CONFRONTI Gli intellettuali progressisti e i loro difetti secondò un intelleHuale reazionario americano MarcelloFlores Dio sa se ci sia bisogno di sottoporre a critica gli intellettuali, di tenerli costantemente sotto tiro, di stigmatizzare le loro debolezze ed evidenziare le loro contraddizioni. La categoria, ampliatasi a dismisura in quantità e in potere, e dunque in presenza e arroganza, non è più oggetto da tempo di un '-analisi sistematica, che ne comprenda il ruolo e la funzione, i meccanismi dj comportamento e le modalità di legittimazione. Un libro di quasi cinquecento pagine, capace di raccontare "vizi e misfatti di una classe" poco amata e tuttavia continuamente vezzeggiata e blandita, perché indispensabile nel disciplinare e convincere la gente ad accettare il punto di vista del potere, sembrava dunque il benvenuto. Chi si fosse aspettato dall'opera di Paul Johnson, Gli Intellettuali (Longanesi, pp. 475, L. 32.000), un contributo stimolante, discutibile magari, ma capace di individuare i caratteri e le contraddizioni di quell'intellettuale laico che prende il posto, dalla fine del Settecento, dei pedagoghi clericali, sarebbe tuttavia incorso in una delusione cocente. Dopo quasi cinquecento pagine in cui si vivisezionano appassionatamente i comportamenti egoistici e sessisti, presuntuosi e taccagni, permalosi e ingrati, di personaggi del calibro di Rousseau e Ibsen, Marx e Tolstoj, Hemingway e Brecht, l'autore vorrebbe convincersi e convincerci che gli intellettuali ~onopeggiori di quella gente normale a cui spesso vogliono fare la predica e indicare il modo giusto di comportarsi. Se così fosse non sarebbe stata necessaria un'opera così ponderosa, visto che si tratta di un luogo comune che ha tutta l'evidenza e la fragilità, per l'appunto, dei luoghi comuni. Al nostro Johnson, tuttavia - che gode, singolarmente, del favore degli editori italiani: un altro suo voluminoso prodotto, una Storia del mondo moderno dal 1917 al 1980 di ben 820 pagine è stata tradotta recentemente negli Oscar Mondadori - non interessavano tutti gli intellettuali, categoria che neppure cerca di classificare, circoscrivere, comprendere. Ma solo un ristretto manipolo di intellettuali-simbolo, quelli generalmente considerati progressisti e che, nel loro agire pubblico, si sono pericolosamente espressi a favore del mutamento, della rivolta, della critica. Certo se ne sarebbero potuti trovare di altri, altrettanto scomodi quand'erano in vita e indifesi, adesso, dalla fregola voyeuristica di un giornalista inglese. Ma quelli prescelti bastano e avanzano, visto che l'unico interesse di questo lavoro, e la tesi che lo sottende dalla prima all'ultima riga, altro non è che la sottolineatura della incoerenza tra il comportamento privato degli intellettuali e il ruolo pubblico da loro stessi voluto svolgere. È probabile che gran parte delle accuse che Johnson muove ai suoi personaggi siano vere, anche se a proposito di quelli che Molroux porlo al Congresso degli scrittori per la libertà dello cultura, Parigi 1935 (foto di Dovid Seymour). 21
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