Linea d'ombra - anno VIII - n. 47 - marzo 1990

TEATRO PROVIAMO A FARE f CONTI IL"CASO" RANDONE StefanoDeMattei$ Salvo Randone fa un appello pubblico: non è il primo artista a denunciare le difficoltà materiali della propria condizione, né l'ultimo, perché a poca distanza lo segue Pupella Maggio dichiarando le fatiche del lavoro teatrale oltre una certa età. Subito i giornalisti si scatenano e aprendo le porte alle chiacchiere da pianerottolo, ai paragoni con il papà, lo zio carabiniere, i cugini màestri e tutti gli altri parenti custodi e guardamacchine. Si fanno prospezioni e proiezioni, preventivi e consuntivi, si cal-- colano le pensioni e i risparmi, le paghe, le spese, i costi: in una parola si fanno i conti in tasca. Proviamo anche noi a fare dei conti, ma non in tasca al grande Randone; facciamo una volta tanto conti che non sono economici, ma come si diceva una volta, "culturali", e facciamoli senza neanche dare un nome al ·Grande Attore di cui ci occùpiamo. Vediamo. È una persona di Sono entrato in arte molto giovane, lamia carriera teatrale ebbe inizio sotto i migliori auspici perché allora i "maestri" non mancavano. Infatti ebbi la fortuna di stare in compagnia e di seguire per periodi in verità non molto lunghi i due grandi attori di quel tempo: voglio dire Zacconi e Ruggeri. Ciascuno di loro, e per temperamento e per mestiere, da solo poteva essere il maestro di una intera generazione. Però spesso la grandezza non si accompagna con la predispo.s_izionenaturale che esige l'essere maestri: direi che questi_ fo~dabili interpreti erano maestri loro malgrado. Si può dire che fossero dei maestri elettivi, che influenzavano•i giovani, più che con il loro insegnamento, con il loro esempio. Se provq a guardare indietro, agli anni della rriia formazione professionale, devo ammettere che i primi esempi che mi si presentarono davanti erano tali che il mio istinto subito mi suggeriva di non imitarli. La verità è che a iniziareuna carriera artistica,soprattuttoquella dell'attore, una volta ci spingevano impulsi vari da cui non erano estranei infatuazioni e velleità. Chi non nàSceva figlio d'arte, doveva vincere molte resistenze e abbattere la . barriera del conformismo borghese: per fare ciò occorreva coraggio, una buona dose d'incoscienza e magari un generico e romantico anelito di rivolta. Ma per uno che si santificava, cento finivano all'inferno, oppure rinunciavano. Non mancavano insomma prove duris·sime:ma quando una vocazione resiste~ va, era una cosa seria. Non voglio sostenere che oggi gli inizi di un giovane siano più facili, però molto è cambiato in virtù· del cinema e soprattutto della ~levisione. Per quanto riguarda le mie interpretazioni, non vorrei parlarne perché non saprei su quale soffermarmi, dal teatro classico a quello borghese. circaottantacinqueanni,dellagenerazionedella Borboni o di Eduardo (entrambi classe 1900), di Paolo Stoppa (1906) eccetera, nata con i · primi anni del secolo, e il cui profilo è presto fatto: partecipazione acompagnie primattorali. Il nostro Attore frequenta Ninchi, Melato, Musco, Zacconi, Ruggeri, i "maestri", la generazione che funziona da anello di congiunzione con il passato se non con un altro secolo, l 'Ottocento. A questa fa seguito, con ruoli più -importanti, il lavoro in compagnie come quelle di Benassi o la partecipazione a "sperimentazioni" come quelle di Bragaglia. Con il dopoguerra, cambio della guardia; ed ecco che il nostro Attore fonda una compagnia propria e entra stabilmente in ditta per compagnie di · primo livello. Dal profilo generazionale alla mentalità _attorica e recitativa il passo è breve: il teatro e il palcoscenico vengono al primo posto, la PRIMATTORE SalvòRondone Forse vale la pena ricordare il mio sodalizio con Ugo Betti, che scrisse più di un lavoro tenendo presente me interprete: e Betti mi dedicò un profilo che ritengo tra le cose migliori scritte sul mio conto specie se si tiene presente che risale a una ventina d'anni fa. Forse merita un certo rilievo il fatto che in questi ultimi anni lo strapotere del regista in -seno allo spettacolo sta venendo meno. Direi che tra regista e attore sarebbe auspicabile una maggiore q>llaborazione: ma com'è possibile _ottenerla? Forse non si può generalizzare, occorre risolvere caso per caso. In_ ogni modo ritengo che se ancora dovesse esistere unmattatore per la salvezza del teatro, è bene che sia l'attore non il regista. Non voglio nulla togliere all'importanza spesso determinante della regia: però è bene qualche volta ripensare con semplicità a ciò che veramente è il teatro e al rapporto che esiste dall'origine tra testo-attore-pubblico: da questo rapporto primigenio il regista è escluso. Una constatazione da cui non vogliamo trarre nessuna drastica conseguenza: essa però è illuminante. Oggi, d'accordo, il teatro non può più fare ameno della regia che si è inserita come quarto elemento (o quintò, o sesto?): però questo fatto non autorizza il regista a rompere - · l'armonia assumendo una posizione di forza, quasi di sopraffazione, che finisce semprè col. risolversi a danno dello spettacolo. L'attore è l'unico tramite tra·il testo e il pubblico; è l'attore a rispondere di persona verso il pubblico e infine è lui il vero alleato, il viscerale alleato mondanità è ridotta al nomadismo, la famiglia è spesso "d'arte" nel senso che il privato coin' cide con il lavoro. La devozione al teatro è totale e le idee capocomicali incanalano l 'investimento su se stessi e sulla famiglia come autori e produttori, forze riconoscibili e riconosciute. Le capacità recitàtive, la familiarità con la scena e con l'edificio-teatro in genere, sono il nesso che collega i frammenti di una vita racchiusa in sé, vissuta senza distrazioni e con poca influenza degli "estranei". Da qui il rapporto quasi morboso, spesso intimo con certi autori (Pirandello ·ad esempio, che per una intera generazione di attori ha il valore di confessione, di messa a nudo, di svelamento di un modo di pensare e fare il teatro che era considerato come qualcosa di nascosto, segreto, misterioso) e anche la frequentazione di certi personag'gi, luoghi di un eterno ritorno, di scavo e de{inizione fatti a più riprese nel corso della carriera. Una mentalità, quindi, che per dirla con un tema divenuto slogan, è "all'antica italiana" come piaceva a Tofano, dove il teatro non era né organizzazione (compagnia, stabile, sovvenzioni, eccetera) né luogo del comizio, bensì solo spazio privilegiato del dialogo. Questo tipo di teatro stabiliva una relazione primaria con il pubblico, umore da seguire e interpretare e spesso da inseguire. Quindi: il dell'autore. O mi sbaglio? Ho lavorato alla televisione in più di quaranta lavori, tra i quali Frana allo scalo nord di Betti, Il piacere dell'onestà di Pirandello, Saul di Alfieri e Re Lear di Shakespeare; e questi lavori li ho interpretati quando ancora non esisteva l'ampex, ossia in presa diretta: voglio intendere che alla televisione ho dato molto sangue e.molto fiato. Resta il fatto della notorietà che la Tv distribuisce facilmente, tant'è vero che una volta un attore doveva faticare tutta la vita per· raggiungerla, mentre oggi i giovani-se h-an- .no la fortuna di ricoprire qualche ruolo importante in un teleromanzo-ottengono lo stesso risultato nel giro di poche settimane. Ed è pertanto comprensibile se poi questi giovani attori si avvicinano al teatro decisi a bruciare le tappe, formano compagnie, si autoproclamano primi· attori, e qualche volta il· gioco riesce: ma spesso l'esperienza teatrale si risolve in una cocente delusione. Nel.cinema accade la stessa cosa e sono pochi coloro che si rendono conto che si può essere popolari attori del cinema senza per questo riclùamar gertte a teatro, che non ha nulla a che vedere col cinema. Io ho lavorato in parecchi film: però a parte/ giorni contali di Elio Petri, nel quale ero il protagonista, si è sempre trattato di partecipazioni più o meno importanti inquanto considero il cinema un' attività che raramente può dare le soddisfazioni che un attore di teatro si ripromette. La soggezione al regista è troppo forte e il margine di autonomia per l'attore è quasi sempre ridotto al minimo. In ogni modo non sta a me parlare di questo argomento: le mie partecipazioni sono ~tate sempre marginali. (Diclùarazioni raccolte da Stefano De Matteis per "Sipario", n. 404, 1980). 91

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