5 P E T T .A C O L O _CINEMA ITALIANO: GII SCENEGGIATORI (11) DELL'ESISTENZA DEGLISCENEGGIATORI Lorenzo Pellizzari Gli sceneggiatori esistono. Ame, anni fa, è capitato persino di incontrarne sei tutti in un colpo e di trascorrere tre giorni "infiltrato" tra loro. Dico "infiltrato' 1 perché, un po'. per evitare di perdersi in polemiche, un po' pernon mettere a disagio lor signori, a quel piccolo incontro degli sceneggiatori con il pubblico o (se si preferisce) a quel mini~convegno sulla sceneggiatura nessun . critico cinematografico era stato invitato e io (Iguravo unicamente come l'amico curioso (o il curioso amico) dell'organizzatore. Ma forse la storia va raccontata dall'inizio. Fu a Mantova, tra 1'8 e il 10 giugno 1984, che gli enti locali e il circolo del cinema ebbero l'idea (poi risultata assai fruttuosa, anche sul piano editoriale) di far convenire sul palcoscenico del Teatro del Bibiena gli "scrittori del cinema", come recitava il titolo della manifestazione. Affluiròno Age & Scarpelli, Nicola Badalucco, Benvenuti & De Bemardi, Ugo Pirro; mancarono, per un soffio, Suso Cecchi d'Amico, Enrico M~dioli, Luciano Vincenzoni e Bernardino Zapponi. Ci fossero stati tutti, sarebbe stato veramente l' en plein della corporazione consolidata; era ugualmente una bella rappresentanza di una "vecchia guardia" ancora attiva (lo è tutt'oggi) e soprattutto intenzionata a'non mollare. Non starò a riferire i discorsi seri che si fecero in quell'occasione (li raccontai a suo tempo su "Cineforum", svelando la mia 80 identità) né la selva di aneddoti, pettegolezzi, goliardate e altre umanità che si poterono cogliere durante i momenti più ludici o più gastronomici di quella manifestazione (appresi, per esempio, che le monache, i tumori e la neve a Venezia sono ritenuti elementi forieri di sventure e che per molti anni erano stati banditi dal cinema italiano). Ricordo soltanto che quei sei signori un po' grigi (ma quasi tutti senza cravattaj, dal tono intensamente .- professionale, ben consapevoli .delproprio ruolo lì e altrove, non solo parlavano assai bene e scrivevano anche meglio (lo si c;apiva dai testi dei loro soggetti inediti, pubblicati in quell'occasione a cura di Alberto Cattini), ma erano ricchi di curiosità, dotati di un notevole colpo d'occhio, fertili nel ricamare sulle apparenze e nel trarre sensi dalle sostanze (bastava per questo osservarli e ascoltarli mentre bighellonavano per le strade di Mantova). Insomma, parevano illuminanti e, almeno cinque su sei, anche decisamente simpatici. Al punto che fui travolto nel concordare.' con loro circa la limitatività del termine "sceneggiatori", circa l'opportunità di definirli veri e propri scrittori (screenwriters come dicono gli inglesi, "scrittori per il cinema" come essi stessi amavano definirsi), circa· le inique soggezioni ora al produttore "squalo" ora al regista "genio" (l'espressione è di Scarpelli); circa gli errori di valu~ione della critica che giudica il prodotto finito, si sofferma sulle forme e sui colori e ignora la sinopia che lo sottende. Ne nacque un 'ulteriore serie di lagnanze circa l' esistenza di tanti progetti non realizzati (o, sottolineavo io, non realizzati a tempo debito), le costrizioni di ignobili censure (nonché autocensure, riflettevo), le miserie produttive nei confronti delle storie di più ampio respiro, il bieco sfruttamento di filoni e tendenze, il personalismo di autori e attori ... Si poteva anche piangere, l'uno sulla spalla dell'altro, ma era proprio tutto soltan- . to così? , Lontano dalla corte dei Gonzaga e dalla genuina emozione del momento (erano pur sempre nomi visti tante vqlte sui titoli di testa da rendermeli più clie famigliari), mi venne fatto di pensare qualcos'altro. Per esempio, che avevo rimosso gli sceneggiatori che mi avevano dato di più - Zavattini, Flaiano, Pasolini, Guerra, cui avrei aggiunto il nome di Cerami - e che questi sceneggiatori, gqarda caso, erano quelli più ricchi di altre. esperienze, gente che aveva dato il meglio di sé forse (o certamente) altrove. Per esempio, che era difficile parlare di e con sceneggiatori che agivano in coppia (secondo un vecchio uso del teatro di - varietà) o in gruppo, in certe epoche addirittura in ammucchiata (per motivi politici, produttivi o assistenziali). Per' esempio, che nessuno mai avrebbe potuto dire quanto _sarebbestato diverso lo sventurato cinema italiano (e in certi periodi anche la società che · pendeva dalla bocca di quel cinema) se i soggetti non fossero rimasti nel cassetto, se fossero stati realizzati secondo le intenzioni degli "scrittori", se da cosa fosse nata cosa. La soluzione era a portata di mano, ma ci sono volute. delle prove scritte e stampate perraggiungere una passabile e possibile certezza. Negli anni successivi, tra iniziative di enti locali (Mantova, Gorizia,Rimini) e operazioni di editori nazionali, sono apparsi alla luce innumerevoli soggetti, trattamenti, sceneggiature, racconti per film che hanno come comun denominatore o il fatto di non essere stati realizzati o il fatto di essere stati in varia misura "traditi" o comunque modificati. Oltre ai nomi già fatti, si possono aggiungere Sonego, Maccari, Scola, Pinelli, De Concini, Arlorio, Amidei, Solinas ... Ebbene, quasi sempre la qualità di scrittura è elevata, i dialoghi sono attendibili, il tema è degno o almeno curioso, le capacità di invenzione e di articolazione sono evidenti, addirittura in alcun~ casi si constata la presènza di strutture narrative ad alto livello di formulazione è applicazione (da far impazzire i semiologi, insomma). Meno rilevante, magari, è l'impatto con una società in continua trasformazione o la re~ del reale (per non dire di una carenza congenita: la scarsa propensione al fantastico o alla pura fabulazione). Viene allora
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