Linea d'ombra - anno VIII - n. 47 - marzo 1990

CINEMA spontaneo concludere che, sì, gli sceneggiatori esistono ma sarebbero potuti essere semplicemente soltanto degli scrittori; che questa è la loro vera vocazione, con risultati non dissimili, nel bene e nel meno bene, dai coevi scrittori patentati; che per loro il cinema è un mezzo (e si sente) il quale qualche volta fi~isce persino con l'essere un po' trascurato. Gli sceneggiatori esistono. E continuano a esistere. Per anni si è (giustamente) pensato che i grandi nomi citati in precedenza, e qualche altro ancora, fossero riusciti a fare quadrato, a monopolizzare il cinema italiano, spartendosi giudiziosamente generi e tendenze, e quasi mai uscendo dal recinto che si erano attribuiti (o, per carità, che avevano meritatamente conquistato). Né il cinema politico militante, né il cinema di immediato consumo evasivo erano riusciti a fare breccia, e nemmeno -'-- apparentemente - i giovani più o meno scalpitanti. Poi, un po' per dolorose defezioni, un po' per stanchezze subentranti, la corporazione ha preso a rinnovarsi. Verrebbe voglia di pensare che la cosa sia avvenuta dopo che uno dei "grandi vecchi", Ugo Pirro, ha rivelato in pubblico i segreti del proprio mestiere con il libro-romanw Per scrivere un film (Rizzali, 1982) se l'affermazione non fosse un controsenso: come potrebbe indurre a dedicarsi alla nobile arte un libro che fa leva su sproloqui e mezzucci e che non trova miglior - soggetto ipotetico da proporre che un fabliau dal significativo titolo Il cavaliere che faceva parlar(! le fiche? A compilare un elenco forse non esaustivo degli sceneggiatori della nuova leva, di coloro che hanno cominciato a lavorare nel cinema alla fine degli anni Settanta (in coincidenza con la crisi delle sale e con il rinnovamento dello spettacolo americano), ci ha provato Emanuela Martini ai primi dell'87 (cfr. "Cineforum" n. 261) e ne è uscita una curiosa lista eterogenea che val la pena di riportare: Carla Apuzzo; Franco Calabrese, Gino Capone, Fabio Carlini, Vincenzo Cerami, Cristina Comencini, Luciano De Crescenzo, Graziano Diana, Franco Ferrini, Bruno Fontana, Claudio Fragasso, Lara Fremder, Gennaro Fucile, Giovanni Lombardo Radice, Guido Manuli, Roberta Mazzoni, Enzo Monteleone, Silvia Napolitano, Sergio Nasca, Enrico Oldoini, Anna Pavignano, Elvio Porta, Marco Risi, Gianni Romoli, Giuseppe Tomatore, Laura Toscano, Carlo Vanzina, Enrico Vanzina. A tre anni di distanza qualche nome è già caduto, qualcun altro si è aggiunto, e ovviamente anche nell'elenco ci sono delle sproporzioni, come tra chi lavora per la ditta Vanzina e clii collabora con il filmaker Paolo Rosa. A controllare le relative filmografie, a meditare sui titoli, a riflettere sulle coincidenze, ci si accorge comunque che il nuovo drappello di "nuovo" porta spesso soltanto l'aggettivo: eccezioni a parte, lo spazio che si è cr~ato è quello Disegno di Furio Scarpelli. Q, Sce1w3:fafu 'w, dc AGE .Continenza, VMetz · .Scarpelli della commediol,a di genere o sottogenere o, all'altro estremo, quello delle ambizioni eccessive e spesso disattese. Senza dimenticare che i migliori risultati (o quelli definibili tali a sapersi accontentare) nascono ultimamente quasi sempre dalla marca del regista, compaia o no egli stesso come scenèggiatm;e. · Forse fra qualche decennio, quando saranno resi disponibili i testi (o i pre-testi), saremo in grado di giudicare le qualità letterarie e strutturali di queste recenti sceneggiature, ma per il momento la,,sensazione generale è che si proceda in parallelo al riflusso (o all'inconsistenza) della