamente, perché chi scrive (allievi compresi) può sempre mettersi nei panni di chi legge, se non è accecato dalla presunzione. Piuttosto, vale la peria di chiedersi se, più delle scuole di · creative writing (che probabilmente non conosceranno· mai in Italia la fortuna che hanno avuto negli Stati Uniti), non gioverebbe al benessere della cultura letteraria nazionale l'organizzazione di corsi di lettura. E questo, si badi, non perché (come viene ripetuto fino alla noia, confondendo lo scopo coi mezzi) creare dei buoni lettori sia il presupposto perché nascano dei buoni scrittori, ma perché la lettura è leonard e Virginia Woolf. davvero la cosa più importantè:il meritodei grançli scrittori consiste in fondonelprodurre delle positive (divertenti, conturbantig,ratificanti, multiformi, contraddittorie)esperienze di lettura. Quello che importa è lamusican, on lo spartito. Che poi non si dia l'una senza l'altro, e che nulla possa surrogarel'attivitàela funzione del compositore, è un'ovvietàs,ucui non mette conto insistere. L'espressione 'corsi di lettura',perlaverità,.è impropria e sa troppo discuolap; iùopportuno sarebbe invece pensareallacostituzione autonoma, spontanea e informaledi seminari autogestiti di lettori non professionisti. È un fatto che discutere con qualcunole p~oprie letture è un'esperienza piuttostorara,perchéè ·difficile che si leggano contèmporaneamen·te gli stessi libri. La sola, parzialeeccezioneè costituita dalle novità librarie,cheperònon sempre (quasi mai) ~ppassionanotanto da mettere in discussione le categoriefondamentali della nostra coscienza letterariaB. eninteso, esistono anche i puri monologhi:manonsono -· mai altrettanto istruttivi, e delresto è imbarazzante percepire quella lieve contrazionedei muscoli del collo di chi ci ascolta,appena esordiamo "Sai, mi sono messoa rileggere/. vicerè, o Sense andSensibility, oilsestodell' Iliade". Accade così che idiscorsifinisconoper cadere più volentieri suli'ultimofilmvistoda tutti, che sull 'ulti.Ìno libro lettodaciascuno:e l'esperienza della letturanonpuònonriuscupe in qualche maniera impoverita. A inibire lo scambio d'ideecontribuiscuen elemento su cui si è soffermatoanchePeter Bichsel nel volume Il lettore, il narrare ripro: posto qualche mese fa da Marcos y Marcos (trad. di Giorgio Messori e PeterSchramm, pp.116, L.12.000).Miriferiscoallacomponente ipnotica della lettura: alla sua capacitàd· i_ indurre uno stato di trasognamentoassorto, da cui a volte ci si stenta a riscuotere(e infatti,a quanto pare, l'incolumità dellettoreBichsel è messa seriamente a repentaglio,ognivoltache chiude un libro). Leggerenon è soltantoun'attività individuale: è un astrarsi,unestraniarsi fra onirico ed estatico dalmondochecicirconda; un rapimento (Gardnerparla di "sogno vivido e ininterrotto", concepitodall'autore,e reso, grazie ai procedimenti che egli cerca appunto di insegnare, condivisibildeaglialtri). Ora, l'esperienza della letturapuò,a seconda 1 dei casi, migliorare opeggiorareilrapportoèon la realtà; comunque sia, lo cambia, ed è in questo che occorre ricercare il suomaggiore pregio. · . _ Bichsel dichiara en passant che la· sola prospettiva d'un cambiamentoha di per se qualcosa di eversivo, giacchéscongiura(o tempera) il rischio di appiattirsisull'esistente. L'idea, non nuova, è naturalmentesempre valida; ma oggi come oggi suonaun tantino ottimistic.a, e perciò necessita,almenoa mio avviso, di un'integrazione. Ilbeneficioprodot- .to dalla lettura non sta solonellapossibilitàdi · modificare il proprio rapportoconlarealtà,ma anche, e prima ancora, di istituirneuno:cioè,se mi si passa il bisticcio, nel coglierela realtà come un insieme di rapporti(anzichécomeun caos indifferenziato, unamassagelatinosau, n 23

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