CINEMA Furio Scarpelli in una loto di Fabio Mantovan i 1988). veniva raccolto dalla Commedia, ma usato, se così si può dire, • parodisticamente. Per esempio il "kingvidorismo" di De Sica e Zavattini quando mettevano in scena moltitudini che elevavano cori di speranza al cielo, all'arcobaleno, al pane quotidiano, con accompagnamento di musichette carine. E dunque, parrebbe che chi voglia riferirsi davvero a quel cinema, dovrà prima di tutto acchiapparne oltre all'itinerario anche il metodo - naturalmente per rielaborarli come si vuole - e non limitarsi a considerare la realizzazione compiuta. Un esaminando, agli esami di ammissione al Centro Sperimentale di Cinematografia dichiarò che voleva imparare a fare il c.inemadi Hitchcock. L'esaminatore gli chiese se conosceva tutto l' itinerario culturale e creativo di Hitchcock, dagli studi di scenografia della UFA tedesca fino a Hollywood. L'allievo rispose che non riteneva necessario conoscere certi particolari, l'importante sono i risultati, di cui chiunque può far uso. Difficile spiegargli perché aveva fondamentalmente torto; intanto perché un esame non è una lezione, e poi di quale natura era il suo torto? Con molto piacere, di un giovane autore, Giorgio Molteni, abbiamo letto: "cerco di raccontare la vita, momenti e personaggi che conosco, altrimenti sono incapace". Così si ragiona. Purché si continui ad andare incontro a ciò che si deve conoscere, purché non ci si incateni alla macchina da presa. Ci si dovesse limitare a conoscere le due o tre persone da rendere protagoniste di un film, per il fabbisogno di una intera carriera, tenuto conto che qualcuna la si può ripetere, basterebbe far la conoscenza d'una ventina di persone. Conoscere non dovrebbe essere una manìa perpetua che prescinde da quella delle riprese? C'è chi limita la conoscenza per poter restare il più vicino possibile a se stesso, meno siamo, più importanti sembriamo. E c'è invece chi possiede il dono di rendere personaggio ogni persona della sua vita e in cui si imbatte. Si tratta di una particolarità costituita, beninteso, anche da una 84 certa dose di ironia (senza la quale si può far poco, l'assenza di ironia fa apparire tosta qualsiasi impresa floscia, perciò in un certo senso tranquillizza), di un 'attitudine che è da intendersi più intrisa d'amore che di cinismo professionistico. Può dare una mano, a chi non abbia questa attitudine, o ce l'abbia poco · sviluppata, appunto, l'arte della lettura .. Arte che deve essere praticata con contentezza assoluta, con intensità e convinzione affinché susciti emozione emulativa e creativa, altrimenti meglio lasciar perdere. • È quasi possibile cacciare indietro ogni ricordo personale del periodo antidiluviano cui si è accennato, uno almeno rispolveriamolo. Prendiamo il film/ Compagni. Per immaginarlo e scriverlo Monicelli, Age e io andammo a Torino a far visita a certi vecchissimi operai che avevano partecipato a lotte di fabbrica all'inizio del secolo e che stavano consumando gli sgoccioli della loro vita in una grigia casa di riposo. Momenti, quelli, infinitamente più rilevanti. ed emozionanti di qualsiasi storia filmata o scritta. Ci venne la vergogna di esistere, la tentazione qi lasciar perdere quel film, forse di lasciar perdere il cinema, o di tornare a fare storie per far ridere (proprio in quel periodo, del resto, vagheggiavamo un Bouvard e Pécuchet con Totò e Peppino, - peraltro assolutamente rigoroso). Ecco, quegli incontri di Torino e, tra le altre letture, quella di Guilloux, lo scrittore di cui Camus diceva che era impossibile leggerlo senza che gli occhi si riempissero di lacrime, che non il riferimento al cinematografismo sociale americano e russo. Norma Rae dì Martin Ritt, il nostro caro MartinRitt (quello de Il prestanome, chapeau) uscì dopo, altrimenti.sì, una sbir.ciatinaa quella fabbrica l'avremmo data, ma sempre in quanto storia, storiona politica, con quel bellissimo amore impossibile fra i due protagonisti. Com'è facile parlare del passato, si sa. Il tempo è saggistico e creativo, rivela con precisione le complessità. I bizantini ritenevano di essere dei cittadini normali, non sapevano di essere arzigogolati. E dunque è difficile dire adesso che aspetto va assumendo quel po' di cinema italiano che viene fatto. Delle intenzioni, come ognuno sa, stanno venendo fuori. Prima le intenzioni, un possibile progetto, poi al lavoro: la prassi sembra corretta. Ma dovrà essere sviluppato uno spirito narrativo puro, incosciente e pieno soltanto di sé. E forse ci si dovrà disintossicare dalla pos~ibile smania ottenebrànte di diventare subito illustre cineasti. E questione di poco conto quella dell'anonimato totale degli sceneggiatori degli anni Cinquanta, Sessanta, e il semi-anonimato dei registi? QUANDOMUORElA MADRE StefanoRulli Uno addetto all'inumazione dei cadaveri, di sé non dice mai: "lo sono un becchino" ma "lavoro al èimitero". Una domestica di sé non dice mai: "sono una donna di servizio" ma "lavoro presso una famiglia". Uno spazzino di sé non dice mai: "Sono uno spazzino" ma "lavoro per il Comune". · Allo stesso m9(lo, di me non dico mai: "Sono uno sceneggiatore" ma "mi occupo di cinema". Non è solo perché non identifico la mia vita con il lavoro che faccio. Ma perché in questi anni la scrittura cinematografica è stata solo una parte del mio rapporto con il cinema: e mi piace l'idea di poter scrivere ancora attorno ai film degli altri, di tornare dietro la macchina d<!.presa per filmare la realtà, o magari invece di fare un salto in avanti, passare alla
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