nostra narrativa. Lungi dal1'appellarci alle ragioni dell'arte, sono proprio i riflessi della vita a risultare la componente più carente, e non sarà facile il compito dei futuri storici che volessero indagare gli anni Ottanta sulla scorta dei relativi film: le azioni, i comportamenti, le parlate, i dettagli già oggi stentiamo a riconoscerli come appartenenti alla nostra epoca; li ritroviamo più facilmente come conio o plagio dei telefilm americani. O come letteratura, n~l senso comune del termine, perché viene da pensare che essere sceneggiatori oggi significhi essere stati, oltre che buoni spettatori, anche buoni lettori (magari inanonime e frettolose traduzioni), ma certamente non frequentatori di ambienti veri, ascoltatori di dialoghi spontanei e tantomeno protagonisti di una vita autenticamente vissuta. Gli sceneggiatori esistono. E hanno anche voglia di parlare. Specie i più giovani, come nota compiaciuto il vecchio Furio Scarpelli: "Alla loro età non avrei avuto nessuna capacità ·di affrontare l'intervista di un quotidiano, mi sarei buttato dalla finestra (con Age, scrivevamo, insultatissimi dalla critica, film per Totò)". Scarpelli si riferisce a11n'inchiesta (apparsa quest'estate su "L'Unità") tra gli autori delle storie del "giovane cinema", per capire "come è cambiato il modo di scrivere film in Italia". E, quanto a parlare, gli intervistati parlano bene, un po' come i loro predecessori alla fine della carriera, ma già questo fatto mette un poco in sospetto. Teorizzare un lavoro dopo tre o quattro esperienze (è la media) presenta qualche rischio, anche perché le piccole filmografie sono già tutte non lineari, con denunce di compromessi, cessioni o pentimenti. Dice Franco Bernini (Notte italiana, Domani accadrà, La. . romana,// prete bello): "Si scrive per essere testimoni di un' epoca, per ribadire la soggettività della fantasia, per dei legami d'affetto con l'oggetto raccontato. Non vorrei sembrare presuntuoso, ma credo di essere già scrittore, nel senso che scrivere un film è una forma di scrittura complessa, lavorata, quanto un romanzo". Dice Enzo Monteleone (Hotel Colonia/, Marrakech Express, Il prete bello, Fred Buscaglionè): "La sceneggiatura è un lavoro bellissimo perché, all'inizio, stai con gli amici e sei completamente libero: i film possibili sono mille, è un momento di potenzialità aperte, di intelligenze che si scontrano, di azzardo totale. Poi la libertà diminuisce: tra i mille film possibili scopri pian piano l'unico che davvero vale la pena di fare, e cominci a togliere, a togliere ...". Dice David Grieco (Sogni e bisogni, Caruso Pascoski, Mortacci): "La letteratura, secondo me, ha poco da spartire con la sceneggiatura. Non è tanto importante saper scrivere bene quanto saper vedere una scena. È importante la sincerità, la secchezza. Essere colti è secondario se manca un'osservazione dinamica della realtà". La sceneggiatura come narrazione, la sceneggiatura come bricolage, la sceneggiatura come osservazione: sono tre posizioni diverse che dovrebbero fondersi in una sola, e magari ogni tanto nominare il cinema, che sembra un po' in tutti il grande assente, colui che viene demandato. Lo conferma il più "rodato" (Piovra 3, 4 e 5,Mino) Sandro Petraglia (Bianca, La messa è finita, Giulia e Giulia, Mery per sempre, Pummarò): "La sceneggiatura era un modo per ricominciare a scrivere senza più l'ossessione dell'inchiesta ... Non credo che uno sceneggiatore debba copiare il reale, noi dobbiamo reinventare, non trascriveftè. E non perdere mai di 81

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