IL CONTESTO Perché solo il Pci dovrebbe cambiare nome? Luigi Robbio · Con la proposta di cambiare nome al proprio partito, Occhetto ha messo il dito su una piaga che non affligge soltanto né principalmente il Pci. Non c'è infatti nessun partito politico italiano che possa dirsi del tutto immune da quello scarto .tra il "nome" e la "cosa" dalla cui consapevolezza sta prendendo le mosse la contrastata rifondazione del partito comunista. Certamente il Pci ha qualche motivo in più d~li altri per cambiare e per farlo con grande urgenza. Un partito con dieci anni di declino elettorale alle spalle difficilmente può rimanere insensibile a una catastrofe, come quella del comunismo nell'est europeo, che lo riguarda così da vicino. Ma la svolta di Occhetto solleva anche, sia pure implicitamente, un problema di portata molto più generale; quello della legittimità delle attuali divisioni tra i partiti, o, in altri termini, quello del senso della attuale geografia politica italiana. Dopotutto il fatto che uno dei partiti storici italiani decida di cambiare il suo nom~ storico, abolendo una delle principali linee di frattura su cui si è fondato l'intero sistema politico italiano, non può non avere profonde ripercussioni sull'insieme. Ci si potrebbe allora chiedere se la mossa di Occhetto non dovrebbe essere interpretata solo come un'operazione interna, ma anche come un segnale rivolto all'esterno. Un potenziale suggerimento per tutti gli altri partiti italiani. In questo caso non dovremmo limitarci a domandarci se il Pci dovrebbe cambiar nome (come si sta effettivamente discutendo dentro quel partito), ma sarebbe piuttosto opportuno porre quest'altra domanda: "perché solo il Pci dovrebbe cambiarlo?". Nomi ormai senza cose Naturalmente non sono in discussione i nomi dei partiti in quanto tali. Su questo terreno l'ironia sarebbe fin troppo facile ed è stata già abbondantemente usata in questi mesi e non solo dai disegnatori satirici. Il gesuita Bartolomeo Sorge ha colto subjto la palla al balzo per invitare la Dc a rinunciare ali' aggettivo "cristiano". Sulla legittimità dell'uso del termine "socialista" di cui si fregia l'attuale Psi si sprecano da anni battute e contestazioni. Né si capisce perché insista a chiamarsi socialdemocratico un partito che non appare né particolarmente socialista né particolarmente democratico. E si potrebbe continuare. L'unico partito a cui non possono muoversi rimproveri di questo genere sembra essere quello repubblicano che, almeno, non ha mai manifestato particofari propensioni monarchiche. Ma non. è un gran merito, dal momento che è universalmente condiviso. Ma proprio qui sta il punto. Nessuno dei nomi storici dei partiti possiede ormai un valore connotativo preciso. Tutti gli attuali partiti hanno qualcosa di liberale, di socialista, di socialdemocratico e di cristiano. E forse anche qualcosa di comunista. Quarant'anni di convivenza nelle comuni istituzioni democratiche e di partecipazione a un gioco fortemente consociativo hanno finito per moltiplicare i prestiti, gli scambi e i trasformismi. C'è stato insomma un generale rimescolamento delle carte, da cui nessuno sembra essere sfuggito. Ma non sono solo le differenze ideologiche a essere diventate più sfuggenti. Anche i rispettivi insediamenti sociali, che per decenni hanno legittimato le distinzioni tra I~ forze politiche, appaiono ora meno differenziati. Certamente il Pci conta ancora un maggior seguito nelle fabbriche, la Dc nelle campagne, il Pii fra gli imprenditori. Ma i termini sono più sfumati. In una situazione sociale più complessa e più mobile è aumentata la contesa tra i partiti per assicurarsi il consenso degli elettori medi e centrali, di quelli che non hanno più o non hanno ancora un'appartenenza sociale precisa. La formazione politica che nell'ultimo decennio ha realizzato i maggiori successi ponendosi come ago della bilancia dell'intero sistema politico, è un partito (il Psi) che non ha alcun insediamento sociale definito. Anzi proprio questa circostanza lo ha reso più forte consentendogli una spregi udicatezzae una mobilità(la "modernità" del Psi) che ad altri partiti, più.radicati socialmente, era preclusa. Il problèma è che in Italia più che altrove, il sis~ema dei partiti ha conservato, in modo geloso, testardo e un po' avaro, tutte le fratture ideologiche e sociali che si sono via via determinate nel corso del tempo; anche quando esse avevano perso progressivamente te loro ragioni originarie. Una scheda elettorale italiana assomiglia più a un libro di storia, che a uno strumento per scegliere tra·politiche o valori diversi. Come in uno scavo archeologico, vi si possono osservare i sedimenti stratificati di fratture lontane di cui si è nel frattempo smarrito il senso. Si possono cogliere gli echi delle battaglie risorgimentali, della rivoluzione bolscevica, del ventennio fascista, della resistenza, della guerra fredda e perfino (sia pure in dosi minime) della contestazione del '68. Naturalmente non c'è niente di male in tutto questo: la storia ha i suoi diritti sul presente e nessuno desidererebbe vivere in un sistema politico senza radici. Ma queste radici; chiunque lo constata quotidianamente, hanno ormai un legame debolissimo con -le scelte che devono essere compiute nel presente. Non servono, se non in misura minima, per-orientare le forze politiche sui nodi effettivi che esse si trovano di fronte. La geografia dei partiti non corrisponde più alla geografia1 dei problemi e dei valori. Nessuna delle grandi discriminanti del passato, accuratamente conservata nell'attuale schieramento partitico, possiede una grande virtù discriminante nella situazione attuale. Non quella tra liberalismo e socialismo, ormai irrimediabilmente confusi ed equamente distribuiti fra tutti i partiti: nemmeno la rinascita neo-liberista degli anni Ottanta è riuscita in Italia a risuscitarla. Non quella tra fascismo e antifascismo che pur avendo tenuto a battesimo la nostra repubblica appare oggi scarsamente capace di mordere nella realtà (gli stessi missini sembrano di non saper più cosa farsene). E neppure quella, più antica e duratura, tra laici e cattolici: malgrado la forza crescente della chiesa in Italia e nel mondo, tale linea di frattura sembra riguardare soltanto alcune appartenenze forti, ma minoritarie e funziona da linea di discrimine solo per alcune battaglie (I 'aborto, l'ora di religione, le questioni legate alla morale sessuale). S,ututte le altre i laici e i cattolici si dividono al loro interno esattamente allo stesso modo. Il processo di omologazione tra i partiti non ha però comportato alcuna variazione nella loro geografia. Si sono rimescolate le carte sul piano ideologico e sociale, ma non su quello organizzativo. Sono rimasti i vecchi nomi e i vecchi simboli. Anzi paradossalmente le distinzioni tradizionali si sono rafforzate in una competizione sempre più aspra, perché condotta tra entità sempre 5
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