Linea d'ombra - anno VIII - n. 48 - aprile 1990

IL CONTESTO Ah,obesa Italia... Grazia Cherchi . Forse perché influenzata dalla lettura di un dattiloscritto ambientato in un reparto di obesi (anzi, di obese) diun ospedale di provincia, ecco che, quasi d'improvviso, mi accorgo che e 'è in circolazione un numero impressionante di obesi. Che, ad esempio, nei mezzi pubblici occupano un paio di posti ciascheduno. Si tratta perlopiù di donne, tra i venti e i quarant'anni, spesso, ma non sempre, meridionali d'origine. Anche tra i pochi bambiru che ancora allignano tra noi, sono molti gli obesi (a Venezia, apprendo, un bambino su quattro è in questo stato). Le vedi troneggiare, queste vittime dell 'ipernutrizione in tram o in metrò, in genere stringendosi addosso con cupidigia sacchetti di patate fritte. Ma il fenomeno dev'essere di massaseèvero,comehascrittomi pare Arbasino, che per il recente Fide/io alla Scala, per trovare comparse adatte a impersonare gli smunti prigionieri, si sia dovuto andarli a prendere a Varsavia (ma già anni fa per una riduzione teatrale di Se questo è un uomo di Levi il regista era alla disperazione non riuscendo a trovare aTorino dei magri adatti a popolare iÌ Lager). La spiegazione che comunemente sidàdi quest 'ingombrante presenza-in ascesa-di obesi nel nostro paese è che si tratta della conseguenza della fame patita in passato: di qui l'assalto all'un tempo mitico companatico: .e giù carrettate di merda tropicale, di dolciumi iperglicemici, di antipastini spappolafegato, ecc. ecc. (nei supermercati il venerdì sera si vedono carrelli così stracolmi da poter nutrire non una famiglia ma l'intero condominio). Ma forse la spiegazione è (anche) un'altra: si mangiano dolci in eccesso quando si hanno carenze affettive e si mangiucchia ad ogni piè sospinto quando non si sa cosa fare di se stessi nel Grande Vuoto di tutto: magari non.lo si avverte a livello di coscienza, ma lo si registra a livello fisiologico: il malessere da vuoto tinge e stinge infatti le nostre giornate. "Crack" fa il piccolo Budda 8 assiso vicino a me sul tram. E tritura in bocca quattro patatine alla vòlta. Alcune gli sfuggono dalla manona e cadono a terra. Mi fa imperiosamente cenno di raccogliergliele. "Crack" faccio io schiacciandole col piede mentre cerco di raggiungere l'uscita sgusciando tra due taglie forti. Ancora sul vuoto Eppure ci può anche essere un'utilità nel praticare il vuoto, come dicono questi versi di quel grande poeta che è Bert lt Brecht: Se al vuoto Se al vuoto anzi tempo mi volgo Ricolmo rientro dal vuoto. Quando pratico c.olniente Tomo, il mio compito, a saperlo. Quando amo, quando sento, Anche mi logoro, Io so. · Ma più tardi, dentro il gelo, Riarderò. (trad. di Franco Fortini, in. "L'immaginazione", sett-ott. '89) Tormenti d'oggi Vado a teatro (di prosa) non più di due-tre volte all'anno (amiAÒ ! . \JE,'fE<Zo-fUO Df MIG(\)QiTA ~ ci competenti mi assicurano che non perdo granché a non andarci di più). In queste occasioni già quando prendo posto sono in stato di preallarme, e sto in allarme per tutta la durata dello spettacolo. Durante il quale sono costretta a zittire una media di tre volte, sono redarguita degli zittii con improperi vari altrettante volte e per il resto del tempo sto a sorbirmi: i colpi di tosse (ma che dico? tutto il pubblico è sempre affetto a teatro da gravi forme di bronchite), le risate a sproposito (quelle scandalizzate sono le più intollerabili dato il linguaggio che la gente pratica abitualmente), ecc. ecc.• Vado al cinema un po' di più, diciamo una volta al mese, e qui prima di prender posto studio la platea onde evitare in primis i gruppi giovanili, che usano il film per chiacchierare a perdifiato dei fatti loro, e subito dopo le coppie di donne che usano sproloquiare, non a bassa voce, dei fatti del film. Ma queste cautele non bast.ano, data l'abitudine italica di entrare anche a proiezione iniziata. Quindi, se cambio posto una volta sola, mi è andata bene. Vado a un concerto una volta al trimestre: succede come alla prosa, con inmeno le risate e inpiù il gran scartocciare di caramelle. · Perché tutto questo baccano, questa costante distrazione eccitata? Forse una delle cause principali è l'abitudine alla Tv, guardando la Vignetta di Altan (Ouipos). Atv\/E:PI'510 Pos,~ cojotJE, : quale si chiacchiera anche d'altro, si sgranocchia o si sorseggia qualcosa e l'attenzione è sempre intermittennte. Di qui (anche di qui) verrebbe la disabitudine a partecipare in toto aquanto si vede o si sente, a farsi coinvolgere per più di qualche istante. C'è inoltre, ormai diffuso ovunque, l'odio e il timore per il silenzio, e infatti il suo opposto, il rumore, è diventato la compagnia prediletta (forse l'unica compagnia?). Non a caso l'unica frase che mi è rimasta impressa dell'ultimo film di Fellini è quella che dice alla fine Benigni: "Se ci fosse un po' di-silenzio, se tutti facessimo un po' di silenzio, forse qualcosa potremmo capire". A proposito di teatro, al punto in cui siamo meglio sarebbe tornare esplicitamente al Settecento quando, come documenta fior di letteratura, era· scontato che lo spettacolo sulla scena fosse in secondo piano rispetto a quello tra il pubblico: si entrava e si usciva a piacimento durante la rappresentazione, nei palchi si mangiava, beveva e amoreggiava alacremente. Solo ogni tanto, tra un bon mot e l'altro, si puntava l'occhialino anche sul palcoscenico. Un Diario tutto da leggere Studio Editoriale (SE) ha meritoriamente ristampato il Diario (1887-1910) di Jules Renard. Eccone qualche assaggio: "28 maggio 1891: Presentato ieri a Mendés. Mi dice: 'Avete un romanzo? Portatemelo subito: ve lo pubblicherò tra cinque o sei anni"; "28 aprile 1893: Lo so: tutti i grandi uomini, in principio, furono incompresi; ma io non sono un grande uomo e vorrei essere compreso subito"; "l gennaio 1894: Cosa preparate di bello adesso, caro maestro? 'llmiotestamento', risponde Goncourt"; ''22 luglio 1894: Jules Renard, un Maupassant da taschino"; "1 marzo 1898: Mallarmé è intraducibile anche in francese"; "28dicembre 1903:Che stupidaggine chiamarlo Teatro del Popolo! Chiamatelo Teatro degli Aristocratici, e il popolo ci andrà"; "25 giugno 1906: Poeta nuovo. Tenete bene amente questo nome, perché non se ne parlerà più"; "l gittgno 1907: 'Ecco', diceva Vietor Hugo, 'andrò fra i due eserciti, •offrirò il mio petto ai proiettili, sarò ucciso e così l'assedio sarà finito ...'. 'Sarà finito per voi', rispondeva Scholl"; "22 agosto 1907: Occorre scrivere come si parla, se si parla bene". ·

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==