Linea d'ombra - anno VIII - n. 47 - marzo 1990

mandareal governo. Ma esiste un'espropriazione più profonda e, per così dire, preliminare: se i partiti si presentano come gusci vuoti dotati di ferree strutture di potere in tutti gli ambiti della società, ma di programmi contraddittori, indistinti e mutevoli, decideredi votare per l'uno o per l'altro diventa quasi un azzardo. Anchequandogli elettori fosserochiamati a scegliere tra due sole coalizionfe potessero premiare una di esse mandandolaal governo, resterebbepur sempre il dubbio:per quale politica? Il problema, tutt'altro che immaginario, si porrà tra breve alle prossime elezioni amministrative dove i partiti, salvo qualche eccezione, si presenteranno agli elettori più o meno con gli stessi programmi, senza dare però alcuna garanzia di condividerli davvero. La questionesi complica ancora di più quando'i partiti sonodivisi in correnti (è il caso dell'attuale Dc) che perseguono politiche del tutto opposte. . In tale situazione l'unico tipo di comportamento elettorale veramenterazionale è quello basato su calcoli di tipo clientelare. Gli elettori che praticano il cosiddettovoto di scambio-sonoi soti amuoversia loroagio: sono ingradodi prevedereragionevolmente quali benefici possono aspettarsi votando per ru:i datopartito o, meglio,perun dato candidato.L'ambiguità deipartiti non li tocca, anzi è il terreno su cui fondano le loro certezze. In maggiori difficoltàsi trovano coloro che esprimono un votodi appartenenza. Essipossonoancora contaresui,simboliconsueti (generalmentecollocatinellaposizione consuetasulla schedaelettorale),mà si rendono confusamente conto che lo scudo-crociato o la falce-emartellonon sono più quelli di prima, non li garantisconopiù del tutto. Il, disagio è massimo per coloro che esprimono un voto d'opinione (che sono una minoranza, ma che proprio per questo andrebbetutelata).Essi sannochequalunquepartito essi scelgano di votare, esso finirà per assumere posizioni che sono per loro assolutamente inaccettabili. Temono che dietro la facciata dei programmi si nascondano interessi non dichiarati e che le future sceltesulpiano degli equilibripossanodistorcereinesorabilmente le opzioni sui contenuti. Negli ultimi anni molti di loro, approfittando del fatto che per ogni elezioni si devono compilare più schede (addirittura quattro alle amministrative nei grandi comuni), hannoscelto di distribuire i loro voti su liste diverse,ubbidendo ad una sorta di imperativoautarchicodel tipo: "fatevi da voi il vostro partito preferito". Non so quanto siano diffusi questi comportamenti.Essi esprimono comunque, sia pure con i mezzi rudimentali che i meccanismi elettorali consentono, un'evidente critica pratica dell'attuai~ geografiapartitica. . Si diràche un ragionamentodi questo genere è troppoelitario. Che le distinzioni tradizionali tra i partiti sono ancora fonte di identità per larghi strati della popolazione. Che le appartenenz~ ideologicheresistono. Che, insomma, fa sfasatura tra i "nomi" e le "cose" non è cos1generalmenteavvertita.Mi sembradel resto che preoccupazionidi questo generenon siano estranee a coloro che, nel Pci, militano nel "fronte del no". Se queste obiezioni sono fondate, e credo che lo siano, esse rivelano come in Italia si sia consumata una lacerazione dràmmatica tra le élites politiche annidate nelle istituzioni, ormai accomunate dalla logica degli equilibri e degli scambi, e rilevanti settori della popolazione ancora catturati entro antiche lealtà. Ma molte cose stanno cambiando anche su quest'ultimo versante. Se si mantengono le appartenenze, crescono anche gli sradicamenti, le estraneità, le apatie.E ancora:perché nel Pci non si è verificataun'insurrezione generalecontro la proposta di Occhetto di abolire anchegli ultimi legami simbolici con la tradizione? In realtà la logica delle appartenenze è ormai strettamente imparentatacon la logica degli schieramentidi potere.Non è sulle appartenenzeche si fonda la lottizzazione?E come distinguere le IL CONTESTO appartenenze buone (le fedi) dalle appartenenze cattive (le cosche)? Il c.,_onfineche le separa è molto meno netto di quello che spessosicrede.Le une si trasmutanoimpercettibihnentenellealtre con grande scioltezza. Forse è sempre stato così. Ma oggi si ha l'impressione che le secondeabbiano finitoperprendereil sopravvento sulle prime deviandole e strumentalizzandole,senza che si riesca sempre a capire quando il passaggio è stato compiuto. La logicadelle appartenenzerischia così di assecondarela conservazione, la pura conferma dell'attuale geografia dei partiti. Di ·privilegiare la sfera degli equilibri contro quella delle scel.te,la . sfera dei "nomi" contro quella delle "cose". Finora la sinistra istituzionale è stata ampiamente attratta da questa logica. L'ha vissutacomeuna garanziae come una fonte di certezza.Tanto nei sindacati, quanto nelle giunte, nei giornali o nelle reti televisive. Ma è ormai difficile pensare di fare qualche passo avanti senza romperla in qualche punto. Il problema non può più essere quello di realizzare nuove alleanze dentro l'assetto partitico esistente, accettandone il vuoto di contenuti e il pieno,di potere. Bisogna insinuare dei cunei, in nome di qualcosa. E significativo che l'unico processodi questogenereche si è realizzatofinorain Italia sia avvenuto in una città come Palermo, in cui i problemi (le "cose") si manifestavano nel modo più drammatico e atroce. Il fatto che alla guida di questa esperienza si sia posto un esponente democristianoconferma ancora una volta la fragilitàdelle distinzioni basate sui "nomi". La proposta di Occhetto è stata letta dagli oppositori interni -come una pericolosa spinta all'omologazione del Pci. Questa preoccupazionenon è infondataanche se gli esponentidel "fronte del no" sembrano non rendersi conto che il patrimonio storicodel Pci da molti anni non è più in grado di garantire nulla di preciso circa le scelte effettive del partito, mentre tende piuttosto a funzionare da copertura o da alibi per le opzioni più disparate e compromissorie. Qui vorremmo semplicemente segnalare, alla luce dell'analisi svolta, una valenza di segno opposto. Riconoscendo l'improponibilità di una delle fondamentali discriminanti storichesu cui si è costituita la geografia·partitica italiana, dichiarando estinta una (finora potentissima) sfera di appartenenza, la svolta di Occhetto si muove contro corrente rispetto all'assetto stabilizzatodeipartiti italiani.Mostrache, comelaYaltadegli stati europei, anche la Yalta dei partiti italiani fiorrregge più. Non sappiamose la breccia apertadaOcchetto siadestinataadallargarsi; né se la caduta delle gabbie simboliche permetterà di spostare l'attenzione sul merito dellequestioni su cui oggi è necessarioche una "sinistra" (qualunque essa sia) si separi da una "destra" (da chiunque sia formata). Ma il problema è stato posto. È già qualcosa. · Disegno di Daniele Meloni. 7

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