Linea d'ombra - anno VIII - n. 47 - marzo 1990

. SUSSURRIE STRIDA L'ULTIMOFELLINI. PaoloMereghetti Tra i tanti modi in cui è possibile invecchiare, Fellini sembra aver scelto quello migliore: liberando quanta più disperazione gli riusciva. Perché con buona pace dei saputelli che l'hanno applaudito travisandolo (tutti pronti a inneggiare a un presunto poetico candore) La voc~ della luna è prima di tutto ùn film rabbioso, iroso, sdegnato, verrebbe voglia di dire (esagerando) 11nfilm non riconciliato. Che lunare distanza dalla ,compiaciuta senilità di Cinger e Fred, da quel senso di spaesamento che vi si respirava fino a restarne intorpiditi e un po• annebbiati! Che salto di qualità dalle funeree impotenze di chi osserva, e subisce, dal parapetto di una nave che va, la fine di una civiltà! . La voce della luna è la messa in immagini della mostruosità del nostro mondo, in cui non si riesce più a distinguere tra.buoni e cattivi, simpatici e antipatici (matti o sani che siano) e in cui soprattutto non si riesce più a trovare un senso e una qualche forma di logica o, meno ancora, dhazionalità. E la prima vistosa conseguenza (stilistica e interpretativa) è lamancanza di linearità nel racconto: Ivo Salvini, questo "pinocchietto leopardiano" che qualche volta sembra eccessivamente influenzato dalla stramberia emiliano-romagnola, non compie nessun viaggio, non va da nessuna parte, piuttosto gira in· ton~fo. entra ed esce dalle stesse quinte, rinchiuso in un labirinto di cui però non riesce nemmeno a capire la pericolosità. Fellini cancella d'un colpo quel tipo di narrazione che aveva contraddistinto i suoi ultimi film, da novella breve, e che finivano per ridursi a una "gallena di mostri" colorati ma superficiali, spesso uguali a se stessi, dove mutava solo la tela di fondo (ora il circo, ora la lirica, la . televisione, il cinema, e via di. questo passo). CINEMA Con un violento colpo di reni ribalta molto.del suo ultimo cinema perèhéhacapito, o ha deciso di dirlo, che "mostruoso" è il mondo, non.solo alcuni dei suoi abitanti. Non c'è più tempo per la nostalgia di altri tempi e di più giovani età; Fellini per primo non crede più al sogno di armonia che la gioventù (o il suo ricordo) portava con sé. E infatti non sono mai stàti così numerosi nei suoi film i personaggi che hanno il mondo in gran dispitto. A partire dal prefetto Gonella, ossessionato da una paranoia che vorremmo definire "sociale" (quei vecchi suadenti che vogliono addormentarlo nell'abbraccio della terza età non somigliano forse ai miraggi di una vecchiaia felice profetizzati dai venditori di assicurazioni e dai consulenti finanziari?), angosciato dal resto del genere umano, ma anche capace di apprezzare· l'odore di rivolta. Per continuare con tutta quella galleria di irosi, livorosi, imprecanti, che accompagnano quasi tutte le scene del film. È vero nella Voce della luna ci sono anche 'momenti di calma apparente, angoli familiari dove rintanarsi in silenzio, ma danno come l'impressione di scenette posticce (e a volte superflue) la cui funzione sembra essere quella di stemperare e 'edulcorareun po' la disperazione che si respira nel resto dl film. Come se 16 stessò Fellini si fosse spaventato di ~ver·tra le mani un'opera tanto disagiata e avesse avuto paura di questa sua impietosa panoramica nazionale. . Così come le famose "immagini di marca'' del cinema: felliniano, le ossessioni diventate ormai luoghi comuni dell'immaginario, dalla donna che si fa guardare mentre si spoglia alla · commessa che nasconde la più vulcanica voracità sessuale, non hanno più nella Voce della luna quell'aura fascinosa che possedev.ano,per esempio, inAmarcord: sono scene sempre più laide (laziachefalo spogliarello) o sempre più eccessive ( la manicure-vaporiera), sprovviste comunque di quella dolcezza che altrove innescava il sorriso o la nostalgia:.E anche il borgo sirnil-romagnolo ha perso del tutto le sue connotazioni sentimentali e domestiche: .se in Ainarcord c'era il succedersi delle stagioni a vivificare la vita della comunità e a ricordare il suo svolgersi nella storia, qui c'è sÒlo un monotono ripetersi di notti e giorni sempre uguali, ugualmente atemporali, dove meglio risaltano la volgarità delle gnoccate e dei dibattiti ecumenici, la confusione della piazza che non è più centro di niente, l'agghiacciante disumanità che anima la discoteca come una volta gli schiavi nelle viscere di_Metropolis ... Se c'è qualcosa che Fellini ha voluto comunicarci con questo suo film è proprio il suo orrore per tutte le voci della realtà; il suo disagio per doversi muovere in un mondo in-cuinon bastano certo le poesie di Leopardi per aiutarci a sopravvivere. E per la prima volta'( ci sembra) questo regista così sicuro della sua unicità rende omaggio a due irriducibili del cinema italiano, il Citti di Mortacci e il Pasolini delle lucciole (oltre a un terzo, particolarissimo, al fondoschiena di Berlusconi, nella gustosa scenetta del pranzo di nozze in osteria), come a sottolineare maggiormente questa sua nuova stagione. Certo Fellini si ferma qui, alla disperata fotografia- di una mediocrità che sembra non finire mai, ma con una t'orzavisiva straordinaria (come nella scena della discoteca-fabbrica o in quella, agghiacciante, della festa della gnoccata) che comunque non lascia più spazio a ness\Jflmar,ginedi ripensamento o di recupero: o ci si accontenta di passar la propria giornata a guardare la lavatrice girare, come fa Nestore, oppure non si può che condividere la follia di Salvini o Gonella. Gli altri, dai vigli lungocriniti ai motociclisti allupati, dalle aspiranti miss ai microzar televisivi, dai cacciatori di lune ai suonatori di flauto, non sono certo esempi possibili. Nemmeno se per miracolo smettessero tutti di berciare .

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